UGOLINO da Montegiorgio
UGOLINO da Montegiorgio (Ugolino Boniscambi). – Nacque nella seconda metà del XIII secolo; nulla è noto della sua famiglia d’origine (se non il cognome), né della sua formazione e dell’ingresso nell’Ordine francescano, sino alla fine del secondo decennio del Trecento. A partire dal 1319 e sino al 1343, un ristretto corpus di documenti ne attesta invece l’attività (I Fioretti..., a cura di G. Pagnani, 1959, pp. 19 ss.).
Il 18 marzo 1319 Ugolino Bonisgangi (sic, da correggere in Boniscambi) e un altro frate minore indicato come socius eius de Monte S. Marie (Ferranti, 1891, p. 165) presenziarono a una pace stipulata tra un gruppo di signori il cui potere insiste su un nucleo compatto di castra nella media valle del Tenna (tra il fermano e i monti Sibillini), che coinvolge anche il comune di Amandola.
Federico di Montappone e i suoi figli e i figli del fu Filippo di Massa decisero di mettere fine alle violenze perpetrate contro Baccalario e Mercenario di Monteverde e il comune di Amandola. Il lodo è da mettere in relazione con il riassetto dei beni dei signori di Massa che avvenne nel 1314 (Archivio di Stato di Fermo, Diplomatico, Hubart, 1674), come dimostra il fatto che il documento fu stilato nel castello di Gabbiano, anch’esso appartenente a tale orbita, e sottoscritto dagli eredi di Gerardo di Massa Vanne, i fratelli Ciccaroni, Andreuccio, tutti coinvolti nella pace.
Ugolino era dunque attivo nel convento francescano di Monte S. Maria in Georgio, tra i più antichi della provincia della Marca d’Ancona (e specificamente nella custodia di Fermo; Eubel, 1892). Il fatto che tra le peraltro consuete formule devozionali riportate nel testo figuri il riferimento alla «reverentia Dei et B. Marie Virginis et Apostolorum» (Ferranti, 1891, p. 166), forse legato alla dedicataria del convento di Montegiorgio, potrebbe far sospettare un ruolo attivo dei due frati nella composizione del conflitto, nonché un legame con le famiglie implicate.
Probabile, ma non certa, è l’identificazione di Ugolino con Hugolinus de Monte che compare negli anni Trenta nel processo contro Andrea da Gagliano, ministro provinciale di Penne rimosso nel 1329 perché in contatto con il generale Michele da Cesena, deposto e scomunicato l’anno prima.
Insieme ad altri undici confratelli, Ugolino (se di lui si tratta) avrebbe denunciato Andrea da Gagliano, che fu pertanto convocato nel 1331 da papa Giovanni XXII (ma rifiutò, e grazie alla protezione della corte angioina venne sciolto dalla scomunica il 19 aprile 1333; Bullarium franciscanum, a cura di C. Eubel, V, 1898, n. 1017). Nel successivo procedimento, celebrato nel 1336, a Ugolino sarebbe stato poi aspramente contestato dall’imputato Andrea – che si difese accortamente, potendo contare anche sull’appoggio della corte angioina piuttosto accogliente nei confronti del francescanesimo non conforme – un atteggiamento ‘impertinente’, perché aveva fornito accuse non circostanziate né dotate di altri riscontri testimoniali, tali da renderle «insufficientia et defectiva» (Pàsztor, 2008, p. 41).
Nel contesto di un processo tutto politico (ibid., p. 21), la posizione di Ugolino sembra rientrare, più che in quella del francescano fedele al papa, in quella del frate «astrictus obedientia» (Bullarium franciscanum, cit., VI, 1902, p. 608), come segnalano gli stessi atti del processo, che si limitò a contestare a un ministro provinciale i suoi atteggiamenti contrari alla regola. Risulta molto difficile, comunque, posizionare Ugolino rispetto alla frastagliata galassia ‘spirituale’ dell’epoca (che ha qualche conseguenza sull’interpretazione del testo che gli viene attribuito, gli Actus beati Francisci et sociorum eius: Brufani, 1998).
In data incerta, ma probabilmente nel 1342, Ugolino fu poi implicato nel testamento di Corrado di Falerone (a noi noto attraverso una scorretta trascrizione cinquecentesca realizzata da Stefano Rinaldi: Mogliano, Archivio comunale, Raccolta Zitelli, 16, c. 15r).
Discendente dal conte Gibertus, e appartenente al ramo che si installò nel castello di Falerone (Pacini, 2005, p. 158), Corrado faceva parte di una famiglia orbitante nel medesimo gruppo di castelli nel Fermano individuato nella pace del 1319.
