ULTRAVIRUS
. Più comunemente, ma meno esattamente, chiamati virus filtrabili, costituiscono una categoria di agenti infettivi, distinti dalle tre proprietà: essere filtrabili, invisibili, incoltivabili. L. Pasteur (1881) per primo, dopo avere invano cercato al microscopio il germe della rabbia, espresse la possibilità che esistessero germi per la loro piccolezza invisibili ai nostri mezzi ottici. Un primo appoggio a questa idea fu dato da D. Iwanowski (1892), dimostrando che la malattia a musaico delle foglie del tabacco poteva venire trasmessa col filtrato dei prodotti patologici attraverso candela di porcellana. La scoperta che segna la data decisiva è quella di F. Löffler e P. Frosch (1897), i quali, lavorando sull'afta epizootica, ottennero di riprodurre la malattia col filtrato del contenuto delle vescicole, e mediante ripetuti passaggi esclusero potesse trattarsi di un agente di natura chimica. Aperta così la via, le dimostrazioni di forme filtrabili si sono venute moltiplicando senza posa - e prime fra esse della peste equina (J. Mac Fadyean, 1900), della febbre gialla (W. Reed e collaboraton, 1900), della peste aviaria (E. Centanni, 1901) - finché al momento presente questi virus superano ormai l'ottantina, e vi sono comprese malattie della maggiore gravità ed estese a tutta la superficie della terra. Aggiunto a questo che anche per i germi visibili s'è trovato che traversano una fase di filtrabilità, s'arriva a dover concludere che il campo delle malattie infettive è dominato, non dalle forme comuni batteriche, ma dagli agenti di questa misteriosa famiglia.
Del vasto elenco riporteremo gli ultravirus che emergono sugli altri, sia perché v'è specialmente interessato l'uomo e anche alcuni animali domestici, sia per la gravità e le speciali caratteristiche delle malattie promosse. Degli altri buona parte appartiene a forme epizootiche, diffuse particolarmente negli allevamenti dei paesi tropicali. Come base di classificazione sono stati scelti i due principali criterî, o la specie di esseri che ne restano colpiti, o la sede elettiva nell'organismo.
Seguiremo quest'ultima che vale a illuminare più da vicino le proprietà biologiche.
Dermotropi. - Vaiolo (O. Casagrandi, 1908). Vaccino Jenner (A. Negri, 1905). Herpes semplice (C. Levaditi e P. Hervier, 1920). Morbillo (J. F. Anderson e J. Goldberger, 1911). Afta epizootica (F. Löiffler e P. Frosch, 1897). Vaiolo ovino (A. Borrel, 1902). Epitelioma contagioso dei polli (E. Marx e A. Sticker, 1902).
Neurotropi. - Rabbia (P. Remlinger e Riffat Bey, 1903). Encefalite epidemica (I. Strauss, S. Hirschfeld e L. Loewe, 1919). Poliomielite anteriore (K. Landsteiner e E.C. Levaditi, 1909). Corea del Sydenham (E. Hermann, 1924).
Organotropi. - Tracoma? (E. Bertarelli, 1908). Parotite epidemica (M. Wollstein, 1916). Agalassia contagiosa? (A. Celli e D. De Blasi, 1906). Periarterite nodosa (H. A. Harris e G. Friedrichs, 1922). Leucemia del pollo (V. Ellermann e O. Bang, 1908).
Quadro setticemico. - Febbre gialla (W. Reed, J. Carroll, A. ogramonte e J. Lazear, 1900). Influenza (Ch. Nicolle e Ch. Lebailly, 1918). Febbre da pappataci (P. M. Ashburb e C. F. Craig, 1907). Psittacosi (W. Lewinthal, 1930). Peste aviaria (E. Centanni, 1901). Peste porcina (E. A. de Schweinitz e M. Dorset, 1903). Peste bovina (Ch. Nicolle e Adil Bey, 1902). Peste equina (J. MacFadyean, 1900). Cimurro del cane (H. Carré, 1926).
Blastocitosi. - Esplicano azione proliferativa sulle cellule. Sarcoma filtrabile del pollo (P. Rous, 1911). Verruca vulgaris (G. Ciuffo, 1907). Condiloma acuminato (M. Ziegler, 1921). Mollusco contagioso (M. Juliusberg, 1905). Mixoma del coniglio (G. Sanarelli, A. Moses, 1911).
