UGONE III d'Arborea
UGONE III d’Arborea (Uguet, Hugo). – Figlio primogenito di Mariano IV e della nobile Timbor de Rocabertí, nacque intorno al 1337 in Catalogna, probabilmente a Molins de Rey.
Giunto in Sardegna nel 1339, Ugone visse con la famiglia nel castello del Goceano dove trascorse buona parte della fanciullezza con le sorelle Benedetta, Eleonora e un’altra di cui non si conosce il nome, scomparsa in tenera età. Ugone esordì nella vita pubblica il 13 novembre 1354, quando si impegnò a rispettare – una volta raggiunta la maggiore età – la pace di Alghero, stipulata tra Mariano IV (con i Doria) e Pietro IV d’Aragona. Poche settimane dopo (20 dicembre 1354) Ugone con le sorelle fu tra i destinatari del guidatico richiesto da Timbor, intenzionata a raggiungere Pietro IV, allora in Sardegna, per un colloquio distensivo, ma l’incontro fu rinviato.
Mariano IV, padre di Ugone, aveva infatti negli anni precedenti modificato la tradizionale linea politica della famiglia, opponendosi duramente alla Corona aragonese. Nei mesi successivi, gli attriti proseguirono in occasione del parlamento celebrato a Cagliari (15 febbraio-14 marzo 1355); Mariano IV non si presentò e nelle trattative che seguirono non acconsentì a inviare in ostaggio in Catalogna Ugone (né le due figlie da sposare); la pace di Sanluri (11 luglio) fu stipulata da procuratori.
Nel frattempo, Ugone fu emancipato (14 marzo 1355) e scortò la madre nell’incontro con Pietro IV, nel quale, tra vari temi, si discusse di un possibile matrimonio con la cugina Beatriu d’Exèrica, figlia di Bonaventura, sorella di Mariano (v. Ugone II d’Arborea in questo Dizionario) e di altre eventuali unioni che avrebbero rafforzato i legami dell’Arborea con la Corona. Negli anni successivi (1357) Mariano ipotizzò per Ugone le nozze con Violante di Brancaleone II Doria, erede di cospicui possedimenti e di fortezze nel Logudoro (suscitando le contromisure del re, che legittimò un suo fratello, figlio naturale e omonimo del padre, Brancaleone III). Nessuna di queste ipotesi andò in porto e Ugone sposò una Prefetti di Vico (figlia di Giovanni III signore di Viterbo e Civitavecchia), scelta che esulava dal quadro auspicato dal sovrano catalano-aragonese.
Dopo alcuni anni di tregua, il conflitto riprese e Ugone III diede prova delle sue doti militari, guidando le operazioni in Logudoro e costituendo una piccola flotta. Le prime avvisaglie della rottura si palesarono già nel 1361, quando in accordo con lui, gli ufficiali di Casteldoria (Sardegna settentrionale) rifiutarono di prestare omaggio a Brancaleone Doria (III), di accettare che i catalani prendessero possesso della rocca e, levate le insegne giudicali, aprirono le porte all’esercito di Arborea. Dal 1364 la guerra aperta principiò nuovamente. Nel 1365 Ugone con Mariano conquistò Sanluri e altri villaggi nel Cagliaritano, oltre a bloccare i rifornimenti a Cagliari dal mare (mentre il padre l’assediava da terra). Alla conclusione della campagna, alla conquista sfuggivano solo le città di Cagliari, Alghero, Sassari e alcune fortezze.
Ugone ebbe buon gioco anche nel giugno del 1368, quando i catalano-aragonesi (a lungo impegnati sul fronte con la Castiglia) giunsero in forze in Sardegna. A Oristano, di concerto con il padre, fermò l’esercito comandato da Pere Martinez de Luna (marito di Elda d’Exèrica, cugina di Ugone). Nell’estate di quell’anno circa duemila armati tra fanti e cavalieri assediarono la città, ma attirati da Ugone in uno scontro frontale e attaccati alle spalle dal resto dei contingenti guidati da Mariano IV, furono sbaragliati; sul campo di battaglia (detta di S. Anna) perse la vita lo stesso comandante. Nel 1369 Ugone assediò e prese Sassari, anche grazie all’appoggio della forte componente cittadina antiaragonese. L’opposizione di Brancaleone Doria, riallineatosi con la Corona dopo una breve parentesi di avvicinamento all’Arborea, non rovesciò gli assetti, ma frenò l’espansione giudicale a settentrione dell’isola.