Nel documento, egli compare due volte: come fiduciario di un lascito pio destinato al convento di Launa (sic, da correggersi in Loro [Piceno]), e come consigliere degli esecutori testamentari assieme ad altri due frati minori: Iacopo di Monte Vidon Corrado e Giovanni di Penna (S. Giovanni), originario di Gualdo (sempre nelle Marche).
Da queste scarne notizie, alle quali è da aggiungere un soggiorno di tre anni nel convento di Brunforte (v. infra), emerge in sostanza che – a partire dalla sua posizione a Monte S. Maria in Georgio – Ugolino fu un rappresentante tipico, ma non di second’ordine, del francescanesimo marchigiano (I Francescani..., 2000), ben inserito (forse anche in ragione della provenienza familiare), a inizio Trecento, nella rete di castra e civitates i cui rapporti tumultuosi (interni e con la S. Sede) caratterizzarono la storia della Marca d’Ancona (Bernacchia, 2004; Pirani, 2010).
La tradizione erudita francescana ha individuato in Ugolino, del quale è ignota la data di morte, l’autore degli Actus beati Francisci et sociorum eius, il testo latino che fu la base del volgarizzamento noto come Fioretti di san Francesco. Nel Fasciculus chronicarum, oggi perduto, frate Mariano da Firenze (1477 circa-1523) attribuisce a «frater Hugolinus de S. Maria provinciae Marchiae» un preciso gruppo di episodi estratti dalle due sezioni del testo (Pagnani, 1956, pp. 8 s.).
Il frate irlandese Lukas Wadding (1588-1657) utilizzò l’autografo del Fasciculus (Cannarozzi, 1930, pp. 251-285), ma trasmise informazioni contraddittorie: la confusione, negli Annales, sulla provenienza e sul titolo, nei più tardi Scriptores si trasferisce sulla biografia del frate, che qui viene definito «Hugolinus de sancta Maria in Monte, Picenus, sancti Francisci synchronos», a cui si attribuisce un’opera intitolata «Floretum» che racconta le vite di Francesco e dei compagni fino al pontificato di Alessandro IV (Wadding, 1906, p. 122). La confusione specifica sul nome ha contributo alla fortuna dell’ipotesi, insostenibile ma ancora recentemente supportata (v. per es. Quaglia, 1977) di una priorità cronologica dei Fioretti sul testo-base latino degli Actus, che ne costituirebbero una latinizzazione (ipotesi di cui fece giustizia già Paul Sabatier, curatore di Actus beati Francisci..., 1902, primo editore moderno del testo). La confusione del frate irlandese si spiega con il fatto che egli mescolò le informazioni desunte da Mariano con i codici a sua disposizione: si deve tener conto del ms. Roma, Biblioteca del Collegio di Sant’Isidoro, 1/16 (cartaceo di medio XV secolo) dove, a c. 1r, egli scrive: «Author est fr. Hugolinus de sancta Maria in monte, Marchianus. Habet plura de vita sancti Francisci et sociorum eius usque ad tempus Alexandri IV»: il codice è testimone dei Fioretti, di cui egli sembra presentare una conoscenza poco più che superficiale; due manoscritti degli Actus sono anch’essi presenti nella biblioteca del collegio irlandese di Roma (con segnatura 1/72 e 1/82): forse da questa pluralità di testimonianze, unita anche a una complessa organizzazione del materiale nella tradizione manoscritta degli Actus, derivò a Wadding l’idea che Ugolino potesse essere autore di più testi.
L’opera è trasmessa da una tarda ma cospicua tradizione manoscritta.
A prescindere dalla difficile (e ancora discussa) razionalizzazione della tradizione – quella operata da Jacques Cambell, in Actus Beati Francisci..., a cura di G. Boccali, 1988, è stata messa parzialmente in discussione da Enrico Menestò, in Actus Beati Francisci..., 1995, pp. 2067-2075 – è probabile che la divisione in tre famiglie di manoscritti, che presentano diversi gradi di organizzazione del materiale, sia lo specchio di una tradizione attiva, che ha progressivamente ordinato un’opera non totalmente rivista (Cambell, 1967, e 1970).