Oltre i Mammiferi e gli Uccelli, compresi nelle forme citate, sono da aggiungere: nei Pesci: malattia linfocitica (R. Weissemberg, 1931); negli insetti: malattia poliedrica delle larve (A. Paillot, 1926), nelle piante: malattia a musaico delle foglie del tabacco (D. Iwanowski, 1892); nei batterî: batteriofago (F. W. Twort, 1915; F. d'Hérelle, 1917).
La filtrabilità è la capacità di questi virus di passare attraverso le comuni candele porose - di porcellana (Chamberland), di terra d'infusorî (Berkefeld) -, le quali trattengono gli ordinarî germi visibili al microscopio. Il liquido filtrato risulta per tal modo otticamente vuoto, dato che la visibilità del microscopio alla luce monocromatica non supera al massimo il limite di μ 0,2. Con questo si viene, al tempo stesso, a trovare ragione del secondo carattere di questi virus, l'invisibilità. Tuttavia, a superare questi limiti verso il più minuto, la scienza è riuscita a trovare due sussidî: l'ultrafiltrazione e l'ultramicroscopio.
L'ultrafiltrazione (H. Bechhold) è la filtrazione fatta attraverso membrane di collodion, le quali, col graduare la densità della soluzione con cui sono preparate, dànno pori di sottigliezza crescente fino a raggiungere le dimensioni molecolari. Cosicché, prendendo a base pori e molecole di grandezza conosciuta, si può stabilire la dimensione delle particelle che si trovano sospese nel liquido filtrato.
L'ultramicroscopio (O. Szigmondy e G. Siedentopf) è quello che illuminando l'oggetto, anziché direttamente, con un forte fascio laterale, rende visibili, come punti brillanti in campo oscuro, particelle non raggiunte dal microscopio nell'ordinario dispositivo.
Per dimensioni così estremamente ridotte s'è reso necessario stabilire speciali unità di misura, e cioè: μ - micron = 1 millesimo di mm.; μμ o mμ = millimicron = 1 milionesimo di mm. Nella radiologia per lunghezze di onda: Å = Angstrom =.1/10 di mμ. Nei riguardi della visibilità ai mezzi ottici si distinguono: microni = particelle visibili al comune microscopio, fino a μ o,2; submicroni = visibili solo all'ultramicroscopio, fino a 4 mμ; amicroni = non più visibili oltre questi limiti.
Parecchi osservatori si sono occupati di determinare le dimensioni degli ultravirus. Diamo alcune cifre, dedotte particolarmente dalle ricerche di W. J. Elford e C. H. Andrews e di H. Bechhold e M. Schlesinger:
I dati fra i varî osservatori non sono sempre concordi, ma, più di tutto, a diminuirne ancor più il valore, grava la forte obiezione che, essendo le particelle, che divengono visibili nel filtrato, prive della capacità per loro stesse di moltiplicarsi, resta il dubbio se esse rappresentino realmente l'ultravirus o non siano piuttosto precipitati, facili a stabilirsi in un mezzo di contenuto regolarmente albuminoso. Un valore tuttavia resta alle minime dimensioni trovate, quali quelle dei primi virus della scala sopra riportata. Dato che la dimensione media della molecola proteica sta attorno ai 5 mμ, bisogna ritenere che questi virus, come organismi viventi, possano essere costituiti anche solo da 1 - 5 - 10 molecole, ciò che non pare conciliabile con la complessità della vita, almeno se non si voglìa ammettere, come avanza R. Doerr, una rivoluzione negli elementi costitutivi della vita simile a quanto è avvenuto per l'atomo.
A meglio chiarire la natura, formata o no, di questi virus, s'è ricorso all'ultracentrifugazione, centrifugazione fatta cioè fin oltre a 100.000 giri per minuto e continuata per diverse ore. S'è trovato per diversi virus, che realmente il liquido della parte bassa del tubo viene ad acquistare un titolo maggiore di virulenza; per alcuni altri, quale ad es. la malattia poliedrica delle larve, questa differenza non si è riusciti a notare. Mentre per questi ultimi casi si sarebbe piuttosto portati a pensare a una soluzione vera, per gli altri resta il dubbio se il virus sia semplicemente aderente a brandelli di protoplasma della cellula infetta, ovvero sia adsorbito dai precipitati.
