BOSCO, Umberto
Nacque a Catanzaro il 2 ottobre 1900, da Carmelo, avvocato dello Stato, e da Ambrosina Provenzano. Compiuti nella città natale gli studi secondari e il liceo, dove ebbe come docente Vincenzo Vivaldi, autore di una Storia delle controversie linguistiche in Italia, nel 1919 si iscrisse alla facoltà di lettere dell’Università di Roma, dove si laureò nel 1923 discutendo la tesi L’uomo-poeta dei romantici, relatori Vittorio Rossi e Cesare De Lollis. Dopo un triennio di insegnamento nell’istituto magistrale De Nobili di Catanzaro (1925-27), si trasferì a Roma con Ines Marano Toro, cui s'era unito in matrimonio nel 1927, chiamato con la formula del 'comando' da Rossi a far parte della Commissione per l’edizione nazionale delle opere di Petrarca e, contemporaneamente, nella redazione dell’Enciclopedia di scienze, lettere ed arti fondata da Giovanni Treccani. Ebbe così inizio il suo lungo e produttivo rapporto con l’Istituto della Enciclopedia Italiana.
Oltre a redigere non poche voci per i 35 volumi della grande opera, pubblicati in otto anni (1929-37) con rigorosa cadenza trimestrale, Bosco – promosso nel 1933 redattore capo e nel 1947 vicedirettore scientifico dell’Istituto – diresse le fasi preparatorie di un’enciclopedia 'minore' in 10 o 12 volumi che, per una serie di gravi difficoltà interne ed esterne, non fu mai realizzata, ma che nell’immediato dopoguerra avrebbe costituito la base per un progetto più ambizioso e inedito, il Dizionario enciclopedico italiano in 12 volumi (1955-63), nel quale per la prima volta venivano funzionalmente accorpati un’enciclopedia breve e un ampio repertorio lessicale e tecnologico. La stessa struttura caratterizzò l’impegnativa impresa successiva, anch’essa diretta da Bosco: il Lessico universale italiano di lingua, lettere, arti, scienze e tecnica, i cui 25 volumi furono pubblicati dal 1968 al 1981 (il primo Supplemento nel 1986).
L’opera più originale da lui ideata e diretta, tuttavia, fu indubbiamente l’Enciclopedia dantesca (1970-78), cinque volumi corredati da un’appendice, nei quali l’opera, la biografia, la lingua di Dante venivano esaustivamente analizzate dai maggiori studiosi del poeta, permettendo di realizzare un capillare aggiornamento degli studi danteschi grazie alla novità dell’impianto strutturale articolato in singole voci e alla competenza dei numerosi collaboratori.
Oltre alla Appendice II (1948), nel decennio 1975-86 Bosco diresse e coordinò anche le appendici III e la IV dell’Enciclopedia Italiana.
Ottenuta nel 1929 la libera docenza in letteratura italiana, esponendo una lezione su Galileo scrittore (pubbl. 1932, rist. in Saggi sul Rinascimento italiano, Firenze 1970), ottenne il primo incarico universitario nell’anno accademico 1929-30, passando poi come titolare della cattedra di letteratura italiana nell’Università statale di Milano (1942-45, prolusione: La lirica pariniana) e, dal 1946-47, nella facoltà di magistero di Roma, di cui fu anche preside a fine anni Cinquanta e dove insegnò fino al collocamento fuori ruolo (1970), continuando poi a tenere lezioni ed esercitazioni come professore emerito fino al 1975.
L’intensa e quotidiana dedizione alla docenza e all’organizzazione redazionale di impegnative opere enciclopediche non ostacolarono la produzione scientifica di Bosco, i cui interessi di studioso si accentrarono quasi immediatamente su alcuni momenti fondamentali della storia letteraria italiana, che segnarono altrettanti fils rouges della sua ricerca: primo fra tutti, il romanticismo, indagato a largo raggio, istituendo parallelismi o evidenziandone alcuni aspetti sottesi o inediti, rapportati, spesso per la prima volta, al quadro storico-letterario europeo.
