MALAVOLTI, Ubaldino
Nacque a Bologna poco prima del 1260 da Guglielmo di Zandonato e da Principina Principi, primogenito di cinque fratelli, Egidio, Paolo, Guido, Ottaviano e Bonavolta, e di almeno tre sorelle, Beatrice, Agnese e Daxia.
La famiglia aveva proprietà e giurisdizioni feudali nell'alto Appennino, nella zona di Firenzuola, ma viveva in città, in cappelle contigue a porta di Castello. Aveva aderito alla parte guelfa geremea, assicurandosi un ruolo attivo nella politica cittadina, che si protrasse anche dopo l'affermazione popolare, sancita dagli ordinamenti sacrati e sacratissimi del 1282-84.
Il M., primo del suo casato, acquisì il titolo di doctor legum, probabilmente nel 1285. Membro del Collegio dei dottori, giudici e avvocati, nel giugno 1286 fece parte della commissione che attestò la correttezza della procedura avviata da Rolandino Passaggeri per legittimare la figlia Bartolomea. Svolse anche attività didattica, come appare da una riformagione del giugno 1297 relativa allo Studio e dalla sua partecipazione nel maggio 1302 al giudizio che portò al bando dello studente senese Fredo de' Tolomei. Restano alcuni suoi consilia per cause nella curia del podestà, dal 1301 in avanti, dati singolarmente e con altri dottori, quali Bibliobarigi Azzoguidi, Accursio da Savignano, Giuliano di Cambio. Secondo Fontana il M. avrebbe scritto un'opera intitolata Questiones iuris Bon[onienis], ma la notizia non ha trovato conferma.
Pur non essendo titolare di un banco di cambio, il M., al pari del padre e altri familiari, concedeva prestiti. Lo attesta la sua denuncia d'estimo del 1296 che riporta crediti per oltre 1100 lire: una situazione simile peraltro a quella di tanti altri maestri dello Studio.
Il M. fu figura di rilievo nella politica cittadina, specie quale componente di ristrette Balie con altri dottori dello Studio, impegnati in attività di supporto e consulenza agli organi di governo. Nel 1285 fu con Pace de' Paci, Lambertino Ramponi e gli Anziani nella Balia incaricata di cancellare dai libri dei banditi i Lambertazzi che avevano aderito alla parte geremea. Nel 1289 fu con il Ramponi e Francesco Foscarari nella Balia che esaminò la proposta di alleanza di Guido da Polenta e dei Comuni di Cervia e Rimini e nel 1290 in quella incaricata di decidere della guerra contro gli Estensi. Nel 1291 fu uno dei due membri per il quartiere di Porta Stiera nella commissione che fissò gli obblighi militari dei cavalieri cittadini. Nel 1294 fu uno dei cinque rappresentanti inviati da Bologna al Parlamento generale convocato in Imola dal conte di Romagna per decidere i termini della pace con le città ribellatesi alla Chiesa.
Dal 1296, nel corso della guerra sostenuta da Bologna contro Azzo (VIII) d'Este, il M. intensificò la sua attività pubblica e il 21 giugno 1297 il Consiglio del Popolo, nell'esentare i professori e gli ausiliari dello Studio dal partecipare alle operazioni militari, estese in modo specifico l'esenzione a Ramponi e al M., ma ne richiese la presenza in città per prestare consulto agli Anziani e al vicario del podestà. Nel marzo 1299 il M. fu uno dei quattro esperti designati ad assoldare milizie e successivamente, con Bonvicino, altro dottore dello Studio, fu incaricato delle trattative di pace con l'Estense.
Nel 1301, quando nella parte geremea e popolare prevalse la fazione più moderata, vicina e alleata dei Bianchi di Firenze, il M., membro con Romeo Pepoli, Pace de' Paci e Alberto da Calcina dell'Ufficio di credenza, assunse responsabilità diretta nel governo della città. La cosa non ebbe peraltro seguito e i suoi incarichi successivi si limitarono alle ambasciate. Nel luglio 1301 fu presso il cardinale Matteo d'Acquasparta, impegnato a contrastare Maghinardo da Susinana, e a ottobre venne inviato con Pace de' Paci, Jacopo da Ignano e Alberto di Ughetto in missione presso il papa.
La missione era stata sollecitata da Firenze, che temeva un intervento di Carlo di Valois d'intesa con Bonifacio VIII.