L'incoltivabilità è l'incapacità di questi virus a moltiplicarsi nei terreni artificiali, anche se meglio preparati, conderivati dell'organismo. Ogni volta che qualche risultato positivo in questo senso è stato comunicato, prontamente nuove esperienze lo hanno contraddetto: l'incapacità alla vita autonoma deve pertanto ritenersi assoluta. Solo possibile è la moltiplicazione in simbiosi con la cellula vivente (biotropismo), e anche questo non avviene se non sotto le due specifiche condizioni: che la cellula sia elettiva e che si trovi in fase di attività.
Quanto alla localizzazione elettiva se ne ha già la prova nell'organismo vivente, notandosi una speciale sintomatologia per ciascuno di questi virus, e più di tutto risultando alla necroscopia virulenti solo dati organi e tessuti, e scoprendosi solo in essi le alterazioni caratteristiche. Fra queste alterazioni una considerazione speciale hanno attratto le cosiddette inclusioni, formazioni generalmente di aspetto globulare, distinte per forma e colorabilità dal resto del protoplasma cellulare. Dopo avere tentato in un primo tempo di interpretarle come parassiti esse stesse, e più precisamente protozoi, sono ora riconosciute come sequestri di zone di protoplasma dove il virus ha più intensamente agito. Nondimeno, dove rivestono caratteri ben definiti, come nei corpi del Guarnieri per il vaiolo e del Negri per la rabbia, tali inclusioni riescono di utile ausilio per la diagnosi.
Sebbene il principio della specificità sia regolarmente rispettato, pure negli organismi infetti avviene non di rado di trovare virulenti altri organi fuori dell'elettivo. E questa diffusione è da ritenersi, in parte, passiva per imbibizione o adsorbimento del virus penetrato in circolo col disfarsi delle cellule elettive, ma in parte può essere in azione una vegetazione attiva sostenuta da speciali correlazioni fra organi in apparenza diversi. Una di queste è stata segnalata da C. Levaditi, il quale, notando il frequente scambio di localizzazione fra sede nervosa e sede cutanea di alcuni di questi virus - herpes, encefalite, vaiolo, rabbia - ne ha attribuita la ragione alla comune origine di tali tessuti dall'ectoblasto: donde a tal gruppo il nome di ectodermosi. Si nota pure la facile diffusibilità di crescita in tessuti diversi, quando le cellule si trovano nello stadio embrionale.
Considerevole ampliamento delle conoscenze su questi virus è stato portato dall'applicazione delle colture dei tessuti in vitro, metodo con il quale frammenti staccati di tessuto, messi in opportune condizioni, seguitano fuori dell'organismo a moltiplicarsi e relativamente anche a funzionare.
S'è avuto con questo la dimostrazione, innanzi tutto, che il virus non si moltiplica che nelle cellule per esso elettive, quali le nervose per la rabbia e le cutanee per il vaiolo; e inoltre che se, per difetto di nutrizione o di temperatura o per presenza di sostanze ostacolanti, la cellula si trova in riposo o in stato di vita latente, ogni moltiplicazione del virus s'arresta, e riprende non appena la funzionalità è ristabilita. Questi stessi fatti sono con ogni evidenza verificabili per il batteriofago nei suoi rapporti col rispettivo batterio, data l'opportunità di studiarli nelle comuni colture.
Il legame così stretto che questi virus per moltiplicarsi mostrano con la vita della cellula, fatto di cui fra i germi conosciuti non si riesce a trovare corrispondente esempio, male si accorda con la natura vivente, e porta piuttosto il pensiero a ritenerli come una elaborazione chimica del ricambio cellulare.
Grande importanza, per le sue conseguenze, ha il quesito se sia possibile la creazione di questi virus per via artificiale; e cioè se, sulla guida della teoria dell'autocatalisi, si possa arrivare, sottoponendo la cellula a speciali stimolazioni, ad accendere nel suo ricambio la comparsa del fattore causale come catalizzatore riproducibile.
