BENZI, Ugo
Nacque a Siena il 24 febbr. 1376 da Andrea e da Minoccia, il cui cognome Pagni (o Panni) sembra da considerare un'attribuzione secentesca.
La scoperta della Vita del B., scritta dal figlio Socino (Lockwood, pp. 149-156), contenuta nel codice miscellaneo Antonelli 545 della Biblioteca Comunale di Ferrara (per il suo contenuto cfr. ibid., p. 11), ha permesso di precisare questa data, rimasta incerta nelle precedenti biografie e oscillante in genere tra il 1360 e il 1370; ha portato anche numerosi utili dettagli su tutta la complicata vicenda della vita del B., nche se per alcuni episodi, e soprattutto nei giudizi, va tenuto presente l'intento laudativo del biografo.
La famiglia Benzi, come dice espressamente Socino (p. 150), non era né nobile né povera: apparteneva alla borghesia, alla fazione dei Dodici; Marco, fratello di Andrea, e quindi zio del B., era medico famoso a Siena. Le condizioni economiche del padre, magistrato di professione, furono buone finché, battuta la sua fazione e scoppiata la guerra tra Siena e Firenze, cadde in rovina, tanto da essere imprigionato per debiti, donde lo avrebbe liberato il figlio nel 1405, all'inizio di uno dei suoi soggiorni nella città natale.
Nella giovinezza, forse tra l'autunno del 1385 e la primavera del 1390, il B. frequentò a Siena la scuola di grammatica di un - certo Bennazio, che può forse essere identificato, data la scorrettezza con cui anche altri nomi sono citati nel manoscritto, con il Benzocio grammatico, insegnante all'università di Siena nel 1404. Lo studio venne interrotto dalla guerra, che il Lockwood identifica con quella svoltasi negli anni 1390-1392 tra Firenze e Gian Galeazzo Visconti, sotto il cui dominio si trovava Siena dal 1389, e che ebbe gravi ripercussioni sulla città e su tutta la Toscana. Deciso a proseguire gli studi, il B., probabilmente nel 1393, chiese ai genitori, secondo il racconto di Socino, di essere inviato "ad liberalium artium studia", ma, avutane risposta negativa per le difficoltà finanziarie in cui versava la sua famiglia, egli dovette ricorrere alla vendita di una veste preziosa, per potersi recare a Firenze.
Qui iniziò lo studio della filosofia, continuato a Bologna alla scuola di Pietro Mantovano, col quale tuttavia giunse dopo pochi mesi (nel 1394 secondo l'attendibile ricostruzione del Lockwood) a una rottura, per motivi che sono difficili da stabilire, non essendo convincente la versione del figlio che accusa Pietro di invidia (p. 151). In seguito a questa polemica il B. si sarebbe ritirato in casa, vivendo una vita che Socino descrive come sacrificatissima, tutta dedita allo studio della logica, filosofia, medicina, astronomia, aritmetica, geometria, musica, grammatica e retorica (ibid.). Recatosi successivamente a Pavia, il 17 ott. 1396 vi si laureava, probabilmente in logica et philosophia (cfr. R. Maiocchi, Codice diplom. dell'Università di Pavia, I, Pavia 905, n. 534, che tuttavia ritiene a torto si trattasse di laurea in medicina, disciplina cui il B. si dedicò solo più tardi).
Non sembra da accettare la notizia, fornita da Socino - il quale, peraltro, non parla della laurea -, della chiamata del B. a Pavia in qualità di lettore ad opera del vescovo, per la fama che si era acquistata a Bologna. Il lettorato di logica in quella città dovette, invece, incominciare subito dopo la laurea, nell'anno 1396-97, proseguendo poi gno al 1402, salvo lo spostamento nell'anno 1399-1400 a Piacenza, dove l'università si era trasferita per sfuggire alla peste. A questi anni pavesi risale la composizione del De logicae artis ratione, opera non conservata. La peste fu ancora la causa dell'interruzione dell'insegnamento nel 1402, quando il B., ritiratosi in campagna e dedicatosi in un primo tempo allo studio della letteratura latina, passò a quello della medicina, pare per incoraggiamento di un amico.
