TROFEO (τρόπαιον, tropaeum)
L'uso di conservare le spoglie di una vittoria come documento del proprio valore, è diffuso in ogni stadio culturale dell'umanità. A questo si unisce poi il concetto della consacrazione alla divinità di tutta o di parte della preda.
Possiamo seguire lo sviluppo di questo concetto nella civiltà greca la quale, unica nell'antichità, lo ha concretato ad un certo momento in una particolare e definita espressione artistica. Per quanto presso le popolazioni mediterranee e dell'Oriente Antico esistesse la consacrazione delle spoglie dei vinti (Egitto, Civiltà sumerica, ecc.), non sembra che ciò abbia dato luogo a particolari realizzazioni artistiche, se si prescinde dai monumenti di differente "dimensione" con cui egizi e mesopotamici hanno celebrato le loro vittorie. Nemmeno abbiamo documentazioni esplicite per la civiltà cretese e micenea. Agli albori della civiltà greca, attraverso i poemi omerici, ci è attestato l'uso di recuperare sul campo o nelle città distrutte le spoglie dei nemici, dividerle fra i guerrieri e, in qualche caso, consacrarle alla divinità (Il., vii, B, x, 460). Ma in taluni casi l'indiscriminato saccheggio è considerato un sacrilegio (punizione dei responsabili del sacco di Troia). Le notizie relative a t. eretti nel sec. VIII a. C. (t. amicleo degli Spartani) e nel sec. VII a. C. (t. salaminî dei Messeni e degli Ateniesi) sono incerte. Il primo sicuramente documentato è del 520 a. C. ed è un t. navale (t. samio degli Egineti nel tempio di Aphaia), ma non si tratta ancora in senso stretto di interpretazione artistica del trionfo. Le notizie relative a erezioni di t. si fanno sempre più frequenti per tutto il V sec. a. C., per diminuire poi nel IV a. C. e nell'età ellenistica. Gli Spartani sembra siano stati in ordine di tempo gli ultimi fra i Greci ad adottare l'uso di erigere il t., uso estraneo affatto ai Macedoni. Per questi popoli vigeva evidentemente ancora la devotio completa agli dèi di tutto quanto restava sul campo. Così non si ha memoria di veri e proprî t. di Alessandro. I Diadochi inclinarono invece spesso all'uso classico. Per tutti gli altri Greci il t. era insieme segno di vittoria, ex voto e monito per l'avversario. Il t. poteva essere di due tipi: antropomorfo e a cumulo; il primo connesso in certo senso con la monomachia, il secondo con la battaglia. Ma certo questa originaria differenza si è perduta col tempo. Nel t. antropomorfo si cercava di collocare le armi, sostenute da un palo o da una croce, nella stessa posizione in cui erano indossate dal guerriero. Le armi stesse erano fissate allo scheletro ligneo con chiodi anche per una ragione magica, perché lo spirito del morto non potesse più servirsene. È questo il tipo più comune che troviamo nelle rappresentazioni artisti che, in genere connesso con la figura di Nike (balaustra di Atena Nike, e raffigurazioni su monete). Il t. a cumulo era costituito da un acervo indiscriminato di armi, sorretto o. no da un mucchio interno di pietre o di terra, e veniva ad assumere di necessità una forma subconica. Non abbiamo di questo nessuna rappresentazione diretta per l'età classica. Il t. navale poteva essere semplicemente del tipo antropomorfo, ma anche acquistare maggiore grandiosità per l'applicazione degli speroni bronzei delle navi catturate, sola parte non deperibile di esse.
Connessa in certo qual modo col t. è la consacrazione di una scelta parte della preda agli dèi nazionali delle città vincitrici o a quelli cui comunque attribuivasi la vittoria. Questa consacrazione può essere stata anche soltanto simbolica o consistere in un equivalente del valore.
Il t. compare solo alquanto tardi nelle arti figurative. Nikai che ergono o adornano t. si vedono per la prima volta nella balaustra del tempio di Atena Nike sull'Acropoli. Il t. entra quindi inizialmente nel repertorio figurativo dei Greci in base al suo valore simbolico. Il t. plastico è, di per sé, invece, una grande "natura morta" e ciò spiega la sua comparsa molto tarda. Uno dei più antichi è forse quello di Cecilio Metello Macedonico a Delo, già, quindi, di età roman t. Una realizzazione monumentale particolare ha nell'ellenismo il t. navale. Tale era la prua di nave sormontata dalla vittoria dedicata dai Rodi a Samotracia e la roccia configurata a rostro sormontata dalla statua del navarco Agesandro nell'isola stessa di Rodi. Il t. a cumulo entra pur esso assai tardi nel repertorio artistico, mai come riproduzione integrale, ma più come suggerimento di motivi decorativi. È il caso delle armi raffigurate nella balaustra del portico di Atena a Pergamo di esecuzione estremamente analitica e delle raffigurazioni di armi nel tempio di Artemide Leukophrienè di Magnesia sul Meandro.
Entrambi questi spunti artistici dell'ellenismo passano, e vi assumono uno sviluppo assai vasto, nel patrimonio artistico romano.