Gli Actus (assemblati nel primo trentennio del Trecento) sono un’opera almeno bipartita, perché a una prima parte incentrata su Francesco e i compagni si unisce una seconda parte in cui si realizza uno spostamento geografico nella Marca d’Ancona, con una sorta di rubrica di cerniera a 48.1 che definisce la regione «quasi quoddam celum stellatum»: emerge, in questa seconda parte, uno spazio del racconto che ritaglia l’area della custodia firmana (con riferimento a frati e conventi di Soffiano, di Loro, Monterubbiano, Falerone, Massa, Penna S. Giovanni), proiettando nel racconto la zona di attività dell’Ugolino storico (e dando ragione a Wadding, che lo definisce «picenus»). Anche lo stile delle due parti differisce: diverso è, per esempio, il ricorso al cursus ritmico, meno accentuato nella parte marchigiana (Tosi, 1935).
Che il testo debba farsi risalire a Ugolino è confermato da tre precisi, pur se problematici, riferimenti interni.
Ugolino dichiara infatti che un miracolo compiuto da Simone di Assisi (al quale obbedirono le cornacchie) ebbe luogo a Brunforte, nella custodia fermana, nel cui convento (attivo per cinquant’anni, saccheggiato nel 1305 e poi abbandonato nel 1327 per Sarnano; Pagnani, 1956, p. 5) egli soggiornò per tre anni (Actus Beati Francisci..., a cura di E. Menestò, 1995, p. 2194).
Inoltre, nel cap. 58 Ugolino racconta della vita di Giovanni da Penna (e, in particolare, di episodi seguenti al suo ritorno nella Marca) e afferma di averne avuto notizia direttamente dal frate (ibid., p. 2201): per quanto qui Ugolino si autonomini semplicemente come «Hugolinus», non c’è ragione di credere che si tratti di un ulteriore frate e autore.
Infine Ugolino dichiara di aver raccolto la testimonianza da Giacomo da Massa, il quale a sua volta la ebbe da frate Leone; in questo contesto, l’autore (che si definisce «ego qui scribo») dice di aver avuto la «historia» da un Ugolino, definito uomo buono e fededegno (ibid., p. 2109). Entra in gioco, dunque, un secondo autore (che potrebbe giustificare anche la struttura e lo stile almeno doppi dell’opera), a meno che non si tratti più semplicemente di un segretario o copista al servizio di Ugolino.
Si è talvolta ipotizzato che un secondo autore degli Actus possa essere identificato in frate Ugolino da Brunforte (Petrocchi, 1957, p. 89; l’ipotesi si è complicata in combinazioni varie e fantasiose con Ugolino da Montegiorgio, a copertura dell’intero dossier Actus / Fioretti: v. Tassi, 1883; in Salvi, 1896, pp. 22-28, i due diventano addirittura parenti).
Si tratta di un discendente di Fidesmido da Mogliano, capostipite di una delle famiglie più potenti della regione che dominò su una serie di castelli minori nell’area appenninica nel sud Marca tra XII e XIII secolo, tra Sarnano e Amandola, e in particolare fu figlio di Rinaldo da Brunforte il Vecchio (Walter, 1972): nel testamento del 1281, egli dichiarava eredi universali i figli Corrado, Rainaldo e Ottaviano, e ordinava loro di dotare Ugolino di tunica e di danaro per acquisire dei libri; fu poi eletto vescovo di Teramo (su nomina di Celestino V) e quindi ministro provinciale della Marca dal 1344 fino alla morte nel 1348. Si è interpretato il fatto che Bonifacio VIII lo spodestasse dalla sede vescovile come segno di sua adesione alle idee degli ‘spirituali’ (Marconi, 1926, p. 358). È da escludere sia l’attribuzione sia il rapporto con Ugolino; ma non è improbabile che Brunforte abbia avuto qualche ruolo nella trasmissione degli Actus: la vicinanza ambientale e il rapporto con il convento di Roccabruna sono sicuri; né è da sottovalutare che il convento fu fondazione della famiglia di Ugolino (del padre?), e che a Sarnano, sede dei frati di quel convento dopo il 1327, viene conservato un corpus di manoscritti importante, tra cui spicca il codice E.60 (XIV in.), testimone, tra altre cose, di un nucleo antico di episodi degli Actus (tra cui il lupo di Gubbio; Abate, 1939).