Questo amico, non nominato da Socino, viene identificato in una nota in margine al manoscritto, di mano di Giovanni Tortelli - nel cui circolo bolognese il codice fu scritto intorno al 1442-43 -, il quale poteva aver avuto l'informazione dallo stesso B. o dal figlio, in un Iohannes Rosellus Arretinus, non altrimenti conosciuto, ma appartenente evidentemente alla nota famiglia di medici di Arezzo.
Chiamato all'università di Bologna (probabilmente nell'anno accademico 1402-03) il B. vi riorganizzò l'insegnamento della filosofia, promuovendovi lo studio delle opere di Averroè e di Alberto Magno, con tale successo da essere chiamato "non modo philosophus sed philosophorum princeps" (Vita, p. 152). A questo periodo bolognese, che doveva durare fino al 1405, risalgono i commentari ai Parva naturalia di Aristotele, conservati parzialmente, se va identificata con una parte di essi un'opera contenuta nel ms. XX, 431, della Biblioteca Antoniana di Padova, da cui risulta non trattarsi di un vero commento, ma piuttosto di una parafrasi con occasionali digressioni. A Bologna il B. studiò anche medicina alla scuola di Marsilio di S. Sofia, con tale profitto da ottenere, dice il figlio, un insegnamento dopo appena sei mesi; ma esso fu interrotto ben presto per le opposizioni incontrate, dovute probabilmente ad atteggiamenti altezzosi.
Non contrasta con la datazione proposta per questo soggiorno a Bologna la notizia secondo la quale il B. il 6 dic. 1404 faceva parte di un collegio di esaminatori a Pavia, potendosi spiegare la sua presenza semplicemente con una visita in quella città e una partecipazione onoraria al collegio.
Il 5 febbr. 1405 il B. era ingaggiato dall'università di Siena per l'insegnamento della medicina con lo stipendio di 200 fiorini d'oro all'anno. Ai primi tempi di questo soggiorno deve risalire il suo matrimonio con una Laia, proveniente da Percena, che il Piccolomini dice appartenere alla famiglia Sozzini (Lockwood, p. 169); dal matrimonio nacquero il già ricordato Socino, medico, Andrea, Francesco, medico, morto nel 1487, Giovanni, Ludovico, Nicola, Carlo, Pietro, Iacopo e Severo. Durante la dimora in Siena si recò a Perugia a conoscere i professori di quella città con cui discusse di filosofia e medicina: il modo con cui Socino dà la notizia induce a escludere che egli abbia avuto una cattedra in quella città, come molti hanno pensato.
Nel 1409, probabilmente nel maggio, venuto in sospetto al governanti, dice Socino (p. 153), il B. lasciò la città natale; ma mentre il figlio pone immediatamente il suo trasferimento a Bologna, si sa che egli soggiornò a Pisa, forse subito al servizio, in qualità di medico, del cardinale Baldassarre Cossa. Il contrasto con il governo non dovette, però, essere molto grave, se egli - in cambio della buona liquidazione concessagli dall'università - era incaricato nel giugno di fungere da osservatore al concilio che si teneva a Pisa, come ricordano le lettere del B. stesso dei giorni 6, 16 e 18 giugno 1409.
