URBANESIMO
. Si indica con questo nome tanto la formazione, specialmente se rapida e intensa, di città, quanto la attrazione che le città medesime esercitano sulle popolazioni rurali vicine e lontane; il nome stesso viene peraltro sovente riferito più o meno esplicitamente piuttosto alle manifestazioni che potremnmo chiamare patologiche che non agli aspetti generali e fisiologici di un fenomeno, antico nella sua essenza quanto il costituirsi delle società civili. Esso accompagna infatti così il fiorire delle civiltà antiche come il risveglio di vita politica e sociale manifestatosi in Europa e segnatamente in Gerrmania e in Italia dall'inizio del secondo millennio dell'era cristiana, poi il formarsi dei grandi stati nazionali e infine, quasi senza soluzione di continuità, lo sviluppo enorme della popolazione, della tecnica e del capitale da cui è caratterizzata l'età nella quale viviamo.
Non mancano, nemmeno per i tempi più remoti, notizie anche quantitative, che documentano l'antichità del fenomeno ma, almeno per l'Europa, soltanto dal principio del secolo XIX è possibile seguirne l'andamento in modo più omogeneo e continuato. Il quadro che segue dà una sommaria idea tanto del progressivo crescere delle città in numero e popolazione quanto del rapporto fra questo sviluppo urbano e quello complessivo della popolazione nelle varie parti del mondo.
Ma i limiti di 100 o anche di 500 mila abitanti sono ormai di gran lunga oltrepassati dalle manifestazioni più grandiose del fenomeno.
Ai primi del sec. XIX, Londra soltanto si avvicinava al milione di abitanti; nel 1850 anche Parigi varcava quel limite, nel 1900 altre cinque città: Berlino, Vienna, Pietroburgo, Costantinopoli e Mosca lo superavano, seguite, intorno al 1930, da Roma e Milano, Glasgow e Birmingham, Amburgo, Varsavia, Barcellona e Madrid, mentre Istanbul, forse troppo lavorita nelle precedenti valutazioni, discendeva a 700 mila abitanti.
Più rapida ancora è la formazione dei grandi centri americani e australiani e pure rapidissimo lo sviluppo moderno di antiche città asiatiche. Complessivamente intorno al 1930 si avevano nel mondo 31 città di oltre un milione di abitanti e cioè, oltre quelle europee sopra ricordate: il Cairo in Africa; Calcutta e Bombay, Shanghai e Tientsin, Tōkyō, Ōsaka e Kyōto in Asia; New York, Chicago, Filadelfia, Detroit, Los Angeles nell'America Settentrionale; Buenos Aires e Rio de Janeiro nell'America Meridionale; Sydney e Melbourne in Australia. Ma anche il milione è limite lasciato ormai molto indietro dalle moderne metropoli, alcune delle quali specialmente se considerate nella reale agglomerazione urbana invece che nei confini amministrativi, comprendono parecchi milioni di abitanti, e superano così in popolazione parecchi stati non dei minori.
L'Italia ebbe sempre numerose e cospicue città; verso la metà del 1500 essa ne contava sei e cioè: Napoli, Venezia, Milano, Palermo, Roma e Messina con oltre 100 mila abitanti e altrettante nel 1800 sostituendosi Genova a Messina, non ancora rimessa dal disastroso terremoto del 1783: nel 1850, con 10 centri di questa importanza, l'Italia veniva ancora innanzi a tutti gli stati europei. Il quadro si è cambiato più tardi, ma l'Italia per tale riguardo resta preceduta in Europa soltanto dall'Inghilterra, dalla Germania e dalla Russia.
Anche il censimento del 21 aprile 1936 trovava in Italia 22 comuni con oltre 100 mila abitanti.
Se si tien conto dei centri abitati di oltre 20 mila abitanti, indipendentemente dai limiti amministrativi dei rispettivi comuni, ne troviamo 142 nel territorio compreso nei confini del regno, con una popolazione complessiva di più che 10 milioni di abitanti (1931) e cioè il quarto circa di tutta la popolazione italiana; nel 1861, sullo stesso territorio, se ne contavano invece 54 con 3 milioni di abitanti corrispondenti all'11% della popolazione complessiva d'allora. Quindici di questi centri videro nel settantennio aumentata quattro volte o più la loro popolazione e cioè le due maggiori città: Roma e Milano; i tre grandi porti militari: La Spezia, Pola e Taranto; quattro porti commerciali: Savona, Bari, Brindisi, Fiume; quattro centri industriali: Sesto San Giovanni, Legnano, Lecco e Varese; una grande stazione climatica: Merano; e un centro limitrofo a una grande città: Torre del Greco. Lo sviluppo massimo si ebbe a La Spezia (15 volte) e a Sesto San Giovanni (13 volte); ma esempî di sviluppi anche maggiori si troverebbero ricercando la storia demografica di molti centri più piccoli che vedremmo spesso formare insieme zone di vasta estensione ove il carattere agricolo si confonde con una penetrazione industriale di data talvolta assai antica, come nelle valli bresciane e bergamasche, talaltra invece più recente, come in Val d'Aosta, in Val d'Ossola, in varî tratti del Milanese e altrove. Queste zone esercitano verso i territori limitrofi o anche a più grande distanza un'attrazione non minore di quella dei grandi centri e in esse avviene un' analoga trasformazione sociale qualche volta per gradi, dove, come nelle ricordate valli bresciane e bergamasche, la popolazione operaia conserva attività e abitudini agricole, più spesso invece con rapido passaggio da una condizione all'altra.