Negli anni successivi, la malattia e poi la morte del padre (avvenuta nel 1375) assicurarono a Ugone una maggiore visibilità, come coreggente prima e come giudice poi; il 3 agosto 1375 era già salito al trono, come mostra una lettera di Gregorio XI che gli raccomanda il vescovo di Ploaghe.
In effetti, nel solco di Mariano, Ugone ebbe buoni rapporti con la Curia avignonese. A lui stesso e alla figlia Benedetta (4 agosto 1375), alla madre Timbor e alle figlie Eleonora e Beatrice furono concessi privilegi di cortesia per l’accesso ai monasteri, specie a quelli ‘di famiglia’ come le clarisse di Oristano. Gregorio XI era desideroso di una soluzione del conflitto arborense-aragonese e sollecitò l’invio di ambasciatori di Ugone III ad Avignone (13 agosto 1375).
Con il successore ‘romano’ di Gregorio XI, Urbano VI, riprese corpo per breve tempo l’idea di investire il Regno di Sardegna e Corsica al giudice, che si dichiarò pronto a corrispondere il censo: la Casa d’Aragona era infatti insolvente da circa venti anni e Pietro IV era stato per questo scomunicato da Urbano V (1364). Nel 1376-77 si presentò a Ugone la possibilità di agganciare il conflitto sardo al contesto internazionale.
Luigi d’Angiò, fratello del re di Francia, a caccia di una Corona, nel 1375 acquistò i diritti sul Regno di Maiorca da Isabella, sorella dello spodestato sovrano Giacomo III e moglie del marchese di Monferrato, e si impegnò con lei ad attaccare la Corona d’Aragona. Il piano di Luigi, appoggiato da Gregorio XI, mirava a isolare politicamente Pietro IV con la costruzione di un fronte anticatalano-aragonese al quale aderirono la Castiglia e il Portogallo e nel quale intendeva far confluire l’Arborea. I patti (1377) furono stipulati a Narbona, sotto l’egida di Amerigo VI, ammiraglio di Francia, marito di Beatrice d’Arborea, sorella di Ugone: prevedevano reciproco impegno e soccorso militare. Ma nel 1378 Luigi d’Angiò – anche in conseguenza delle difficoltà creategli dalla guerra dei Cent’anni – con la mediazione della Castiglia avviò un dialogo con la Corona, infrangendo una clausola per Ugone intangibile, quella che non consentiva tregue o accordi di pace separati.
Ugone fece allora saltare l’alleanza, accolse minacciosamente gli ambasciatori angioini e rifiutò sprezzantemente le successive profferte (compreso un matrimonio fra l’unica sua figlia, Benedetta – allora in età di nove anni, essendo nata nel 1369 – e un figlio poco più che neonato di Luigi d’Angiò).
Dalla relazione degli ambasciatori francesi emerge un cupo profilo di Ugone, uomo temuto e spietato, in contrasto con il ritratto degli anni in cui, giovane combattente, era amato dalle truppe che inneggiavano alle sue imprese; egli avrebbe fatto giustiziare i consiglieri che con lui avevano collaborato alla stesura dei capitoli della prima intesa, in seguito alla notizia della tregua dell’Angiò con la Corona. Altre fonti descrivono un Ugone costretto a letto da un male incurabile, nondimeno intento a «fare stratio delli homini» (Cronica di Pisa..., a cura di C. Iannella, 2005, p. 326); narrano di medici giustiziati perché incapaci di fermare la malattia che lo affliggeva («non lo potendo guarire sìe li fecie morire di mala morte»: ibid.); riportano episodi di morti cruente inflitte a oppositori e nemici.
