MAZZOTTI, Tullio (Tullio d’Albisola)
Nacque ad Albissola (Albisola) il 2 dic. 1899, secondogenito del vasaio Giuseppe e della piemontese Celestina Gerbino Promis.
Giuseppe (1865-1944), detto Bausin (da Bolzino, frazione di Varazze, dove aveva vissuto per qualche tempo), dopo la nascita del primogenito Torido (1895-1988) e del M. aprì nel 1903 una propria fabbrica nel borgo albissolese di Pozzo Garitta, denominandola «Fabbrica di ceramiche d’arte tradizionale e moderne Giuseppe Mazzotti», e adibì un piccolo forno alla esclusiva produzione di ceramiche artistiche. Mentre Torido studiava all’istituto di arti e mestieri di Savona, il M., a causa delle sopraggiunte ristrettezze economiche, rimase ad aiutare il padre. Allo scoppio della guerra Torido venne assunto come disegnatore all’Ansaldo e il M. andò al fronte nel corpo del genio telegrafisti.
Nel dopoguerra Giuseppe, aiutato dai figli, si unì in società con i fratelli ceramisti Valle nel tentativo, poi fallito, di produrre oggetti d’arte. Il M., arrestato a seguito di una rissa con un gruppo di fascisti, venne condannato a due anni di carcere. Processato e assolto, tornò a lavorare nella fabbrica paterna, occupandosi della parte creativa e delle nuove aperture del mercato.
Nel 1925, in una favorevole congiuntura, che vedeva da una parte il crescere del turismo e dall’altra l’interesse del mercato americano per la produzione ceramica italiana, di buona qualità e a prezzo competitivo, la ditta Mazzotti si ingrandì con l’affitto di nuovi locali ad Albisola Superiore, dove eseguire la produzione corrente, mantenendo a Pozzo Garrita la produzione artistica. In questo stesso anno la ditta Mazzotti inviò vasi e piatti all’Esposizione internazionale di arti decorative di Parigi: la sala ligure allestita per l’occasione al Grand-Palais si impose all’attenzione del pubblico per decori e oggetti di grande suggestione (tra le altre, spiccarono le ceramiche di Manlio Trucco, quelle di Torido e Tullio, e un grande bassorilievo di Francesco Messina).
A Faenza, dove seguirono nel 1929 un corso di specializzazione in ceramica, i fratelli Mazzotti conobbero Gaetano Ballardini e Giuseppe Liverani, fondatori del Museo internazionale delle ceramiche, e impararono a utilizzare il forno elettrico sia per il cosiddetto «bello», il prodotto decorato e verniciato, sia per il «biscotto»; la novità venne importata ad Albisola e presto seguita dalle altre fabbriche ceramiche. Lo «stile Albisola», che declinava il déco internazionale con una interpretazione raffinata ed elegante degli stili ceramici tradizionali, sostenuto da una valida pratica artigianale, si andava intanto affermando con crescente successo: aumentarono i clienti sul mercato sia francese sia italiano sia americano.
A partire dalla metà degli anni Venti nelle opere del M., instancabile sperimentatore, si avverte un crescente distacco dal déco locale, sancito definitivamente con la sua adesione al movimento futurista, grazie anche al contatto con Nino Strada, esponente del gruppo Nuove Tendenze di Milano. In particolare l’opera del M. (che verrà soprannominato Tullio d’Albisola proprio da Filippo Tommaso Marinetti) attrasse ad Albisola alcuni giovani artisti del gruppo futurista torinese: l’architetto bulgaro Nicolai Djulgheroff, il triestino Farfa (Vittorio Tommasini), Pippo Oriani, Mino Rosso, Alberto Sartoris e soprattutto Fillia (Luigi Colombo), che cominciò a collaborare con la ditta, fornendo disegni e modelli. Da questo momento, grazie all’incessante attività del M., Albissola divenne luogo di aggregazione di pittori, scultori, intellettuali. Nel 1925 il M. cominciò a produrre opere dalle forme dinamiche e bizzarre, di grande forza cromatica e dai decori chiaramente ispirati al futurismo: sono le prime ceramiche antidecorative e «antimitative», come le definirà lo stesso M. nel suo libretto La ceramica futurista (Savona 1939), caratterizzate da colori squillanti solcati da robusti segni neri.
