CALEFFINI, Ugo
Di famiglia originaria di Rovigo, nacque a Ferrara nel 1439 circa da ser Ricevuto di Giovanni, esattore della Camera del Comune di Ferrara. Ebbe almeno cinque fratelli, fra i quali si ha notizia di Giacomo, di Giovanni, castaldo di Fossadalbero, e di Filippo. Compì presumibilmente studi giuridici ed esercitò la professione di notaio almeno dal 1469 al 1502, come risulta dagli atti notarili da lui rogati, attualmente conservati nell'Archivio di Stato di Ferrara.
Doveva avere circa venti anni quando divenne uno degli impiegati dell'ufficio delle bollette della sua città. In questo ufficio, preposto al rilascio dei permessi di soggiorno per i forestieri e delle licenze ai ferraresi che fornivano loro alloggio, il C. rimase impiegato per dodici anni. Contemporaneamente però, almeno per gli anni 1465, '66 e '67, fu anche esattore delle multe e in questa veste si recò a Modena nel 1466-67. L'attività del C., tuttavia, non si limitò a questi incarichi pubblici, poiché nel 1462 egli compilò una bizzarra cronaca in ottava rima, la Cronica de la ill.ma et ex.ma Casa de Este (edita da A. Cappelli in Atti e mem. della R. Deputaz. di storia patria per le province modenesi e parmensi, II[1864], pp. 267-312). In quest'opera l'autore, dopo avere accennato alle origini favolose degli Estensi, narra, con un linguaggio poetico che ignora la misura dei versi e trascura le rime e con espressioni popolareggianti e idiomatiche, la storia di questa famiglia signorile dal 1242, quando il marchese Azzo Novello cominciò a esercitare il potere in Ferrara, fino al tempo del duca Borso, di cui egli era ai servizi.
Sarebbe vano cercare nella Cronica notizie politiche o storiche, poiché l'autore favoleggia non curandosi né dell'esattezza, né della credibilità, ma solo badando all'esaltazione degli Estensi, che egli gratifica soprattutto di straordinarie capacità amatorie, attribuendo in particolare a Niccolò III, oltre alle tre mogli legittime, ottocento amanti. Quando poi il C. giunge a trattare delle gesta del duca Borso, rasenta quasi un delirio di adulazione, arrivando perfino a paragonarlo a un mago. Alla fine di questa sua opera, più di improvvisatore che di poeta, il C. aggiunge una lista di doni elargiti dal duca Borso, la prima parte della quale è in rima e l'altra in prosa. Appare così pateticamente quale era lo scopo della fatica poetica dell'autore, il quale sperava con il suo rozzo componimento di accattivarsi i favori del duca. È vero che l'Estense non era affatto alieno dall'apprezzare gli adulatori e che la cultura di Ferrara, dopo la morte del raffinato Leonello, aveva subito un rapido declino, ma è anche vero che l'opera non ottenne gli effetti che l'autore si era ripromesso. In fine alla Cronica è aggiunta una genealogia degli Estensi di scarso valore storico; inoltre nelle ultime due carte del manoscritto originale si trovava, a detta del Cappelli, un insieme di appunti di carattere storico riguardanti avvenimenti dal 1095 al 1312, evidentemente annotati per uso personale. Alla sua morte il C. lasciò il manoscritto di questa sua opera giovanile, che evidentemente non considerava del tutto priva di valore, al convento francescano di S. Spirito di Ferrara.
Il 12 maggio 1470 il poeta-notaio scrisse una lettera di lamentele e di richiesta di protezione a Borso, denunciando una persecuzione di cui si diceva vittima da parte di Bartolomeo d'Orlando, che nel 1469 era conduttore delle valli di Comacchio, il quale non solo pare lo insultasse e minacciasse di denunciarlo al duca per reati che il C. si guarda bene di specificare, ma arrivava a cacciargli "le dide insint nel ochi".