La formazione metodologica alla scuola di De Lollis e Rossi lo portò a maturare un metodo critico risultante dalla fusione del programma filologico-estetico del primo con quello storico-letterario e filologico del secondo, approdando a un personale «programma critico […] secondo il quale l’unico modo di giudicare un poeta è quello di “studiarlo come poeta”»; programma che «si arricchirà sempre più per un verso della sperimentazione linguistica e stilistica […] e per altro verso si risolverà nell’individuazione per così dire gentiliana dell’unità spirituale della personalità poetica del poeta e della sua opera» (Mazzamuto, 1969, p. 3660).
Dichiarò in una nota autobiografica: «Ho fatto della filologia rigorosa, sforzandomi che non fosse fine a sé stessa. Mi sono posto di fronte ai poeti come a uomini, penetrando in qualche piega della loro anima e illuminando così qualche loro pagina» (Pagine calabresi, Reggio Calabria 1975, p. 272).
Denotano questo orientamento critico i suoi primi saggi, apparsi in La Cultura fra il 1924 e il 1928 e quasi tutti riuniti in Aspetti del romanticismo italiano (Roma 1942); tra essi rivelavano una già apprezzabile originalità d’indagine e di penetrazione Byronismo italiano, Il “Tasso” del Goethe e il “poeta romantico” e Il Tasso come tema letterario dell’Ottocento italiano, dove Bosco rintracciava in non pochi testi di autori ottocenteschi la presenza dei due Leitmotive nodali del romanticismo italiano, il titanismo ribelle ed eslege di Byron e l’effusione lirico-vittimistica incarnata in un Tasso eletto a martire di contingenze avverse o a simbolo dell’infelicità umana.
Negli anni seguenti Bosco accentrò le ricerche su alcuni scrittori della seconda metà dell’Ottocento, rintracciando ed evidenziando in essi la presenza del realismo come componente poetica e letteraria imposta da una nuova, sostanziale istanza di verità. Apparentemente puntati su singole personalità (Manzoni, Giusti, Prati, Tarchetti, Thovez, Carducci, Morselli, Gozzano e i crepuscolari), tali saggi possono in realtà considerarsi altrettante tessere di un ampio mosaico, come appare evidente dal volume in cui più tardi l’autore li raccolse, Realismo romantico (Caltanissetta-Roma 1959; II ed. riv. e accr., ibid. 1967). Due anni prima aveva pubblicato Titanismo e pietà in Giacomo Leopardi (Firenze 1957; II ed., Roma 1980), considerato non soltanto uno dei suoi studi critici più innovativi, ma fra gli esiti più originali della bibliografia leopardiana del Novecento; in esso, riprendendo un tema accennato nei saggi sul byronismo e l’interpretazione ottocentesca di Tasso e superando l’interpretazione crociana e romantica di un Leopardi cantore della propria condizione esistenziale, Bosco riconosceva la profonda natura della poesia del Recanatese nella compresenza dialettica fra atteggiamenti 'titanici' d’impronta alfieriana e la vena consolatoria di umana solidarietà, anzi di pietas per ogni essere vivente, in quanto vittima e compagno di pena.
Nel saggio introduttivo a un’edizione del Decameron (Rieti 1929) in cui aveva fatto convergere un articolo pubblicato nello stesso anno su La Cultura, Bosco dimostrava di aver già assimilato le linee esegetiche mutuate dai due maestri, in particolare la primaria importanza assegnata alla filologia e alla linguistica per l’accertamento di una lezione testuale il più possibile vicina all’originale dell’autore, condizione imprescindibile per una corretta analisi stilistica e storica di un testo, e strumento basilare per «penetrare più addentro possibile nell’anima e nel pensiero dei poeti, per godere a pieno della bellezza di volta in volta liberamente conquistata» mediante un’esegesi non soltanto mirata all’estetica, ma «curiosa […] di problemi generali» e nutrita «avidamente di filologia» (Un cinquantennio di studi sulla letteratura italiana (1886-1936), Firenze 1937, p. 7).