Quando l'11 luglio dello stesso anno il cardinale Cossa lasciò Bologna, il B. lo seguì sempre nella carica di medico privato, ottenendo anche l'insegnamento di medicina in nonis all'università, insegnamento che continuò fino al 1412, quando venne chiamato a Parma. L'episodio più significativo di questo periodo bolognese è la disputa con la delegazione francese, costituita probabilmente da quei professori dell'università di Parigi recatisi al concilio di Pisa e venuti a Bologna a rendere omaggio al cardinale Cossa eletto papa col nome di Giovanni XXIII il 17 maggio 1410 e coronato il 25 maggio. La disputa è dipinta da Socino come una vera lotta culturale tra Italiani e Francesi, che disprezzavano i filosofi e metafisici italiani "quos theologos appellant", ed è esaltata come un vero trionfo del B., che avrebbe avuto dallo stesso pontefice l'incarico di dimostrare ai Francesi come la loro arroganza fosse frivola e vana. Dalla fama di questa vittoria. e dall'ammirazione che anche i Francesi avrebbero concepito per lui, nacque forse la leggenda del suo insegnamento all'università di Parigi. Il B. avrebbe discusso inoltre con una delegazione venuta appositamente dalla Boemia. Recatosi a Pavia, anche qui per una visita, come già a Perugia, si incontrò e discusse con i filosofi Biagio Pelacani da Parma e con il medico Iacopo della Torre da Forlì.
Chiamato a Parma da Niccolò d'Este, subito dopo la riapertura, a lui dovuta, dell'università, il 24 nov. 1412, il B. insegnò medicina in quella città per quattro anni consecutivi, anni particolarmente fervidi di lavoro; scrisse allora tre dei suoi principali commentari, a Galeno, agli aforismi di Ippocrate, ad Avicenna, e alcune Quaestiones rerum naturalium.
Mentre Socino narra solo che il padre, dopo quattro anni, preso da nostalgia della patria, ritornò a Siena, si conoscono invece vari tentativi di Firenze prima, di Siena poi, per chiamare il B.: particolarmente complesso quello di Firenze, che agì tramite Siena, e non esitò a ricorrere ad intrighi, incontrando tuttavia la feima opposizione delle autorità di Parma (per la vicenda svoltasi dal maggio al settembre 1414, cfr. Lockwood, p. 179). Quanto a Siena, già il 10 maggio 1415 proponeva al B. l'insegnamento, assolvendolo il 21 sett. 1415 da ogni colpa di associazione con cittadini ribelli al governo, sempre nella speranza che egli accettasse subito l'insegnamento; il B. accetterà invece solo per il successivo anno accademico 1416-17, indotto probabilmente anche dalle difficili condizioni dell'università di Parma. A Siena rimase fino al 1421, anche se non dovettero mancare alcuni viaggi: si sa per lo meno che nell'inverno 1420 scriveva a Pavia il consilium n. 21. Nel 1421 egli tentava di lasciare, prima della fine dell'anno accademico, la sua città, per trasferirsi a Firenze, provocando una nuova contesa, questa volta tra Firenze e Siena, durata dal febbraio al maggio e terminata con la vittoria della prima, dove il B. doveva insegnare due anni, pubblicandovi anche, il 20 genn. 1422, la Quaestio de malitia complexionis diversae: egli dovette abbandonare la città nel 1423, forse a causa della peste.
Rimasta senza risposta la sua richiesta di rientrare a Siena, il B. tornò a insegnare fino al 1425 a Bologna, dove la sua fama fece accorrere pazienti, al dire del figlio, dalla Germania, dall'Inghilterra, dalla Spagna e da altri paesi; inoltre il 14 genn. 1424 il cardinale Gabriele Condulmer conferiva a lui, al fratello Bonsignore e ai parenti e figli loro la cittadinanza bolognese (v. in proposito il documento edito parzialmente dal Lockwood, pp. 147 ss.). Nel maggio o giugno 1425 il B. fu anche giudice in una disputa circa i poteri dell'anima e l'unità dell'intelletto tra Paolo Veneto e Niccolò Fava, decisa a favore di quest'ultimo, pur suo rivale, in quanto anch'egli allora professore di medicina a Bologna.
