UTILITARISMO
. L'utilitarismo è la teoria che fonda la morale sull'utilità, identificando questa con quella, in quanto afferma che la vera utilità dell'individuo non può non accordarsi sempre con la utilità generale. L'utilitarismo pone come punto di partenza l'affermazione che è una condizione della natura umana il pensare prima di tutto al proprio interesse: la moralità consiste nel riconoscere che il maggiore utile proprio del singolo coincide con l'utile altri. Il termine "utilitarismo" fu usato per la prima volta da J. Bentham (v.), che con esso designò il carattere fondamentale del proprio sistema filosofico. Spesso è stato usato (illegittimamente) per definire il carattere eudemonistico dell'etica antica, e anche per caratterizzare polemicamente certi aspetti dell'etica cristiana; ma storicamente l'utilitarismo ha trovato la sua più importante manifestazione nella filosofia inglese dal Hobbes al Locke al Hume, ad Adamo Smith, dei quali il Bentham e lo Stuart Mill (v.), i più celebrati assertori dell'utilitarismo nei tempi più recenti, non sono filosoficamente parlando che pallidi ripetitori: e a questo gruppo di pensatori ci si riferisce comunemente parlando di utilitarismo. D'altra parte l'utilitarismo positivistico del Bentham, dello Stuart Mill, dello Spencer, ha avuto larga eco nelle dottrine politiche, sociologiche, giuridiche del positivismo e del liberalismo nelle sue forme più tarde, legate al capitalismo e alla vita economica più che a quella etica; la proclamazione generica che il sommo scopo della vita dev'essere "la maggior felicità (materiale soprattutto) per il maggior numero possibile di uomini" con il caratteristico corollario che tale felicità o benessere del massimo numero possibile coincide con il benessere o utile "bene inteso" del singolo, ha avuto grandissima fortuna nel sec. XIX, tanto che il Manzoni nella sua Morale cattolica ha ritenuto dover dedicare all'utilitarismo una confutazione apposita. Il valore di queste formule è consistito soprattutto nell'avere contribuito ad attenuare in qualche modo l'individualismo economico del "tardo capitalismo", con una sorta di "filosofia sociale".
Filosoficamente, l'utilitarismo ha la sua origine nel contrasto, portato dal cristianesimo all'estrema consapevolezza, fra la moralità e l'utilità; accenni a posizioni utilitaristiche si hanno nei filosofi naturalisti del Rinascimento italiano, a cominciare da L. Valla che ha affermato attraverso l'apologia del proprio eudemonismo il carattere utilitaristico della dottrina cristiana dei premî e delle pene d'oltretomba. Ma l'utilitarismo era in quei pensatori ancora spesso confuso con l'eudemonismo (v.), come con l'eudemonismo tornerà a confondersi l'utilitarismo teologico di W. Warburton e di W. Paley. Il Hobbes ne determina l'importanza definendone il principio da un punto di vista politico-giuridico: in statu naturae mensuram iuris esse utilitatem: e soltanto da tale punto di vista l'utilitarismo può esser considerato come autonomo e non dipendente dallo eudemonismo. Una dottrina utilitaristica coerente deve sboccare non in una filosofia o in una dottrina morale, ma nell'economia, come viene intesa nei "classici" inglesi, o come la intende B. Croce; il tipo umano dell'utilitarismo è infatti l'homo oeconomicus, per il quale i termini di giusto, ingiusto, morale, immorale, buono, cattivo, sono soltanto termini collettivi, che stanno a indicare un grado maggiore o minore di utilità collettiva o individuale. Il momento di verità dell'utilitarismo consiste nel riconoscimento dell'importanza dell'utile nella vita pratica; il suo limite consiste nella riduzione della moralità al principio dell'utile, e nella negazione che ne consegue dell'autonomia della vita morale.
Bibl.: Oltre alle storie generali dell'etica, come quella di O. Dittrich e quella di F. Jodl, v.: L. Stephen, The English Utilitarians, Londra 1900; E. Albe, A history of English Utilitarianism, Londra 1902.