L’ampio saggio premesso al Decameron e l’introduzione a una riproposta del testo boccacciano (I-II, Roma 1946-51) costituiscono la prova della consapevole ed equilibrata adesione a questo programma esegetico, cui lo studioso informò l’intera produzione saggistica. Del capolavoro di Boccaccio Bosco evidenziava infatti le caratteristiche linguistico-sintattiche, le ritmiche prosodiche e narrative, le variate tonalità espressive che costituiscono oltretutto un funzionale collante dell’opera, pervenendo a un'innovativa e convincente definizione dello scrittore certaldese come «poeta dell’intelligenza» e del Decameron come epopea dell’uomo che, superate le idealità metafisiche del Medioevo, nelle contingenze esistenziali confida soprattutto nella propria «intelligenza viva ed operante» e nell’esperienza diretta del mondo; questa angolatura permetteva allo studioso di proporre una diversa lettura della personalità dell’autore, della sua posizione psicologica, artistica e mentale, approdando alla «caratterizzazione di un Boccaccio uomo e scrittore, còlto in un’omogenea dimensione di pensiero e di ispirazione, e calato nel suo specifico tempo filosofico e letterario» (Mazzamuto, 1969, p. 3663).
Eccezionale risultato di questo impegno ecdotico è il ritratto a tutt’oggi insuperato di Francesco Petrarca (Torino 1946, II ed. riv. e ampl., Bari 1961; rist. Roma 1968), frutto di una produttiva consuetudine con l’opera del poeta, attestata da alcuni interventi – in particolare Il Petrarca e l’Umanesimo filologico (in Giorn. stor. della letteratura italiana, CXX [1942], pp. 65-119) – ma consolidata soprattutto nel lungo periodo della stretta collaborazione con Rossi, che lo volle al suo fianco fin dall’inizio del gravoso impegno dell’edizione critica delle Familiares, i cui primi tre volumi apparvero (a Firenze per Sansoni) fra il 1933 e il 1937, il quarto e ultimo nel 1942, interamente curato da Bosco. Oltre a costituire un contributo fondamentale nella storia critica di Petrarca, il saggio segnava uno degli esempi più significativi del percorso critico di Bosco. Perfettamente calibrato fra indagine filologica e analisi stilistica, fra collocazione storica e approfondimento psicologico, il ritratto biografico, artistico e intellettuale del poeta veniva forse per la prima volta definito nella sua dimensione unitaria e nei suoi specifici contrassegni culturali.
Il Rerum vulgarium fragmenta non è dunque la storia di un conflitto esistenziale fra senso e ragione, fra spirito e carne, come aveva scritto Francesco De Sanctis e ripetuto Benedetto Croce: dominante nel capolavoro è infatti la percezione della labilità delle cose umane, il senso della «fugacità totale, leopardianamente cosmica» del reale (Petrarca, 1961, p. 55), che genera il dissidio «tra la religione e la ragione da una parte, che gli impongono la concezione di un Dio che comprenda tutto ma in cui tutto si annulli, e l’incoercibile forza del sogno dall’altra, che lo trascina a concepire un Dio riposo degli affanni» (p. 82); e l’amore è un omaggio alla tradizione stilnovistica, «che imponeva di incentrare nell’amore e nella donna ogni più varia esperienza, che altrimenti sarebbe rimasta evanescente e astratta» (p. 26); così, Medioevo e Rinascimento in lui coesistono e si fondono, in quanto è medievale «l’antitesi umano-divino», «rinascimentale la conciliazione» cui aspira il poeta (p. 84): Bosco insomma «si guarda bene dal rinascimentalizzare tutto il Petrarca e dal fargli perdere quella componente medievale che è parte integrante del suo dissidio e della sua vitalità spirituale e poetica» (Mazzamuto, 1969, p. 3669). Merito non ultimo dello studioso è poi l’aver attuato una puntuale ricognizione dei testi petrarcheschi per accertare presenza e modalità di fruizione dei classici latini.
Un’analoga composizione di conflittualità storiografica personalizzò gli interventi sul Rinascimento, elaborati nell’arco del quindicennio 1952-68, raccolti e risistemati in volume «con tagli, qualche aggiunta, qualche aggiornamento» (cfr. Saggi sul Rinascimento italiano, cit., p. 229), e felicemente rilegati in un discorso che, pur coinvolgendo non poche problematiche e varie personalità da Boccaccio a Tasso, risulta compatto e conseguente.