Il 19 nov. 1425 il B. venne ingaggiato da Filippo Maria Visconti come ordinario di medicina de mane all'università di Pavia con lo stipendio di 500 ducati, aumentato di i oo ducati annui a partire dal 13 dic. 1428; insegnamento proseguito fino all'anno 1428-29, nonostante un nuovo invito di Siena, osteggiato dal Visconti (Lockwood, p. 183), ma ripetuto ancora nel 1430. Di questi anni si ha notizia della pubblicazione - a Parma - di una versione riveduta della Quaestio de putrefactione (12 genn. 1426). Il B. lasciò Pavia dopo aver terminato la lettura degli aforismi di Ippocrate, lasciando invece incompleto il commento ad Avicenna, Canone, I, 4, per recarsi all'università di Padova, dei quale periodo si ricorda una dissezione di cadavere (probabilmente 8 febbr. 1430).
Poco dopo si trasferì a Ferrara, chiamato da Niccolò d'Este come medico di corte, senza tuttavia ricoprire la cattedra all'università; l'insegnamento, ricordato nella Vita (p. 155), dovette essere svolto solo privatamente e occasionalmente; tra i suoi discepoli fu Angelo Decembrio, il cui trattato sulla peste, conservato nel ms. Ambros. Z. 184 sup., porta il titolo De cognitione et curatione pestis egregia Ugone praeceptore, all'interno del quale poi l'autore lo definisce il più eccellente principe dei filosofi e medici dell'epoca. La fama della sua cultura raggiunse il massimo quando, nel 1438, intrattenne dignitari greci e latini, invitati a un banchetto, sui più rari e difficili argomenti filosofici ("de rerum causis ac principiis, de coelorum motu, de.mundi eternitate, de immortalitate animorum, de intelligentiis ac deo", dice Socino, p. 155), ottenendo l'unanime applauso.
Con minuzie di particolari e forse con tono esagerato l'episodio è raccontato anche dal Piccolomini nell'Europae descriptio, che, dopo averlo ricordato come "medicorum princeps", dice che egli con straordinaria abilità prese tutti i passi in cui Platone e Aristotele si trovano in contrasto dicendosi pronto a difendere, di volta in volta, qualsiasi delle due opinioni gli ascoltatori avessero sostenuto: la disputa è vista chiaramente alla luce di una polemica tra Greci e Latini, terminata, per merito del B., con la vittoria di questi ultimi.
Risulta abbastanza copiosa la produzione del B. in questi anni: nel maggio 1431 scriveva su invito di Niccolò d'Este il consilium n. 32, in collaborazione col filosofo milanese Filippo Pelliccione; del novembre dello stesso anno è il consilium n. 19; successivo al matrimonio di Lionello d'Este con Margherita Gonzaga (6 febbr. 1435) è il consilium n. 30; nel 1438 scrive il consilium n. 17 per Carlo Malatesta da identificare probabilmente con il signore di Pesaro morto il 14 nov. 1438.
La posizione economica del B. crebbe, probabilmente, in rapporto alla sua fama: oltre al forte stipendio che nel 1437 si sa ammontare a 674 lire e 10 soldi marchesini, nel 1434 riceveva da Niccolò d'Este poderi nel distretto di Rovigo, nel 1437 un dono di 4.000 lire, tra il gennaio e il febbraio dei 1438 il bosco della Paternella presso Rovigo.
Dal 9 febbraio al 6 maggio 1439, sotto la protezione di Niccolò d'Este, il B. compiva l'ultima visita a Siena, ricevuto con grandi onori. Testimonianza del perdurare della sua fama la notizia che il 13 luglio 1439 a Parma, alla distanza di tredici anni dalla sua partenza da quella città, veniva conferita una laurea in suo nome. Pochi mesi dopo, il 30 nov. 1439, moriva a Ferrara e veniva sepolto nella chiesa di S. Domenico.