L'anno dopo, succeduto, sia pur non senza affanno e contrasti, Ercole I a Borso, al C. fu assegnato un altro incarico, quello di registratore nella spenderia ducale. Questo impiego, che consisteva nell'annotare e computare le spese dell'unico altro impiegato di quell'ufficio, lo spenditore, era forse ancor più modesto e privo di soddisfazioni del precedente. Tanto è vero che il C. il 29 giugno 1472 si rivolse al duca, dal quale pare avesse avuto già dal 1463 qualche segno di benevolenza, per chiedergli di essere esonerato da questo impiego, per il quale non erano necessari né il titolo né gli studi di notaio; fece inoltre presente che avrebbe invece desiderato essere impiegato nel notariato della biada di Ferrara o nella cancelleria di Rovigo. La supplica non fu accolta ed egli rimase ad annotare i conti dello spenditore. Contemporaneamente però il C. fu adibito, con ogni probabilità in modo saltuario e quasi sicuramente senza compenso, a trascrivere lettere nella cancelleria in ausilio dei segretari ducali. Nel 1477 provvide a svolgere il lavoro del fratello maggiore, Giacomo, ammalatosi, il quale era "notaro, di gabella grossa". Nel luglio dell'anno successivo, quando si rese conto che il fratello non avrebbe recuperato la salute, scrisse al duca chiedendo di succedere al congiunto, in caso di morte di questo; ma neppure questa volta, anche se cercò di fare appoggiare la sua richiesta presso il duca dalla moglie di Antonio Lodovico de Cumanis, ottenne ciò che chiedeva. Inoltre l'anno precedente il duca, o per meglio dire il Consiglio segreto, aveva fatto un altro torto al C. e ai fratelli, privandoli a vantaggio di cinque favoriti del duca Ercole, della metà delle rendite fornite loro da alcune terre e pascoli situati nel territorio di Fiesso (Rovigo), dei quali erano stati investiti, contro l'obbligo di una offerta annua di 2 libbre di cera bianca, dall'arcivescovato di Ferrara, presso cui era impiegato il firatello Giacomo. Al C. era rimasto il possesso di alcune terre in Villamare (Rovigo), ereditate dallo zio Bartolomeo, arciprete di S. Stefano in Rovigo, ma esse morirono nel 1481 sommerse da una inondazione provocata dal rovinoso straripamento del Po, e l'anno dopo, scoppiata la guerra che va sotto il nome di Ferrara, subirono danni ancora maggiori, ché furono devastate, saccheggiate, bruciate e occupate dal nemico, per passare poi alla fine del conflitto sotto il dominio veneto. Nel frattempo sul capo dello sfortunato notaio si era abbattuta un'altra calamità. Egli, esercitando durante la malattia di Giacomo e per conto di questo l'ufficio di notaio della gabella grossa, aveva commesso errori nei conteggi e nelle esazioni, che avevano causato una perdita all'erario ducale. Nonostante si fosse recato il 4 luglio 1482 ancora una volta dal duca, suggerendo di recuperare la somma direttamente dai mercanti che avevano tratto giovamento dal suo errore e accusando Scipione dalle Sale, che aveva rivisto le registrazioni delle operazioni avvenute durante la gestione del C. e ne aveva rilevato gli errori, di malevolenza e di estrema inimicizia nei suoi confronti, egli dovette rifondere di propria tasca il danno consistente in una notevole somma.
Pur attraverso tante traversie e amarezze il C. non aveva deposto le sue ambizioni letterarie. Non si sa bene da che epoca, ma certo fino al 15 sett. 1471, egli compilò un'operetta storica, che sta fra gli annali e la cronaca familiare, e che, inedita, ci è pervenuta in una copia manoscritta del XVII secolo. Il codice di 60 carte, contenente anche la lista dei doni elargiti da Borso e la genealogia degli Estensi, già appartenuto, nel 1670, a Carlo di Tommaso Strozzi, è conservato nella Bibl. naz. di Firenze (Magl. classe XXV, 539). In prosa volgare, viè narrata la storia di Ferrara dalle origini ai funerali del duca Borso, con notizie dapprima scarse e frammentarie, che dopo la metà del sec. XV divengono più ricche e particolareggiate. Nel 1471, poi, al momento dell'ascesa al ducato di Ercole I, il C. iniziò un'opera in prosa, in forma di diario, che definì semplicemente Croniche e che si ripromise di continuare fino alla morte del duca.
Il personaggio principale delle Croniche ènaturalmente Ercole; le notizie che lo rigaardano però, siano esse di natura politica, economica, artistica o semplicemente aneddotica, non hanno carattere encomastico e qualche volta anzi contengono esplicite critiche al suo operato. Inoltre il diario fornisce notizie della duchessa e degli altri parenti del duca, dei nobili e dei personaggi influenti di Ferrara, fra i quali i potenti Trotti: Paolo, primo ministro, Giacomo, consigliere ducale, Brandelise, tesoriere della duchessa, e il mercante Galeazzo, verso i quali il cronista nutre un odio feroce, considerando con invidia e sospetto la ricchezza e la potenza che essi hanno conquistato. Il C. non annota, però, solo gli avvenimenti che si svolgono nella sua città, ma anche le vicende storiche e politiche italiane ed estere. Così l'oscuro notaio ferrarese ci fornisce la sua testimonianza di contemporaneo su grossi avvenimenti politici quali l'uccisione di Galeazzo Maria Sforza, la riconciliazione di Bona di Savoia con il cognato Lodovico il Moro (con la lista delle persone conseguentemente arrestate), l'uccisione di Gerolamo Riario, quella di Galeotto Manfredi, la discesa di Carlo VIII. Ma è soprattutto per le operazioni belliche della guerra del 1482 (che vide Venezia, col suo alleato principale, il papa, contrapporsi a Ferrara, sostenuta a sua volta da Milano, Firenze e Napoli) che le Croniche costituiscono una fonte storica preziosa per la dovizia dei particolari forniti, riguardanti preparativi, spostamenti di truppe, arrivi di capitani, offensive, scarannicce, battaglie e anche avvenimenti e risvolti politici che si intrecciavano con quelli militari. Anche se si può sospettare un interesse personale del C. riguardo alla guerra, visto che i suoi possedimenti erano in una zona al centro delle operazioni belliche, tuttavia è chiaro che èun interesse storico a guidare il C. nella raccolta di notizie su questo argomento, tanto esse sono abbondanti e precise. Di notevole importanza per la storia economica ed amministrativa sono gli elenchi dei prezzi dei generi alimentari sul mercato di Ferrara che il C. fornisce quasi per ogni settimana e le liste degli impiegati dello Stato e della corte creati dal duca, annotati dal cronista per parecchi anni.