E questo fatto sembra abbia già cominciato a ricevere realizzazioni: 1. per il virus del sarcoma filtrabile del pollo, il quale si vede nascere sottomettendo tessuto embrionale all'azione del catrame, dell'arsenico e dell'indolo; 2. per il batteriofago, pure visto comparire in mezzi dimostrati assolutamente privi di esso; 3. si considera anche (R. Doerr) la frequenza con cui in alcune febbri compare l'herpes labialis, tanto più che anche E. Centanni l'ha visto forte e regolare per alcuni estrattì batterici e mancare in altri, indipendentemente dalla elevazione termica.
Pochi finora i risultati in questo senso, specie per la difficoltà di cogliere lo stimolo adatto e per la non sufficiente insistenza nei tentativi. Forte sarebbe il loro appoggio in pro della teoria chimica; se tuttavia si volessero interpretare come accidentale presenza di agente vivo, bisognerebbe ammettere una grande ubiquità di questi virus, che non è nella loro natura né è stata altrimenti dimostrata.
Fra le proprietà pure molto studiate di questi virus sono quelle sulla loro resistenza di fronte agli agenti fisici e chimici, fatte con l'intento sia di dare norma per le misure igieniche e sia di illustrarne l'intima natura. Il complesso delle prove porta in generale a mettere la resistenza media degli ultravirus nel limite delle forme vegetative dei batterî: inattivati alle temperature fra 55° e 60° e dai disinfettanti alle comuni soluzioni. Ve ne sono tuttavia che dànno prova di resistenza paragonabile alle forme sporigene, e alcuni anzi parrebbe sopra di esse, come indica la tolleranza contro i fluoruri, l'acido cianidrico, il cloroformio, le radiazioni.
Da una parte, la forte alterabilità stabilirebbe per questi virus un parallelo con fragili molecole tipo enzimi, e dall'altra parte la forte resistenza starebbe a indicare la natura di molecole semplici, tanto più se viene confermata la natura non proteica di alcuni di questi virus depurati e la loro estrazione col mezzo dei solventi dei grassi.
La diffusione e la micidialità delle malattie da questi virus promosse dovevano ben presto richiamare su essi i tentativi di applicazioni immunitarie: effettivamente, anzi, l'immunità trae da essi le scoperte fondamentali, vaccinazione contro il vaiolo e contro la rabbia. Il risultato delle ampi e ricerche su questo soggetto può in breve riassumersi nel principio, che i fatti immunitarî per gli ultravirus si svolgono sul piano generale, comportandosi come antigene l'agente causale, sia esso vivente o chimico.
Si trova, innanzi tutto, che la malattia sofferta lascia dietro di sé immunità, la quale da molto breve, come per l'herpes, può estendersi anche per tutta la vita, come per il vaiolo. D'altra parte alcune di queste malattie si svolgono con malignità tale che nessuno degli attaccati, o eccezionalissimamente solo taluno, riesce a sopravvivere, come s'osserva per la peste aviaria e per la rabbia.
L'immunizzazione artificiale incontra difficoltà dal fatto di doverne trarre il materiale non da colture, ma da organi infetti, dove il virus non raggiunge di regola una forte concentrazione e si trova inoltre complicato a detriti di tessuto; onde con i vaccini uccisi non è facile stabilire un'iperimmunizzazione sufficiente, e si preferiscono perciò vaccini a virus vivo attenuato, come appunto si fa per il vaiolo e per la rabbia.
Nel siero di sangue, tanto nei guariti quanto negli immunizzati, si riesce a dimostrare la presenza di anticorpi - primi per la rabbia V. Babes, G. Tizzoni e E. Centanni - identificabili particolarmente per il potere virulicida, di rendere cioè innocuo il virus per mescolanza. Per l'uso pratico questi sieri non hanno molto corrisposto, dato il loro non troppo elevato potere di fronte alla micidialità delle forme che debbono domare. S'è trovato di qualche utilità ricorrere al siero dei convalescenti, come particolarmente per la scarlattina, e di farne l'applicazione piuttosto come preventivi.
