Urbanizzazione
Urbanizzazione e controurbanizzazione
Il termine urbanizzazione in geografia viene correntemente usato per delineare le forme e le dinamiche evolutive della concentrazione della popolazione e delle attività economiche nelle aree urbane. Esso è quindi espressione del processo che ha portato alla formazione delle città e alla loro moltiplicazione nel territorio fino alla più recente formazione di trame insediative estese a scala regionale.
Nei paesi dell'Europa occidentale e dell'America Settentrionale questo processo ha avuto inizio con la rivoluzione industriale di fine Ottocento e con il conseguente passaggio della struttura insediativa da forme diffuse, tipiche di un'economia prevalentemente rurale, a forme concentrate attorno agli epicentri della crescita industriale. Nei restanti paesi l'u. e la densificazione della maglia urbana sono un fenomeno assai più recente, che risale grosso modo alla fine del secondo conflitto mondiale allorché, con l'avvio della globalizzazione dell'economia, ha avuto inizio una decisa crescita delle attività manifatturiere e degli scambi commerciali. Lo sfasamento temporale con cui si è manifestata l'u. nei due gruppi di paesi fa sì che in essi siano oggi assai diverse le forme e le dinamiche evolutive. Nei primi tende ad affermarsi un'u. estesa che, in analogia con la diffusione delle residenze, delle attività economiche e delle infrastrutture, giunge a comprendere in un assetto policentrico le località e le aree minori regionali. Nei secondi essa si presenta prevalentemente sotto le forme della concentrazione urbana, ovvero della crescita per areali compatti e geograficamente limitati attorno ai centri da cui sono scaturite le prime spinte espansive.
Per definire gli estesi processi di diffusione insediativa in corso nei paesi occidentali la letteratura usa talora il termine improprio controurbanizzazione, che però esprime assai bene l'idea della disseminazione regionale della città a fronte della sola localizzazione selettiva delle residenze più qualificate e dei settori più innovativi, quali sono quelli del terziario direzionale e dei servizi per le imprese, nelle aree più centrali delle agglomerazioni.
L'u. può essere esaminata attraverso l'impiego di diverse fonti statistiche quali sono quelle demografiche, occupazionali, funzionali e quelle relative alle destinazioni d'uso del suolo. Le statistiche demografiche, che riportano le indicazioni quantitative e qualitative della popolazione residente nei centri, sono le più usate in quanto il numero di abitanti e la loro variazione nel tempo vengono ritenuti indicatori sintetici in grado di fornire un quadro indiziario sufficientemente esaustivo, sia dell'u. della popolazione, sia dell'u. del territorio, cioè della distribuzione e dei mutamenti dei posti di lavoro, dei servizi, dell'infrastrutturazione e della dimensione fisica degli insediamenti. È dall'impiego di questi dati che si evince come l'u. alla fine del Novecento sia diventata un fenomeno planetario. La popolazione che vive nei centri con più di 10.000 ab., soglia minima di un'agglomerazione per essere ritenuta urbana, è ormai il 49% di quella totale. Questa percentuale è cresciuta assai rapidamente, passando dal 25% degli anni Cinquanta al 30% degli anni Sessanta, al 39% degli anni Settanta, al 42% degli anni Ottanta, grazie soprattutto al contributo dei paesi in via di sviluppo del Vicino e Medio Oriente, del Sud-Est asiatico, dell'America Latina e delle sponde mediterranee dell'Africa.
Alla base di questo impetuoso aumento dell'u. si pone in generale la considerevole crescita della popolazione dei paesi arretrati, assai più veloce rispetto a quella dei paesi evoluti. La forte crescita della concentrazione demografica è connessa alla rapida affermazione di un elevato potenziale produttivo, in particolare industriale, che genera una rapida transizione della popolazione attiva verso le attività extra-agricole, un sensibile incremento del PIL e un deciso aumento degli scambi commerciali con l'estero. In virtù di questi meccanismi, il numero delle città e l'entità della popolazione inurbata dei paesi in via di sviluppo hanno superato quelli dell'Occidente, facendo altresì apparire lento il pur vivace processo di u. in corso nei paesi dell'Europa orientale e delle repubbliche ex sovietiche, e addirittura in ristagno quello in atto nello stesso Occidente.
Sensibili cambiamenti si registrano pertanto anche nell'u. del territorio. A scala planetaria sono circa 26.000 le agglomerazioni che superano i 10.000 ab., una cifra in sé considerevole, cresciuta di 2,5 volte dall'inizio del 20° secolo. Un terzo di esse è concentrato nell'Occidente, un terzo nell'Asia orientale e sud-orientale e il restante terzo negli altri ambiti continentali. Accanto al principale 'focolaio' urbano del mondo, che resta quello europeo e delle coste del Mediterraneo, si sono ulteriormente accresciuti quello della costa atlantica degli Stati Uniti, quello delle aree costiere e insulari del Sud-Est asiatico, quelli della Penisola Indiana, del Brasile e del Golfo di Guinea, in cui comunque già esisteva una discreta trama insediativa.