Stabilito che «l’epicentro del moto rinascimentale […] ha in Italia come punti di partenza e di arrivo il Petrarca e il Tasso» (ibid., p. 17), Bosco proponeva un’articolata disamina di alcune costanti del Rinascimento, precisando anzitutto che con esso «non rinasce nulla, ma nasce qualcosa di assai importante: un modo sostanzialmente nuovo di pensare, di sentire, di vivere; e quindi di esprimersi nelle arti e nella poesia» (p. 24).
Riguardo poi alla vulgata opinione di un’equivalenza fra Rinascimento e classicismo, ne negava la validità, mettendo in dubbio che «veramente il Rinascimento sia tutto classicismo» e chiedendosi «se esso non abbia anche un’altra faccia, dichiaratamente anticlassicista», che riconosceva nella presenza della «vena popolareggiante», la quale «lungi dal costituire un episodio, gradevole ma aberrante, in un ricco contesto di alto decoro letterario, è invece, accanto a quel decoro e a pari dignità storica con esso, un elemento essenziale della letteratura del Rinascimento» (p. 50). In essa sottolineava una pervasiva bipolarità composta da un’aspirazione al mito e al sogno che contrasta con un altrettanto tenace richiamo della realtà, incrinando così il senso (e il credo) di equilibrata fermezza che costituiva il luogo dei punti del movimento stesso. Ne deriva un «senso del limite», di «qualcosa che resiste e sfugge all’uomo», e lo spinge però a «ignorare ciò che non si può vincere». Ma la consapevolezza del limite «non dà luogo al dramma, e neppure in fondo alla grande elegia; favorisce piuttosto il rifugio nell’idilliaco», senza che questo comporti un estraniarsi dalla vita: se infatti i letterati «attingono alla vita vissuta, la vedono attraverso la squisitezza di ricordi e di schemi letterari: l’imitazione dei classici […] serve […] per liberare la realtà dalla contingenza, per trasformarla in mito, cioè per collocarla nella sfera del sogno. […] Il Rinascimento esprime il suo senso del limite, la sua coscienza che l’uomo, per privilegiato che sia, può non raggiungere la sua felicità, anche nel campo del relativo e del terreno. Altre età svilupperanno il tema drammaticamente. Il Rinascimento sorride con disincantata saggezza» (pp. 19-32, passim).
Nel 1970 uscirono i primi due volumi dell’Enciclopedia dantesca, l’opera cui Bosco aveva pensato dai «giorni amari» del biennio 1943-45, quando «gli uffici dell’Enciclopedia – ma non le sue carte più preziose, che si fece in tempo a nascondere – furono portate di là della linea gotica»; privato della cattedra milanese e del lavoro enciclopedico, lo studioso, «oltre naturalmente a pensare a come sbarcare il lunario […] e a trovar qualcosa da mangiare e da far mettere sotto i denti» ai familiari, cominciò a progettare «un’enciclopedia nuova […]. Ne meditai i possibili fini, studiai la struttura, disegnai l’organizzazione; e con l’aiuto dei miei soli libri personali (le razzie tedesche rendevano pericolosa anche la frequentazione di biblioteche), cominciai a farne lo schedario» (Altre pagine dantesche, Caltanissetta-Roma 1987, pp. 263 s.).
Il nuovo progetto rappresentò il traguardo di una lunga e appassionata consuetudine con l’opera di Dante, testimoniata dalle illuminanti lecturae e dai numerosi saggi via via pubblicati nel cinquantennio 1937-87, poi raccolti nei due volumi Dante vicino: contributi e letture (Caltanissetta-Roma 1966) e, postumo, Altre pagine dantesche.