Il dato più rilevante che emerge da queste firme interne è la volontà di sottolineare una catena memoriale che risale fino ai primi compagni di Francesco: essa si ritrova anche altrove nel testo (per esempio in 64.1-2, dove è ribadita la trasmissione di notizie da Giacomo da Massa, ma si risale fino a frate Egidio): questa caratteristica colloca saldamente gli Actus nella fase matura di riedizione e rielaborazione dei testi dei compagni, dopo la Compilatio Assisiensis e lo Speculum perfectionis, e parallelamente (e con notevoli punti di contatto) con le Chronicae di Angelo Clareno (1324 circa; Dalarun, 2007; Piron, 2018).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Fermo, Diplomatico, Hubert, 1674; Mogliano, Archivio Comunale, Raccolta Zitelli, 16, c. 15r. Bullarium franciscanum, a cura di C. Eubel, V, Roma 1898, n. 1017, VI, 1902, p. 608; Actus beati Francisci et sociorum ejus, a cura di P. Sabatier, Paris 1902, passim; I Fioretti di San Francesco, a cura di G. Pagnani, Roma 1959, pp. 19 ss.; Actus Beati Francisci et sociorum eius, a cura di G. Boccali, Assisi 1988, pp. 40 ss.; Actus Beati Francisci et sociorum eius, a cura di E. Menestò, in Fontes Franciscani, a cura di E. Menestò et al., Assisi 1995, pp. 2057-2219.
L. Tassi, Disquisizione istorica intorno all’autore dei Fioretti di s. Francesco, Fabriano 1883; F. Ehrle, Die Spiritualen, in Archiv für Literatur und Kirchengeschichte des Mittelalters, IV (1888), pp. 1-190; P. Ferranti, Memorie storiche della città di Amandola, III, Appendice, Ascoli Piceno 1891, pp. 166 ss.; K. Eubel, Provinciale ordinis fratrum minorum vetustissimum secundum codicem vaticanum nr. 1960, Ad claras Aquas 1892; G. Salvi, Cenni storici sul B. Liberato da Loro, Macerata 1896; L. Wadding, Scriptores Ordinis Minorum..., Romae 1906, pp. 122 ss.; A. Marconi, Attorno agli autori dei Fioretti, in Studi francescani, 1926, n. 3-4, pp. 355-365; G. Cannarozzi, Una fonte primaria degli “Annales” del Wadding. Il “Fasciculus Chronicarum” di fra Mariano da Firenze, in Studi francescani, XXVIII (1930), pp. 251-285; G. Tosi, Il «cursus» negli Actus beati Francisci, in Rendiconti del R. Istituto lombardo di scienze e lettere, LXVIII (1935), pp. 659-668; G. Abate, Nuovi studi sulla Leggenda di S. Francesco detta dei “Tre Compagni”, in Miscellanea francescana, XXXIX (1939), 4, pp. 635-655. G. Pagnani, Contributi alla questione dei Fioretti, in Archivum Franciscanum Historicum, XLIX (1956), pp. 3-15; G. Petrocchi, Ascesi e mistica trecentesca, Firenze 1957, pp. 89 ss.; J. Cambell, Glanes franciscaines, IV, Deux manuscrits de la compilation Vénitienne, in Franziskanische Studien, XLIX (1967), pp. 293-349; Id., Glanes franciscaines, V, La collection d’Upsal, in Franziskanische Studien, LII (1970), pp. 347-359; I. Walter, Brunforte, Rainaldo da, in Dizionario biografico degli Italiani, XIV, Roma 1972, pp. 588-591; A. Quaglia, Studi su i Fioretti di S. Francesco, Falconara 1977; S. Brufani, Agiografia e santità francescana nel Piceno: gli Actus beati Francisci et sociorum eius, in Agiografia e culto dei Marchesanti nel Piceno. Atti…, Ascoli Piceno 1997, a cura di E. Menestò, Spoleto 1998, pp. 123-152; I Francescani nelle . Secoli XIII-XVI, a cura di L. Pellegrini - R. Paciocco, Cinisello Balsamo 2000; R. Bernacchia, Civitates e castra nella Marca di Ancona in età comunale, in La Marca d’Ancona fra XII e XIII secolo. Le dinamiche del potere, Ancona 2004, pp. 157-210; J. Dalarun, Plaidoyer pour l’histoire des textes. À propos de quelques sources franciscaines, in Journal des savants, II (2007), pp. 319-358; E. Pásztor, Il processo di Andrea da Gagliano, in Intentio beati Francisci: il percorso difficile dell’ordine francescano (secc. XIII-XV), Roma 2008, pp. 15-56 (in partic. pp. 40 ss.); F. Pirani, Bonifacio VIII e la Marca d’Ancona, in Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo, CXII (2010), pp. 359-387; S. Natale, Attorno all’edizione critica dei Fioretti di san Francesco, in Franciscana, XV (2013), pp. 173-208; S. Piron, Note sur Léon et Rufin, l’écriture et le corps, in Archivum franciscanum historicum, CX (2018), pp. 365-375.