L'aumento notevole del numero di città è stato comunque inferiore a quello della popolazione urbana, che nello stesso periodo è cresciuta di 3,4 volte. L'u. del territorio è stata pertanto inferiore all'u. della popolazione, e dunque il processo di concentrazione di quest'ultima è stato maggiore del processo di diffusione delle città. Quelle dei paesi in via di sviluppo presentano poi una taglia media inferiore rispetto a quelle dei paesi occidentali. Ma il divario è destinato a esaurirsi velocemente, anche perché il fenomeno più spettacolare e drammatico dell'u. contemporanea risulta quello del gigantismo urbano, ovvero dell'aumento considerevole della taglia di numerose città, che caratterizza in particolare i paesi in via di sviluppo.
Da questo punto di vista sono ben dieci le città del pianeta che contano ormai più di 10 milioni di ab. (New York, Tokyo, San Paolo, Sŏul, Los Angeles, Città di Messico, Bombay, Nuova Delhi, Djakarta, Shanghai), 211 hanno una popolazione compresa tra 1 e 10 milioni di ab., mentre 2000 hanno una popolazione compresa tra 100.000 e un milione di abitanti. Se si escludono New York, Tokyo e Los Angeles, le restanti città sono cresciute di decine di volte in termini sia di popolazione sia di superficie nell'arco di un secolo, con tassi di crescita annuale che oscillano dal 4 al 6%. L'ingente sviluppo di queste città e di quelle minori, verificatosi nei paesi in via di sviluppo, è anche da addebitarsi a elevati flussi migratori indotti sia dalla crescita cumulativa e polarizzata dell'industria manifatturiera a basso contenuto tecnologico e ad alta intensità di lavoro despecializzato, sia dalla parallela disgregazione dei sistemi di produzione agricola locale imperniata su tecniche e forme di conduzione assai tradizionali e talora arcaiche. Altre cause sono da addebitarsi a vasti processi di desertificazione delle aree agricole (soprattutto nel continente africano), a carestie, a conflitti locali o al ripetersi di eventi calamitosi. In tutti questi casi si tratta di spostamenti di popolazione verso aree urbane altamente sovrabbondanti rispetto alla domanda effettiva di lavoro locale, e che sono in grado di produrre fenomeni di u. e di 'sviluppo senza crescita', con drammatiche conseguenze sulle strutture economiche, sociali e ambientali delle stesse città: in particolare si verifica una netta contrapposizione nell'ambito dell'economia urbana tra un settore formale, integrato nei circuiti degli scambi nazionali e internazionali, e un settore informale, quantitativamente dominante e caratterizzato da una miriade di attività che operano al limite della sussistenza. Questi squilibri si riflettono, di conseguenza, sulla morfologia e sull'impianto urbano, anch'esso costituito da una città ufficiale, che riflette le più tradizionali e note regole compositive e organizzative, e una città marginale in cui prevalgono la precarietà e il disordine insediativo, l'assenza di qualsiasi standard residenziale e di ogni tipo di comfort.
Alla struttura urbana tipica, in particolare, dei paesi in via di sviluppo si contrappone quella più ordinata e stabile delle grandi città occidentali, espressione delle varie tappe dell'industrializzazione e ora di una spinta terziarizzazione. Neanche la città occidentale è comunque esente da squilibri: talora assai marcati al suo interno risultano i differenziali tra le aree centrali e semicentrali e quelle periferiche per effetto dei processi di nobilitazione sociale (gentrification) e di centralizzazione funzionale che si verificano nelle prime. Negli ambiti periferici permangono quindi sacche di popolazione povera, senza fissa occupazione e in evidenti condizioni di disagio residenziale. In esse si concentra poi la nuova immigrazione proveniente dalle aree più povere del pianeta, che qui si adatta anch'essa a condizioni di lavoro precarie e a salari che talvolta superano di poco il limite di sussistenza.
La recente crescita delle funzioni terziarie, unitamente alla parallela dismissione di molti siti industriali in cui erano presenti i grandi stabilimenti ora decentrati, ha poi prodotto fenomeni di trasformazione urbanistica, che da un lato accentuano i succitati differenziali e inducono altresì rilevanti effetti di 'cosmesi urbana', e dall'altro permettono sensibili miglioramenti nella struttura dell'accessibilità dalle aree suburbane. Su queste ultime può quindi dirigersi la rilocalizzazione residenziale delle classi sociali medie, desiderose di un ambiente urbano connotato da più basse densità insediative, dalla presenza di spazi verdi e da tipologie residenziali dotate di buoni standard prestazionali. Fuori dai perimetri delle vecchie agglomerazioni e nei centri minori regionali sono così sorte aree urbane fortemente dilatate che, lungo i principali assi di comunicazione, giungono a saldare e a connettere tra loro anche diverse città contermini.