Fuori d'Italia, un esempio classico di un vasto territorio gradualmente e intensamente industrializzato, pur conservando alcuni aspetti agricoli, si ha in Gemania nel bacino della Ruhr, nel quale peraltro gli ultimi anni videro formarsi veri e proprî grandi centri urbani.
Caratteristiche demografiche delle popolazioni urbane possono essere indicate: la mascolinità meno elevata (maschi su 1000 femmine), che, escludendo i militari, è rappresentata in Italia nel 1931 da 906 e 911 rispettivamente per i centri di 500 mila e per quelli da 100 a 500 mila, mentre sale a 954 per la massa dei comuni fino a 10 mila abitanti; la prevalenza delle età medie da 15 a 64 anni; la grande frequenza e spesso, là dove il carattere urbano è veramente spiccato, la prevalenza dei nati fuori del comune nel quale furono censiti, palesandosi in tal modo la intensità delle immigrazioni verso il centro. In relazione a tale intensità sta la proporzione relativamente scarsa dell'accrescimento naturale di fronte a quello complessivo delle città; così nei 22 comuni italiani di oltre 100 mila abitanti, nei quattro anni dall'aprile 1931 all'aprile 1935, a un indice reale di aumento 107,5 corrisponde un indice di accrescimento naturale 102,4 (103,1 e 104,4 rispettivamente per il regno).
La minore intensità di accrescimento naturale nei centri urbani non dipende generalmente da una più elevata mortalità bensì da una natalità più bassa, pur essendovi esempî in contrario (p. es. Bari, pur con spiccato carattere urbano, ha una natalità assai superiore a quella della sua provincia).
Fenomeno antico e normale appare in sé l'urbanesimo, in quanto per esso affluisce alle multiformi attività dei centri urbani quella parte della popolazione agricola che non potrebbe rimanere là dove il suolo non le concede il necessario per vivere o dove viene a mancare l'occasione di colmare tale deficienza con temporaneo lavoro altrove o con proventi di artigianato domestico.
Ma spesso queste correnti umane, in specie dopo lunghi periodi di crisi latenti o in conseguenza di illusorî miraggi di rapide fortune e, più spesso ancora, per un reale grave squilibrio fra i redditi agricoli e quelli urbani, vengono spinte senza meta dai campi e dai monti verso le città per incontrarvi le più amare delusioni e la miseria più dolorosa. È questa la tendenza all'esodo in massa, alla Landflucht, come l'hanno chiamata i Tedeschi, pericolo ugualmente grande per le città e per le campagne, e contro di esso debbono volgersi, e si volgono appunto specialmente in Italia, gli sforzi dei pubblici poteri, sia conquistando nuove terre alla coltura, sia intensificando produzioni corrispondenti alla natura dei diversi luoghi, sia infine risvegliando nelle popolazioni agricole, insieme con il sentimento della dignità e dell'importanza del proprio lavoro, la fiducia nel conseguimento di compensi non troppo dissimili da quelli con i quali ormai inevitabilmente esse sono portate a far confronti.
Bibl.: P. Meuriot, Des agglomérations urbaines, Parigi 1898; A. F. Weber, Growth of cities in the nineteenth century; a study in statistics, New York 1899; G. von Mayr, Die Bevölkerung der Grossstädte, Dresda 1903; G. Ferroglio, Un'evoluzione non abbastanza avvertita. L'urbanesimo o l'attrazione delle città, in Riforma sociale, X (1900) e XII (1902); E. Raseri, L'aumento di popolazione nelle grandi agglomerazioni urbane in Italia durante il secolo XIX, in Giornale degli economisti, II (1906); G. Mortara, Le popolazioni delle grandi città italiane al principio del sec. XX, in Biblioteca dell'economista, s. 5ª, XIX (1908); U. Giusti, L'addensamento e l'affollamento nei centri urbani italiani al 10 giugno 1911, Firenze 1912; id., Sur la mesure de la densité des agglomérations urbaines, in Bulletin de l'Institut int. de statistique, XX; id., Lo sviluppo demografico dei maggiori centri urbani italiani dalla fondazione del regno ad oggi, in Giornale degli economisti, marzo 1936. V. inoltre l'Annuario statistico delle città italiane (8 annate dal 1906); VII censimento generale della popolaz. al 21 aprile 1931, VII, Centri abitati; e gli Annuarî statistici dei principali paesi.