La coltura dei tessuti in vitro ha aperto, anche per questo aspetto immunitario, importanti prospettive: il virus vi raggiunge una notevole concentrazione, favorita in particolare dalla aspecificità di moltiplicazione propria dei tessuti, come è nelle colture, al grado embrionale. Uno dei più manifesti esempî è dato, per gli studî di A. Carrel e T. M. Rivers (1927), dal virus di Jenner che questi autori hanno visto moltiplicarsi fittamente nell'embrione di pollo, sì da potersi calcolare che un solo embrione possa dare materiale, asettico ed economico, quanto ne dà un intero vitello, materiale nell'effetto pratico dimostratosi con tutte le qualità del bovino.
Sulla natura degli ultravirus stanno di fronte due concezioni: o sono minutissimi esseri viventi, oppure principî chimici (più facilmente enzimi) riproducibili: l'antica vicenda di virus vivum e virus inanimatum.
Questo antagonismo cominciò a manifestarsi fin dalle prime scoperte. Mentre F. Löffler e P. Frosch (1897) sull'afta epizootica si pronunciarono per la natura vivente, M. W. Beijerinck (1898) sul musaico delle foglie del tabacco fece un primo passo con la designazione ibrida di contagium virum fluidum. E. Centanni (1904) si pronunziò decisamente per la natura chimica, chiamandone in appoggio, a fine di eliminare la difficoltà a credere che un principio chimico potesse riprodursi all'infinito, il fenomeno ben conosciuto in chimica dell'autocatalisi.
Sta questo fenomeno a indicare la capacità che una reazione ha, durante il suo svolgersi e per opera di sé stessa, di riprodurre continuamente l'agente che le ha dato l'impulso. Esempio, fra i più citati, quello dell'acido nitrico e dello zinco, i quali, puri, non riescono ad attaccarsi; basta aggiungere una traccia di acido nitroso, perché la reazione si avvii; ma poi l'attacco dello zinco, con lo stabilire una continua riduzione dell'acido nitrico in nitroso, viene a rendere inesauribile la riproduzione di questo catalizzatore, sicché la piccola traccia di acido nitroso da principio aggiunta funziona non altrimenti che l'innesto del batterio per stabilire l'illimitata riproduzione nei successivi trapianti della coltura.
Sebbene sui primi tempi la teoria del vivo trovasse più facile corso, come diretta derivazione dalla dottrina batteriologica, col progredire delle ricerche sono venuti a emergere sempre più elementi in favore della teoria chimica, portandola a guadagnare una serie crescente di valorosi osservatori: J. Bordet e M. Ciuca, A. Carrel, J.B. Murphy, E. Frankel, R. Otto, E. Berger, E. Plantureux, H. Munter, A. Gratia, J. Maisin, E. Gildemeister, M. Kollmann, K. v. Angerer, W. Seiffert, R. Broca, W. M. Stanley, F. Jacobsthal e principalmente R. Doerr che ultimamente ne ha riassunto i dati confortati con proprie esperienze.
Raccogliendo gli elementi della precedente discussione, sarà facile allineare gli argomenti in favore dell'una e dell'altra teoria:
1. sono comuni in favore dell'una come dell'altra teoria: trasmissione in serie, capacità antigene e resistenza ai mezzi fisici e chimici;
2. per la teoria vivente, come argomento maggiore, sta la capacità di questi virus di modificare la loro virulenza, sia con l'esaltarla per ripetuti passaggi sia con l'adattarsi a condizioni sfavorevoli (antisettici, sieri immuni);
3. per la natura chimica militano più fortemente: a) la necessità assoluta che questi virus hanno per svilupparsi della cellula vivente, come se fossero una elaborazione di essa; b) l'estrema esiguità della loro massa, di così limitato numero di molecole, poco compatibile con la complessità di organizzazione che si conosce necessaria alla vita; c) la possibilità di produrli artificialmente, sottomettendo le cellule a stimoli aspecifici.
La questione è tuttavia ancora sub iudice; però sia nell'una o nell'altra direzione il vero, l'esistenza di questi virus non cessa di essere altamente meravigliosa: o macchine viventi di una piccolezza inconcepibile o molecole cosiffatte, da rinascere dai residui della cellula che esse hanno distrutta.
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