Una delle linee interpretative più originali dell’esegesi di Bosco su Dante, in particolare sulla Commedia, è senza dubbio il costante procedere ecdotico perfettamente bilanciato tra filologia testuale, analisi linguistica, esegesi storico-culturale e sorvegliata introspezione, che gli permette di evidenziare e valorizzare in modo convincente la componente autobiografica che percorre l’intera produzione dantesca, pervenendo a ritrarre un inedito «Dante vicino. Non nel senso che questo libro avvicini il poeta a noi attribuendogli, antistoricamente, idee e affetti nostri, ma nel senso che esso tenta di spiegare – in varie direzioni di ricerca – la sua vicinanza a noi, che tutti, anche i meno preparati, avvertiamo, e che sola ci fa cercare il suo volume; e a determinarne le ragioni, i modi e i limiti» (Dante vicino…, 1966, p. 12). In effetti, osservava Vittore Branca, «da questo ricco e complesso autobiografismo […] si sviluppano coerenti i due linguaggi […]. L’uno è quello che rampolla proprio da una “domesticità” diffusa nella rappresentazione dell’aldilà […]; l’altro si esprime nella larga vena narrativo-teatrale» per la quale il poeta «ricorre anche a fonti popolaresche», attuando, «con prepotente energia poetica, una vera “classicizzazione” del popolare» (in L’italianistica…, 1994, p. 10).
Condotta di pari passo con la psicologica, la penetrazione filologica e l’attenzione sui portati semantici di metafore o di singoli vocaboli avallano approfondimenti e novità interpretative di grande solidità, senza mai slittare nelle minuzie di un iperfilologismo che perda di vista la provata, inviolabile compattezza strutturale del poema o la funzionale esemplarità di un episodio o di un personaggio.
Il «lungo studio e ‘l grande amore» per Dante testimoniati nei numerosi saggi e nelle limpide sintesi accortamente divulgative per la serie radiofonica Classe unica, cui si aggiungevano ovviamente i fervidi anni dell’operosa e produttiva direzione dell’Enciclopedia dantesca, confluirono nell’edizione commentata della Commedia (con G. Reggio, Firenze 1979), nuova anche nella concezione strutturale di canti introdotti da vere e proprie lecturae: opera che nella Premessa (p. XII) Bosco affermò essere «un atto di fede, oltre che nella scuola, nei valori della cultura e della storia, che qualcuno sciaguratamente e scioccamente mette in discussione»; e che costituisce certamente uno dei lasciti più generosi e significativi della sua presenza culturale.
Numerose e importanti le cariche rivestite da Bosco nel corso della sua lunga carriera di studioso, di promotore culturale e di docente. Socio ordinario fin dal 24 aprile 1938 delle Accademie dell’Arcadia (Eristeno Nassio), della Crusca (socio dal 1955, accademico dal 1970, emerito dal 1975) e dei Lincei (socio corrispondente per la classe di scienze morali, storiche e filologiche dal 1960, poi socio nazionale dal 1971), e inoltre dal 1959 al 1981 presidente della Commissione per l’edizione critica delle opere di Francesco Petrarca e dal 1969 vicepresidente della Fédération internationale des langues et littératures modernes, Bosco «ha ubbidito a un ideale di cultura come servizio, come arricchimento spirituale della società» (Branca, in L’italianistica…, 1994, p. 11), promuovendo importanti iniziative editoriali, come la continuazione del Repertorio bibliografico della letteratura italiana di G. Prezzolini per gli anni 1943-53, le Concordanze dei Canti del Leopardi, curate da A. Bufano, e quelle del Decameron da A. Barbina, ambedue del 1969; e diverse iniziative di spicco, prima fra tutte l’Associazione internazionale per gli studi di lingua e letteratura italiane (AISLLI), di cui fu presidente effettivo dal 1951 al 1973, quindi onorario fino al 1987. Il 10 giugno 1976 la Cambridge University gli conferì la laurea honoris causa.
Sotto la sua presidenza quasi trentennale (1959-87) il Centro nazionale di studi leopardiani di Recanati conobbe non soltanto la risistemazione quasi totale della sede, requisita dalle autorità militari alleate dal luglio 1944 al 1947, ma soprattutto un deciso incremento dell’attività scientifica, con corsi specialistici tenuti da illustri studiosi, seminari internazionali per giovani leopardisti e, a partire dal 1962, con l’organizzazione di rinomati convegni internazionali a cadenza quadriennale. Nel 1964, nella veste di membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione sollecitò e sostenne l’istituzione della facoltà di lettere nell’Università di Macerata.