Nel 1927, anno in cui partecipò alla IV Biennale di arti decorative di Monza, il M. iniziò a lavorare con Bruno Munari, ideando modelli e decori innovativi, dalle forme scomposte e reinventate in una nuova visione spaziale. Nel 1928 espose il Presepe strapaesano alla Mostra dei presepi antichi e nuovi allestita a Torino (palazzo Madama). Nell’ottobre 1929 il M. e il faentino Riccardo Gatti parteciparono, unici ceramisti, alla mostra «Trentatré futuristi», organizzata da Fillia nella galleria Pesaro di Milano. L’evento segnò il pubblico riconoscimento del M. da parte del mondo artistico e culturale italiano.
Intanto la ditta paterna adottò quale marchio il disegno di una fornace, seguito dalla sigla «M.G.A.» (Mazzotti Giuseppe Albisola).
Tra la fine del 1930 e il 1932, insieme con Alf Gaudenzi, Giacomo Picollo e altri, il M. fondò il genovese «Gruppo Sintesi».
Nel 1930 partecipò a numerose mostre, tra le quali la Triennale di arti decorative industriali e moderne di Monza, «Arte futurista» ad Alessandria, la «Mostra futurista architetto Sant’Elia» e «Ventidue pittori futuristi» alla galleria Pesaro di Milano; nel 1931 espose alla mostra del gruppo Sintesi di Genova, alla «Mostra futurista» di Firenze, alla «Mostra futurista» di Savona. Nel Manifesto dell’arte sacra futurista, pubblicato a firma di Marinetti e di Fillia per la prima volta su La Gazzetta del popolo di Torino del 23 giugno 1931, il M. è citato insieme con Giacomo Balla, Gerardo Dottori, Fortunato Depero, Djulgheroff, Fillia, Antonio Marasco, Bruno Munari, Enrico Prampolini, Mino Rosso, Tato (Guglielmo Sansoni), Thayaht (Ernesto Michahelles), tra «gli artisti futuristi elettrizzati di ottimismo colore e fantasia» (Marinetti, p. 203).
Nel 1932 il M. acquistò un terreno lungo la strada Aurelia, alle foci del Sansobbia, e fece realizzare una modernissima casa-laboratorio-negozio, su progetto di Djulgheroff, cui fu aggiunto nel 1934 un nuovo edificio per i laboratori. L’azienda di famiglia (si erano uniti all’attività anche la sorella minore Vittoria con il marito Marino Baldantoni) aveva ormai una produzione articolata in serie e in pezzi unici, in ceramiche tradizionali e ceramiche futuriste, alle quali lavorava come ideatore creativo e sovrintendente il M., in questi anni assiduamente presente alle principali esposizioni del movimento in Italia e in Francia (si ricordano nel 1932 la mostra «Enrico Prampolini et les aeropeintres futuristes italiens» alla Galerie de la Renaissance di Parigi e altre mostre futuriste a Torino, Genova, Savona, La Spezia, Catania).
Nell’ottobre 1932 uscì a sua firma su Futurismo (I, n. 7) Le ceramiche futuriste di Tullio d’Albisola: il M. intervenne ancora sulle pagine della rivista di Marinetti (si ricordano tra gli altri scritti Le ceramiche futuriste di T. d’Albisola del 23 ott. 1932, Le realizzazioni futuriste in provincia di Savona del 6 nov. 1932, Ceramiche e vetri del 1° genn. 1933, Ceramisti d’eccezione del 2 apr. 1933, La Santabarbara futurista del 18 apr. 1933), così come su Stile futurista, il mensile torinese di Prampolini e di Fillia (Dalle «Tre Grazie» neoclassiche alle aeroceramiche futuriste, ottobre 1934). Nel 1932 dette il via a un inedito esperimento editoriale, realizzando con Marinetti il primo libro stampato su lamine di ferrostagno litografato a colori, sotto la doppia sigla Lito-Latta e delle romane Edizioni futuriste di poesia. Sempre in latta è L’anguria lirica del 1934, con presentazione di Marinetti, nota esplicativa di V. Orazi, 12 litografie a piena pagina a colori di Munari.
Si tratta di una raccolta di poesie corredate da illustrazioni e stampate su 42 fogli di latta (compresa la copertina), per una tiratura di 101 esemplari, 50 dei quali in commercio. Una assoluta novità nel panorama editoriale italiano, subito notata anche in ambito internazionale, e che venne replicata nel 1934 con le Parole in libertà futurista. Tattili termiche olfattive di Marinetti, 15 fogli di latta compresa la copertina, 9 testi poetici e 12 litografie a colori a piena pagina del M. (Jentsch, pp. 121, 245).
