USO
. Nel diritto romano più antico usus è termine che, secondo una dottrina largamente sostenuta, indicherebbe il possesso, e tale significato si conserverebbe a lungo. Nel diritto più recente usus indica un diritto reale di godimento, limitato nel senso che il suo titolare può usare della cosa altrui, ma non percepirne i frutti. Già la giurisprudenza romana intraprese un lavorio di ampliamento delle facoltà dell'usuario, secondando la volontà del testatore e le necessità della vita: lo spirito pratico superò la logica delle parole e dei concetti. Colui, al quale è lasciato l'usus di una casa, può risiedervi coi coniuge, coi figli, coi genitori, con la nuora, coi liberti; ricevere ospiti, e i liberti e clienti loro.
Se già la giurisprudenza classica accordasse una partecipazione ai frutti, è disputato. Vi ha chi (S. Riccobono) lo nega, facendo leva su testi che la escludono in modo esplicito: altri (M. Pampaloni) è d'avviso che già i giuristi romani avrebbero operato una certa estensione dell'usus ai prodotti della cosa, ma non propriamente ai frutti destinati al commercio, bensì ad alcuni prodotti accessorî e secondarî dell'azienda rurale: a questo avviso si accosta P. Bonfante. La partecipazione a una modica parte di frutti, nella misura dei bisogni personali, sarebbe, pertanto, secondo alcuni, un principio nuovo del diritto giustinianeo; secondo altri, un principio già classico, ma nel diritto giustinianeo dilatatosi. Nel diritto comune, facendo capo ai testi interpolati, l'uso venne concepito come un piccolo usufrutto e si vollero interpretare in questo senso anche le parole uti, usus, malgrado la testimonianza delle fonti che oppongono recisamente l'uti al frui. L'usuario non può alienare il suo diritto e neppure l'esercizio del diritto stesso, perché il contenuto dell'uso verrebbe ad esserne alterato. Questa norma è, peraltro, violata nel diritto giustinianeo, in quanto un testo notoriamente interpolato (Dig., VII, 8, de usu et hab., 4, pr.), ammette che, se ad alcuno fu legato l'uso di una casa, può, abitandovi con la sua famiglia, appigionare le stanze superflue.
Secondo l'art. 521 del cod. civ. it., il titolare del diritto di uso ha facoltà di usare della cosa (sia immobile sia mobile, benché l'articolo prospetti solo l'ipotesi di uso costituito su un fondo), e di raccoglierne i frutti per soddisfare ai bisogni suoi e della sua famiglia. Quando l'uso cade su una casa di abitazione, assume il nome e la figura speciale di diritto di abitazione (v. App.). Per famiglia s'intende il gruppo costituito dal titolare, dal coniuge, dai figli legittimi o legittimati o naturali riconosciuti o adottivi, siano essi pur nati dopo che l'uso fu costituito, nonché le persone addette al servizio di esse (articoli 523, 524). Per bisogni della famiglia si considerano tutte le necessità cui il godimento della cosa può dare soddisfazione diretta, cosicché, mentre l'estensione della facoltà di sfruttamento si commisura ai bisogni contingenti e mutabili del gruppo, alle condizioni economiche e sociali dell'usuario, ne resta escluso il diritto a far propria una maggiore quantità di frutti per convertirne l'eccedenza in altra utilità. L'uso si costituisce per fatto volontario e anche si acquista per usucapione. Il godimento del titolare è strettamente personale, quindi - come già nel diritto classico - neppur l'esercizio si può cedere ad altre persone (art. 528). Incombono all'usuario l'obbligo dell'inventario e della descrizione dello stato degl'immobili e l'obbligo della cauzione, sebbene da questa l'autorità giudiziaria possa dispensarlo (art. 526). Per la misura dell'obbligo relativamente a spese di coltura, riparazioni ordinarie, tributi, provvede l'art. 527. L'uso, come l'usufrutto, si estingue per la morte dell'usuario, per lo spirare del tempo per cui fu stabilito, per la riunione nella stessa persona della qualità di usuario e di proprietario, per il non uso della cosa per lo spazio di trent'anni, per il totale perimento della cosa su cui fu costituito (art. 529, 515).
Bibl.: Oltre a quella relativa all'usufrutto, v. specialmente: A. Bechmann, Über den Inhalt und Umfang des usus nach röm. Recht, Lipsia 1861; S. Riccobono, Sull'usus, in Studi in onore di V. Scialoja, I, Milano 1905, p. 581 segg.; M. Pampaloni, in Riv. It. per le scienze giuridiche XLIX (1911), p. 241 segg., P. Bonfante, Corso di dir. rom., III, Diritti reali, Roma 1933, p. 89 segg.; R. De Ruggiero, Istituzioni di dir. civ., 7ª ed., Messina 1934.