Nell'opera non sono omessi inoltre i nomi degli ambasciatori inviati dal duca, di quelli ricevuti o di passaggio a Ferrara, dei visitatori illustri; sono anche ricordati i fatti di cronaca, le sentenze, i condannati, le giostre, le condizioni atmosferiche. All'attenzione con cui il C. segue gli avvenimenti politici ed economici non fa riscontro un uguale interesse per i fatti riguardanti la vita culturale della città, che egli ignora completamente, forse perché assolutamente lontani dai suoi interessi o perché non ha la possibilità di seguirli. Il C. infatti, che scrisse le sue Croniche in una prosa che, pur presentando locuzioni dialettali, è vivace ed efficace, non dichiarò le sue fonti di informazione, ma è ragionevole supporre che egli venisse a conoscenza delle notizie cheandava via via annotando - e soprattutto di quelle che riguardavano avvenimenti relativamente lontani - nella cancelleria ducale, durante l'espletamento del suo saltuario lavoro di trascrittore, o comunque frequentando l'ambiente di corte. Il codice autografo delle Croniche, delle quali G. Pardi nel 1938-40 (Monum. della R. Deput. di storia patria per l'Emilia e la Romagna, sez. di Ferrara, I-II)pubblicò un regesto, si conserva nella Bibl. Ap. Vat. (Chigi, I 4). La numerazione originale del manoscritto chigiano dimostra che all'inizio di esso mancano sedici carte, che potrebbero aver contenuto la dedica dell'opera. Altre due carte mancanti nel codice (nn. 31 e 32), contenenti la descrizione delle nozze di Ercole I e di Eleonora d'Aragona, sono ora conservate nell'Archivio di Stato di Modena (busta 1 dei Documenti spettanti a' principi estensi regnanti).
L'ultima carta del codice, che non presenta alcuna indicazione che denoti la volontà del C. di interrompere a quel punto la sua narrazione, reca notizie relative all'anno 1494. Poiché il C. morì nel 1503, e poiché solo la morte giustificherebbe una così brusca interruzione di un lavoro portato avanti costantemente per anni e anni, attraverso tanti avvenimenti pubblici e privati, si può ragionevolmente arguire che la parte finale del lavoro del notaio, contenuta nell'ultimo o negli ultimi fascicoli del codice non pervenutici, sia andata perduta.
Fonti e Bibl.: Bibl. Apost. Vat., Vat. lat. 9263: G. M. Mazzuchelli, Scritt. d'Italia, c. 173v; A. Libanori, Ferrara d'oro…, Ferrara 1674, p. 247; F. Borsetti, Historia almiFerrariae gymnasii…, II, Ferrariae 1735, p. 345; L. Ughi, Diz. degli uomini ill. ferraresi, Ferrara 1804, p. 107; P. Antolini, Manoscritti relativi alla storia di Ferrara, s. l. 1891, pp. 16-17; G. Bertoni, La biblioteca estense e la coltura ferrarese…, Torino 1903, pp. 11, 173-74; M. Catalano, Messer Moschino…, in Giorn. stor. della lett. ital., LXXXVIII (1926), p. 18; A. Piromalli, La cultura a Ferrara al tempo di Ludovico Ariosto, Firenze 1953, pp. 39-43; L. Chiappini, Indagini attorno a cronache e storie ferraresi del sec. XV, in Atti e mem. d. Deputaz. di st. patria per la prov. ferrarese, n.s., XIV (1955), pp. 4-6, 21-31; Id., Eleonora d'Aragona prima duchessa di Ferrara, ibid., n. s., XVI (1957), pp. 17, 46, 94; Repertorium fontium historiae Medii Aevi, III, pp.106 s.