Curioso e grande sperimentatore, in questi stessi anni il M. avviò la produzione di alcune sculture seriali in lega di cromoalluminio, appoggiandosi a partire dal 1930 alla fonderia Mantegazza di Varazze (Presotto, Esperimenti futuristi…, pp. 31 s.); realizzò, inoltre, un progetto per una pellicola cinematografica (Id., Fiamme alte…, pp. 26-30).
Assidua in questi anni la sua presenza alle esposizioni futuriste: nel 1933 è a Firenze, alla galleria Pesaro di Milano, a Livorno, a Mantova, Genova, Torino, Roma; nel 1934 a Nizza; nel 1935 a Parigi. Nel 1936 presentò nell’ambito della VI Triennale di Milano, nel padiglione dell’architettura, un pannello in ceramica di 40 m2, allegoria novecentista eseguita con la collaborazione di Strada e dedicata a Le forze fasciste. Lo stesso anno partecipò alla «Mostra di plastica murale» a Genova, palazzo ducale, con le sculture ceramiche di Lucio Fontana.
Il 10 apr. 1937 firmò (tra gli altri con Benedetta Cappa Marinetti ed Enrico Prampolini), su La Gazzetta del popolo, il manifesto marinettiano Poesia e arti corporative, poi ripreso nel testo Estrazione sistematica di nuovi splendori e nuove musiche dai tecnicismi, introduttivo a Il poema non umano dei tecnicismi, pubblicato a Milano nel 1940.
Nello scritto, in cui si dichiara che il «nuovo compito della poesia e delle arti nell’Italia Imperiale Fascista figlia della Guerra Veloce [è] quello di organizzare con proficua distribuzione d’intuiti e sforzi creativi l’idealizzazione dei singoli lavori concettuali amministrativi manuali meccanici chimici», il M. è citato, con la sua ceramica, tra quanti «idealizzano chimica e industria» (Marinetti, pp. 1143-1146).
All’Esposizione internazionale di Parigi del 1937 il M. presentò il Fregio delle corporazioni, un grande pannello ceramico di m 3 x 20, sempre in collaborazione con Strada. Il 7 sett. 1938 firmò con Marinetti Ceramica e aeroceramica. Manifesto futurista, pubblicato su La Gazzetta del popolo di Torino, testo nel quale Albissola è definita «capitale ceramica d’Italia». Un anno dopo pubblicò La ceramica futurista (Savona 1939).
Intanto, con le sanzioni del 1935-36 e la chiusura dei mercati internazionali, e ancor più con il successivo scoppio della guerra, la produzione dell’azienda di famiglia subì una flessione. Tuttavia il M. continuava a lavorare incessantemente, sempre più interessato alla ceramica quale «presenza» nello spazio; nel 1939-40 allestì a Napoli, su bozzetto di Enrico Prampolini, all’esterno del teatro della Triennale d’Oltremare, una grande ceramica murale, vero e proprio intervento monumentale e ambientale. Nel 1942 era a Roma, dove per l’E 42 presentava il progetto di una Strada d’oro di m 1000 x 30, eco di quelle «strade e piazze d’oroceramico» ipotizzate nel Manifesto del 1938.
Al termine della guerra, dopo la morte nel 1944 dell’anziano Bausin, sfollato a San Michele di Mondovì, i fratelli ripresero la produzione tradizionale, lavorando inizialmente soprattutto per ditte di prodotti dolciari, farmaceutici e spiriti.
Gli anni Cinquanta conobbero una nuova stagione creativa, nuovi contatti con il mercato estero e soprattutto l’intensificarsi della collaborazione già avviata negli anni passati con artisti quali Lucio Fontana, scultore in ceramica per il M. sin dal 1935 (oltre che illustratore, con 14 disegni, di un suo Racconto, Milano 1943), Giacomo Manzù, Giuseppe Capogrossi, Asger Jorn, Aligi Sassu, con molti dei quali intrattenne un vivacissimo scambio epistolare. Nel 1954 fu nominato membro aggiunto all’Accademia internazionale della ceramica di Ginevra.
Nel 1959 i fratelli decisero di dividere le attività: Torido divenne unico titolare della ditta Giuseppe Mazzotti, ora G.M.A., insieme con i figli Bepi e Celina, poi con i nipoti Tullio, Marta, Rosa e Francesca. Il M., «trascinatore», «uomo di poche parole» che «aveva sugli altri un forte ascendente, una notevole personalità», come ricorderà Torido (Mazzotti, p. 197), fondò la ditta Vittoria Mazzotti, insieme con la sorella Vittoria e con la nipote Esa Baldantoni, attualmente Ceramiche Mazzotti, con sede nella casa realizzata da Djulgheroff.