L'accentuazione di questo fenomeno, soprattutto negli anni Settanta, associata al persistente decentramento degli impianti produttivi, ha indotto numerosi studiosi delle regioni urbano-industriali degli Stati Uniti e dell'Europa settentrionale a definirlo con il termine controurbanizzazione. In realtà si è trattato della formazione di numerose nebulose urbane e di sistemi urbani macroregionali, la cui estensione e continuità annulla definitivamente sia l'identità amministrativa delle singole municipalità coinvolte, sia quella delle aree metropolitane entro cui il primo sviluppo di queste agglomerazioni era stato perimetrato.
Queste trame insediative hanno ricevuto appellativi assai diversi, quali città diffusa, conurbazioni, campi urbani, strutture insediative reticolari e megalopoli. Quest'ultimo termine è quello più impiegato per definire le realtà più estese. Nei paesi occidentali ne vengono riconosciute almeno sei. Quella che rappresenta il prototipo, e che viene appunto chiamata Megalopolis, sorge sulla costa atlantica degli Stati Uniti; con 30 milioni di ab. comprende al suo interno un insediamento policentrico di città come New York, Boston, Washington e Filadelfia. Sempre negli Stati Uniti vengono segnalate quella dei Grandi Laghi, che si estende anche nel Canada meridionale e risulta imperniata su Milwaukee, Detroit, Cleveland, Toronto, e quella californiana, che con più di 20 milioni di ab., si estende oltre la vasta area metropolitana di Los Angeles, fino a San Francisco a N e fino ai centri urbani che sorgono su entrambi i lati del confine tra California e Messico a S. In Giappone è invece riconosciuta la megalopoli di Tokaido, così detta perché principalmente contenuta in questa regione; essa conta circa 30 milioni di ab. e comprende al suo interno, oltre alla capitale, tutte le principali città del paese, come Osaka, Kyoto, Kobe e altre. In Europa vengono per ora considerati a pieno titolo spazi megalopolitani quello di 30 milioni di ab. dell'Europa centrale, che si estende da un lato da Amsterdam fino al bacino della Ruhr e dall'altro lato al Nord-Est della Francia, e quello londinese che, con tutte le città contermini comprese nell'estremo quadrante meridionale della Gran Bretagna, conta circa 12 milioni di abitanti. A questi singolari spazi urbani ne vengono poi aggiunti altri tre appartenenti a paesi, o regioni, che stanno velocemente assumendo le caratteristiche del modello produttivo e insediativo occidentale. Il primo è quello brasiliano compreso tra i due nuclei urbani di Rio de Janeiro e di San Paolo, con 25 milioni di ab., mentre il secondo è quello che comprende l'intera Corea del Sud. Lungo la costa della Cina centrale, infine, la regione urbana di Shanghai, con 15 milioni di ab., starebbe anch'essa acquisendo le stesse caratteristiche.
L'u. estesa degli spazi megalopolitani è anche espressione di trasformazioni che avvengono nell'ambito della gerarchia urbana. Le aree urbane di New York, San Francisco, Los Angeles, Tokyo e Londra, che partecipano alla dinamica megalopolitana, si propongono oggi in particolare come 'città globali', cioè come sedi di poli finanziari, di reti di comunicazione e telecomunicazione internazionali, di funzioni culturali, di centri di ricerca avanzata e di sedi di direzione delle principali società multinazionali; esse hanno quindi acquisito una funzione di controllo dell'intero sistema economico mondiale. All'affermazione di questo ristretto numero di città globali corrisponde una progressiva perdita di importanza delle altre città e aree metropolitane, che pur collocandosi ai vertici delle gerarchie dei rispettivi paesi manifestano nel complesso una minor capacità di penetrazione nei circuiti della direzione e dell'innovazione dell'economia mondiale.
Anche in Italia il processo di controurbanizzazione e di diffusione urbana avvenuto tra gli anni Settanta e Novanta del Novecento ha portato alla luce la formazione di sistemi urbani assai complessi e in qualche modo riconducibili all'organizzazione dei succitati spazi megalopolitani. Il primo è quello che, addossato ai piedi dell'arco alpino, connette ormai in un'unica formazione urbana l'entroterra ligure con il Torinese e da qui si estende a E nel Milanese e poi nel Bresciano e nel Triveneto fino a Trieste. In esso sono concentrati quasi la metà degli impianti produttivi del paese, circa il 60% delle attività terziarie al servizio delle imprese e il 35% circa della popolazione nazionale. Fuori dai confini nazionali questo esteso sistema urbano si connette altresì con le città della sponda mediterranea della Francia e della Spagna. Ciò fa per ora parlare di una grande megalopoli mediterranea. Il secondo sistema urbano, di dimensioni sovraregionali, è quello che si prolunga lungo la costa tirrenica da Roma a Salerno e che in prossimità di Napoli tende a congiungersi con l'assetto policentrico del sistema urbano pugliese. Nel complesso presenta una dimensione demografica assai simile al precedente. Sebbene sia dotato di un minor potenziale produttivo e terziario, questo sistema urbano, per la sua posizione, viene ritenuto potenzialmente in grado di stabilire una funzione di 'ponte' per una più stretta integrazione sociale ed economica tra l'Europa, soprattutto meridionale, e i paesi mediterranei dell'Africa e del Vicino e Medio Oriente.
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