Anche se di scarso rilievo sono le sue opere filosofiche, giunteci poi solo in parte, il B. fu senza dubbio uomo di vasta cultura, stimato negli ambienti più colti; oltre a ciò che risulta dalla sua vita e dalla brillante carriera, si potrà citare a conferma una lettera di Leonardo Bruni, che risponde evidentemente a una domanda dei B. circa l'uso dell'espressione "summum bonum", usata dal Bruni nella traduzione dell'Etica Nicomachea, che l'autore conferma come l'esatta traduzione dell'espressione greca (lettera databile tra l'ottobre 1423 e il dicembre 1428: cfr. Lockwood, pp. 185 s.); e due lettere del Piccolomini (tra il dicembre 1431 e metà gennaio 1432), una diretta a Giovanni Aurispa e l'altra a Socino, contenenti entrambe ricordo del Benzi. Ma la fama maggiore è sicuramente dovuta alle sue qualità di medico pratico e di maestro e studioso di medicina teorica; anche se non si distingue per novità di scoperte, né per assoluta novità di pensiero, egli dimostra tuttavia vasta conoscenza della dottrina medica ed esperienza tecnico-terapeutica non comune. Importanti i Consilia saluberrima ad omnes aegritudines, larga serie di casi clinici scelti in modo da interessare un largo settore della medicina: costituiscono uno dei primi esempi che abbiamo di raccolte sistematiche di varie malattie.
Il consilium, introdotto da Taddeo degli Alderotti e seguito da alcuni altri medici dell'epoca, non fu in realtà una completa storia clinica né un nuovo metodo per giungere a una corretta diagnosi delle malattie: articolato secondo la descrizione del caso con la enumerazione dei sintomi, il giudizio prognostico, le prescrizioni dietetiche e medicinali, esso, che pur rappresentava, nell'applicazione ai singoli casi dei concetti generali della medicina, una debole espressione dell'incontro della cultura araba con quella occidentale, troppo rifletteva della pratica araba e galenica per avere dignità scientifica.
Il Trattato utilissimo... circa la conservatione della sanitade fu una delle primissime opere di igiene, se non la prima in senso assoluto, ad essere stampata in italiano: probabilmente tale opera, della quale non esistono copie manoscritte (né è stato possibile reperire citazioni di autori contemporanei), fu dapprima scritta in latino e poi dallo stesso B., o da qualche altro autore, tradotta in italiano.
Egli fu autore, inoltre, di commentari ad alcuni testi medici fondamentali studiati nelle università (a Galeno, dedicati a Niccolò d'Este; agli Aforismi di Ippocrate, dedicati allo stesso; ad Avicenna, Canone, I, 1-2, e 4, e IV, 1 [de febribus], incompiuto per la morte), commentari che dovevano risultare probabilmente molto utili anche ai fini della carriera.
Essi nascevano, secondo i costumi dell'epoca, dalla letteratura e dai commenti in aula dei testi classici: i dubbi, i problemi, le discussioni che sorgevano dalla spiegazione dei maestro e dalle domande dei discepoli costituivano la base delle quaestiones, attraverso le quali si tentava di approfondire lo studio degli antichi maestri, e che erano parte integrante dei commentari.
Bibl.: Per la biografia e per le opere del B. si rimanda alla completa monografia di D. P. Lockwood, U. B.medieval philosopher and physician, 1376-1439, Chicago 1951, che contiene anche l'indicazione dei manoscritti e delle edizioni, più i precisi riferimenti alle fonti e alla bibliografia precedente; buone osservazioni, a complemento, anche in E. Garin, La cultura filosofica del Rinascimento italiano, Firenze 1961, pp. 308-309, 325; A. Garosi, Siena nella storia della medicina, Firenze 1958, pp. 197-214, riproduce un suo scritto dei 1933, aggiungendo alcune pagine polemiche (214-220) contro il Lockwood, su questioni marginali. Per l'attiv. medica, pratica e teorica, cfr. inoltre: G. Sarton, Introd. to the hist. of science, III, 2, Baltimore 1948, pp. 1194, 1195 s., 1220, 1222, 1238 s., 1300; R. Taton, Histoire générale des sciences, II, Paris 1958, p. 8; A. Hirsch, Biographisches Lexikon der hervorragenden Ärzt…,I, München-Berlin 1962, p. 465; Encicl. Ital., VI, p. 661 (sub voce); III, p. 116 (sub voce Anatomia); XXII, p. 712 (sub voce Medicina).