Il M. ne approfittò per rivendicare dal governo fiorentino i diritti di giurisdizione feudale spettanti alla sua famiglia sul castello di Tirli, presso Firenzuola, che da Firenze era stato occupato. Alcuni suoi congiunti avevano cercato nel 1297 di riconquistare con le armi il castello, ma ne erano stati respinti e il Comune di Bologna aveva dovuto presentare formali scuse alla Signoria fiorentina. Le rivendicazioni del M., sostenute dalla sua preparazione di dottore dello Studio, ottennero che Firenze annullasse i bandi emessi contro i suoi congiunti e i loro seguaci, ma non il ripristino dei poteri feudali. L'esame delle questioni sollevate dal M. aveva peraltro allungato i tempi della missione e Compagni (p. 90) ne addossa al comportamento del M. il fallimento.
In realtà la missione non aveva alcuna possibilità di mutare i piani di Bonifacio VIII, già deciso a sovvertire il governo dei Bianchi con l'intervento di Carlo di Valois, formalmente incaricato di pacificare le fazioni, come puntualmente avvenne ai primi di novembre.
Conscio del pericolo, il governo di Bologna cercò di non dare a Carlo di Valois il pretesto per assumere veste di pacificatore anche in questa città. Tra le iniziative adottate vi fu la missione affidata il 18 genn. 1302 al M. e a Pace de' Paci, inviati al Valois, accampato a Prato. L'interesse del Valois sembra peraltro fosse già volto alla guerra in corso in Sicilia e il timore di un suo intervento in Bologna scemò presto.
Sulla città gravava comunque la minaccia di una nuova azione di Azzo (VIII) d'Este. Per evitare che ai partigiani dell'Estense, presenti anche in città, specie tra nobili e magnati, si unissero gli esuli Lambertazzi, Bologna adottò nei loro confronti provvedimenti di clemenza. Nello stesso tempo l'accordo di Azzo d'Este con i Neri di Firenze indusse Bologna ad allearsi strettamente con i Bianchi esuli da Firenze, gli Ubaldini, Pistoia e i signori di Romagna ostili all'Estense. Ne scaturì un trattato concluso il 31 maggio 1303 in Bologna. Tra i testimoni vi fu anche il M., ancora vicino alle scelte politiche del governo bolognese.
Nei mesi successivi, mentre si accentuava il sostegno di Bologna alle azioni della Parte bianca, la posizione del M. si fece più defilata. Ebbe infatti un nuovo incarico pubblico solo nel settembre 1306, quando il governo della città era da mesi saldamente nelle mani della fazione guelfa intransigente, che aveva bandito i capi dei guelfi moderati, accusati di legami con i ghibellini. Con Bonifacio Galluzzi, influente rappresentante del nuovo corso, il M. andò ambasciatore presso Clemente V, a Bordeaux. La delibera che decise la missione alludeva a gravi motivi, non meglio specificati. I due si trattennero a lungo in Francia e solo ai primi di febbraio 1307 rientrarono in Bologna. Furono accolti con onore, ma non pare avessero ottenuto risultati degni di nota.
Le successive testimonianze sul M. attengono solo alla sfera privata. Risalta tra esse la denuncia d'estimo presentata nel 1315. Vi figura proprietario di otto case in città, oltre a quella di abitazione, tutte in cappelle contigue a porta di Castello; di una decina di unità poderali per complessivi 125 ettari nella pianura: a San Giovanni in Persiceto, Anzola, San Martino in Argine e Dugliolo; di 50 ettari di bosco e terre incolte; di parte di un mulino e di pochi appezzamenti minori. Il raffronto con la dichiarazione del 1296 attesta un notevole incremento delle proprietà immobiliari in città, alcune delle quali pervenutegli per lasciti di parenti, ma soprattutto un forte investimento in grosse unità poderali, in zone di pianura ad alta produttività. Aveva ceduto per contro varie unità minori e anche alcuni vigneti prossimi alla città. In questa dichiarazione il M. non denuncia alcun credito, ma ciò non significa che egli avesse cessato di prestare denaro.
Il 22 genn. 1316 il M. dettò un codicillo, la sua sola disposizione d'ultima volontà pervenuta. Vi confermava vari legati del precedente testamento, tra cui quelli per restituzione di usure, prova di una continuità dell'esercizio di prestito; confermava i legati alla moglie, Bernardina, di cui ricordava i nomi della madre, Bartolomea, e del fratello, Nicolò, ma non il casato; citava il proprio figlio Bartolomeo, designato nel testamento quale unico erede.
Ai primi di agosto 1316 il M. con Giovanni d'Andrea e altri dottori dello Studio fece parte della Balia istituita dal Comune di Bologna per sanare i gravi contrasti sorti con gli studenti e che avevano indotto i rettori delle università studentesche a ritirarsi ad Argenta. Le designazione del M. a membro di tale Balia è l'ultima testimonianza che lo concerne. È quindi probabile che egli sia morto in Bologna entro il 1316.
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