Una delle sue meritorie iniziative fu il 'salvataggio' dell’appartamento in cui a Roma visse e morì Luigi Pirandello, di cui una transazione siglata fra lo Stato, nuovo proprietario dell’intero stabile, e gli eredi dello scrittore aveva sancito nel 1942 il mantenimento e la custodia in cambio della donazione della biblioteca e di tutte le suppellettili: impegni restati lettera morta, determinando un progressivo e grave degrado. Nel 1961, al convegno di Venezia per il 25° anniversario della morte dello scrittore, Bosco si fece portavoce dell’istanza di recupero e valorizzazione dell’appartamento, «sì da trasformare quello che ora è squallido e triste deposito di pochi cimeli di un morto, in alacre officina di studi su un vivo» (in Pirandello…, 1973, p. 14), proponendo la fondazione dell’Istituto di studi pirandelliani e sul teatro contemporaneo: la mozione trovò immediato favore anche delle istituzioni statali, sollecite nel sostegno finanziario, che permise il quasi immediato inizio delle attività, attivamente promosse e sostenute fino al 1987 dalla venticinquennale direzione di Bosco e tutt’oggi attivo, arricchito di un patrimonio archivistico, documentario e librario di notevole importanza.
Morì a Roma il 25 marzo 1987.
Una bibliografia delle pubblicazioni dal 1922 al 1970, curata da E. Esposito, è consultabile in Saggi sul Rinascimento italiano, cit., pp. XVII-XXXII. Fra le opere non citate nel testo: G. Giusti, Poesie e prose scelte, introd. e commento, Milano 1936; Tre letture dantesche [Inf. XII, Purg. IV e XXIX], Roma 1942 (rist. in Dante vicino, cit.); F. Petrarca, Le Familiari, IV (libri XX-XXIV, Avvertenza e Indici), a cura di U. Bosco, Firenze 1942; Lirica alfieriana, Asti 1943; Preromanticismo e Romanticismo, in Questioni e correnti di storia letteraria, Milano 1949, pp. 597-657 (poi in Realismo romantico, cit.); Letteratura italiana dell’Ottocento, Torino 1954; L’Inferno, ibid. 1955; Il Purgatorio, ibid. 1957; Profilo storico della letteratura italiana, Roma 1957 (estr. dalla voce Italia del Lessico universale italiano, IX, pp. 115-137); Titanismo e pietà in Giacomo Leopardi, Firenze 1957 (II ed., Roma 1980); Il Paradiso, Torino 1958; Dal Rinascimento all’Arcadia, Lecce 1959; Dante. La vita e le opere, Torino 1966; Il linguaggio lirico del Petrarca tra Dante e il Bembo, in Studi petrarcheschi, VII (1961), pp. 121-132; Scritti sul teatro, a cura di A. Barbina, Roma 1989.
Roma, Arch. storico dell'Istituto della Enciclopedia Italiana, Fondo Bosco; P. Mazzamuto, U. B., in Letteratura italiana (Marzorati), I critici, V, Milano 1969, pp. 3659-3676; Pirandello. Quaderni delll’Istituto di Studi pirandelliani, 1, Roma 1973; L’italianistica alla Enciclopedia italiana, a cura di V. Cappelletti - I. Baldelli, Roma 1994 (contiene: V. Branca, La filologia totale di U. B. e Giorgio Petrocchi, pp. 7-14; A. Greco, U. B. critico della letteratura italiana, pp. 15-21; G. Resta, Gli studi sul Rinascimento di U. B. e Giorgio Petrocchi, pp. 23-29); [F. Foschi], Breve storia del Centro nazionale di studi leopardiani, Macerata 1994, pp. 57-60; R. Tofani, U. B., in Diz. critico della letteratura italiana del Novecento (Editori riuniti), a cura di E. Ghidetti - G. Luti, Roma 1997, pp. 116 s.; [A. Barbina], Un francavillese del Piano di Brossi, a cura di F. Accetta - G. Floriani, Francavilla Angitola 2007.