La gravità delle condizioni di salute negli ultimi anni di vita è confermata dalla notizia della sua morte diffusasi nel 1381, tanto da far accorrere al capezzale il cognato Amerigo di Narbona che, stando a quanto affermò, si precipitò a Oristano per tutelare i diritti del figlio, designato da Mariano IV successore di Ugone nel caso di assenza di eredi diretti maschi. Se si osserva il comportamento di Ugone negli ultimi anni in riferimento alla politica interna, è lecito ipotizzare che la malattia ne avesse esacerbato le connaturate tendenze dispotiche e alimentato la diffidenza, alienandogli l’appoggio dei ceti dirigenti locali. In effetti l’autoritarismo di Ugone – che aspirò a unificare l’isola sotto le insegne arborensi e divenire «Signore de Sardinia», appellativo con il quale si intitolò nei documenti degli ultimi anni di vita (P. Tola, Codice degli Statuti di Sassari, Fragmenta, 1850, capp. LVII, LXI, LXXIX) – e le difficoltà di tenuta del potere si intravedono nella volontà uniformatrice e nella demagogica ricerca del consenso dal basso dei provvedimenti legislativi degli anni 1380-82.
A Sassari entrarono in vigore capitoli di natura economica destinati a regolamentare la disciplina dei mestieri, calmierare i prezzi di beni e prestazioni, rafforzare il controllo sul patrimonio demaniale e sul prelievo fiscale. Le disposizioni decretate da Ugone, modellate «secundu qui seinde observat in sa citade de Aristanis», tradiscono la coloritura signorile assunta nel governo della città (P. Tola, Codice degli Statuti, cit., cap. LXII). Il radicale intervento sulla Carta de Logu emanata dal padre Mariano IV cassò, annullò e revocò «ogni ateru capitulu et ordinatione, qui in contrariu de custu presente capitulu esset facta». Per l’omicida introdusse il principio di sapore giacobino della non commutabilità della pena capitale con somme di denaro «pro dinari alcunu campare non pothat», estesa anche a Sassari (ibid., cap. LVII). L’inasprimento delle sanzioni riguardò anche la responsabilità degli ufficiali incaricati di arrestare e detenere i rei di omicidio, le pene per gli abusi, le malversazioni e le violenze commesse ai danni di serve e donne prigioniere «pro honori de sa corte nostra», con punizioni esemplari per incutere «ad ipsos pena et terrori, et assos ateros exemplu» (cap. LXXIX).
I provvedimenti colpirono principalmente la burocrazia e le élites dell’aristocrazia giudicale, le stesse componenti sociali che più o meno apertamente dissentivano dalla sua politica. Alcuni come Valore de Ligia, figlio di quel Giovanni forse tra i sostenitori dell’accordo con Luigi d’Angiò, fuggirono trovando protezione presso Pietro IV; altri, in ambito urbano, auspicarono un rovesciamento politico per giungere a una forma di autogoverno o, come Sassari, pianificarono la dedizione a Genova, per riprendere l’antico ordinamento comunale; altri ancora, filo-aragonesi, invocarono la fine della guerra ventennale che aveva minato l’economia e il ritorno alla pace nell’aura della Corona.
In questo clima segnato da lacerazioni interne, da tensioni politiche e sociali, da feroci repressioni e dalla crisi economica, maturò la tragica fine di Ugone, ucciso in una sollevazione di popolo a Oristano con la figlia Benedetta il 6 marzo 1383.
La notizia iniziò a circolare il 12 marzo, quando gli ufficiali regi ne informarono Pietro IV. La responsabilità dell’assassinio, tra voci e sospetti su complotti esterni, fu ricondotta dagli osservatori del tempo all’esasperazione dei sudditi. La generica definizione cela il volto di quelle componenti forse più strettamente vincolate alla corte, le élites aristocratiche e cittadine nelle quali trovò ampio ma non unanime consenso la sorella Eleonora che, rientrata frettolosamente da Genova nell’estate del 1383, fronteggiò la drammatica situazione e, ristabilito l’ordine, riuscì a mantenere la dinastia al potere e far riconoscere la propria autorità di giudicessa d’Arborea.
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