Negli anni Sessanta il M. si dedicò, contemporaneamente all’editoria, alla poesia (Amore del «gran fuoco», Milano 1963) e, sulla scia di interessi «strapaesani» coltivati sin dalla fine degli anni Venti, allo studio e alla diffusione della tradizione ceramica popolare, tramite saggi (La ceramica popolare ligure, Milano 1964; Ceramiche omaggio a N.S. di Misericordia, per il 150° anniversario dell’incoronazione di N.S. di Misericordia, Savona 1966), recensioni e articoli su riviste quali La Ceramica, Genova (La ceramica d’Albisola, maggio 1952), Liguria, Il Letimbro. Nell’agosto 1965 venne insignito dell’onorificenza albissolese della Rosa d’oro.
Il M. morì ad Albissola Marina il 19 maggio 1971.
Il nucleo più consistente delle opere del M. è esposto nel Museo internazionale delle ceramiche di Faenza.
La vasta corrispondenza intercorsa tra il M. e i personaggi della cultura, con i quali intrattenne vivaci e costanti rapporti, è conservata dagli eredi nell’Archivio Tullio d’Albisola, ad Albissola Marina. I documenti più significativi sono stati editi a cura di D. Presotto, in quattro volumi, con il titolo Quaderni di Tullio d’Albisola (Savona 1981-87).
In occasione del centenario dalla nascita della prima fabbrica, la Fondazione G. Mazzotti, istituita nel 2002, ha pubblicato la quadrilogia Fabbrica Casa Museo Giuseppe Mazzotti 1903: 1903-2003, storia di una fabbrica di ceramica del territorio albisolese nel corso del Novecento, Albissola 2003-06: I, Immagini di ceramica; II, La fabbrica e la sua produzione; III, Albisola e i Mazzotti nel Novecento. Analisi e prospettive d’arte; IV, I Mazzotti. Biografie e storie parallele.
Fonti e Bibl.: F. Marzinot, Ceramica e ceramisti di Liguria, Genova 1979, pp. 317-319, 336 s.; G. Appella, in Scultura e ceramica in Italia nel Novecento (catal., Bologna), a cura di P.G. Castagnoli - F. D’Amico - F. Gualdoni, Milano 1982, pp. 22 s., 164 s.; E. Crispolti, Introduzione alla ceramica futurista, in La ceramica futurista da Balla a T. d’Albisola (catal., Albissola Superiore-Faenza), a cura di E. Crispolti, Firenze 1982, pp. 7-36; F.T. Marinetti, Teoria e invenzione futurista, a cura di L. De Maria, Milano 1983, pp. 203, 1144; T. Mazzotti, Grazie, Albisola, per quello che sono, in F.M. Rosso, Per virtù del fuoco. Uomini e ceramiche del Novecento italiano, Aosta 1983, pp. 192-197; E. Crispolti, in Futurismo e futurismi (catal., Venezia), a cura di P. Hulten, Milano 1986, ad ind.; D. Presotto, Esperimenti futuristi alla «Fonderia in metalli» di Varazze, in Sabazia, n.s., 1988, n. 4, pp. 31 s.; Id., Fiamme alte. Un film di T. M., ibid., 5, pp. 26-30; E. Crispolti, Poliedricità di Tullio, in Albisola, gli artisti e la ceramica (catal., Albissola), a cura di F.D. Tiglio, Savona 1990, pp. n.n.; R. Jentsch, Libri d’artista italiani del Novecento, Torino 1993, pp. 121, 245; L. Gallo Pecca - M. Gallo Pecca, L’avventura artistica di Albisola 1920-1990, Savona 1993, passim; K. Mc Cready, Art déco and modernist ceramics, London 1995, p. 130; C. Chilosi - L. Ughetto, La ceramica del Novecento in Liguria, Genova 1995, pp. 63-66, 101-138; F. Buzio Negri, Aria, acqua, terra, fuoco. Ad Albisola, la scintilla dell’arte tra déco e futurismo, in Albisola futurista. La grande stagione degli anni Venti e Trenta (catal.), a cura di F. Buzio Negri - A. Zelatore, Gallarate-Savona 2003, pp. 13-19; Libri taglienti esplosivi e luminosi. Avanguardie artistiche... (catal., Trento-Bolzano), a cura di R. Antolini - A. D’Alessandri - M. Gazzotti, Rovereto 2005; Diz. degli artisti liguri, a cura di G. Beringheli, Genova 1991, p. 195.