Il termine latino tropaeum è evidentemente ed anche per ragioni fonetiche trasposto dal greco. Ma anche agli Italici era comune appendere agli alberi le spoglie dei nemici e il t. singolo greco ha certo un parallelo nell'uso latino della dedica a Giove delle spoglie del capo dell'esercito vinto (spoliae opimae). Ma non sembra che presso gli Italici questa pratica avesse la pluralità di significati che aveva presso i Greci l'erezione del t., né che fosse abituale: essa almeno è completamente estranea all'arte etrusca. L'erezione del t. fatta per la prima volta da L. Domizio e M. Fabio Massimo per la vittoria sugli Allobrogi nel 121 a. C. è sottolineata nell'epitome di Floro (i, 37, 6) come nuova per gli usi romani. Si tratta evidentemente- e la cronologia lo comprova- dell'adozione di un uso greco, estraneo al mondo occidentale. I t. ricordati anteriormente possono essere anticipazioni degli scrittori ed è certo che la colonna rostrata di C. Duilio del 260 è in connessione coi t. navale dei Greci Per i Romani, eccettuato il periodo in cui l'influsso ellenistico è più evidente e dominante, il t. diventa un tipo monumentale, uno dei tanti di cui si servì la mentalità commemorativa e celebrativa romana. Così la riproduzione artistica del t. assume una frequenza e un'imponenza senza precedenti. Il t. antropomorfo è adoperato di frequente come elemento decorativo in bassorilievo e a tutto tondo, specie nella decorazione degli archi onorarî o trionfali, con cui è intimamente connesso (donde la denominazione greca di ἁψὶς τροπαιοϕόρος: Cass. Dio, liv, 8; v. arco). T. collocati sopra archi ci sono noù soltanto attraverso le monete e qualche rilievo. Restano invece quelli a bassorilievo. Da ricordare specialmente quelli degli archi di Carpentras e Saint Rémy, dove al t. si accompagnano figure di barbari prigionieri, schema questo che diventa frequentissimo e ripetuto, e scade talora a motivo decorativo puro e semplice, senza la potente drammaticità degli esemplari gallici. Motivi cronologici potrebbero far pensare che questa integrazione del motivo tropaico nel corpo stesso del monumento sia un portato della particolare esperienza dell'ambiente sudgallico, largamente imbevuto di cultura ellenistica. Di età flavia sono forse i grandiosi t. a tutto tondo detti di Mario, attualmente sul Campidoglio. Un grande t. bronzeo è venuto in luce nel Foro di Hippo Regius (Hippone) (Fasti Arch., iii, 1950, fig. 78, n. 3479). In età romana continua, spessissimo, la tradizione dei rilievi ellenistici con armi a cumulo sugli archi onorarî (Pola, Torino, Orange); armi singole o isolate come decorazione di fregi continui e di metope erano in uso fin dalla fine della Repubblica. I fregi d'armi a cumulo hanno nell'arte romana, in molti casi, una realizzazione originale, così nel pittoresco disordine dell'arco di Orange come nella composta e grave severità della base della Colonna Traiana, che è un vero e proprio grande t. a cumulo, adattato a servire di base.
Il tema tropaico è trattato ad ogni modo infinite volte specialmente nelle figurazioni "programmatiche" ed "emblematiche" della monetazione, dando luogo a numerose variazioni che rientrano assai più nella concezione metastorica del potere (e già prima della ufficiale costituzione del principato) che non nella storia dell'arte, dal momento che manchiamo di sufficienti documentazioni dirette. La tipologia romana del t. comporta, ad ogni modo, integrazioni e sviluppi concettuali, non una vera e propria elaborazione artistica originale.
Dal t. a cumulo trae indubbiamente origine anche l'edificio circolare che pure ha il nome di tropaeum, e che al significato commemorativo associa una particolare forma. È il caso del tropaeum Alpium (v.) augusteo della Tourbie (22 a. C.) e del tropaeum Traiani (v.) di Adamclissi. Entrambi questi monumenti sono basi grandiose, destinate a sorreggere alla sommità un t. antropomorfo a tutto tondo. È certo questa un'interpretazione architettonica di un originario cumulo subconico portante il t. alla sommità e riconferma in ogni caso il valore del monumento commemorativo come elemento di sostegno (v. monumento funerario). Alla sua realizzazione non è tuttavia estranea la tradizione delle tombe a tumulo e a tamburo cilindrico.
Bibl.: J. Durm, Die Baukunst der Römer, Stoccarda 1905, p. 733 ss.; K. Wolcke, Beiträge zur Geschichte des Tropaion, in Bonner Jahrbücher, CX, 1911, p. 5; A. Reinach, Trophées Macedoniens, in Rev. Etudes Grecques, III, 1913; id., Les dieux des trophées, in Revue de l'histoire des réligions, II, 1914; id., in Dict. Ant., V, 1919, p. 497 ss. s. v.; F. Noack, Die Baukunst des Altertums, Berlino s. d., p. 116 ss.; F. Lammert, in Pauly-Wissowa, VII A, 1948, cc. 663-75, s. v. Tropaion; G. Picard, Trophées d'Auguste à Saint-Bertrand-de-Comminges, in Mémoires Soc. Arch. du Midi de la France, XXI, Tolosa 1947, id., Les trophées romains, Parigi 1959, passim.