Nel processo civile, l’insieme delle attività processuali prevalentemente volte alla fissazione del thema decidendum e del thema probandum, ovvero delle domande e delle eccezioni su cui il giudice è tenuto a pronunciarsi, nonché dei fatti controversi e bisognosi di prova (Domanda; Eccezione; Prova. Diritto processuale civile).
Nel nostro ordinamento, grazie alle barriere preclusive che regolano lo svolgimento del processo, la trattazione assume una sua propria autonomia strutturale, cioè costituisce una specifica fase del processo di cognizione; fase che segue quella introduttiva ed anticipa quella istruttoria. Si svolge di regola in forma orale, in udienza, dinanzi al giudice istruttore e sotto la sua direzione (art. 180 e 183 c.p.c.).
La trattazione costituisce uno dei momenti centrali del processo durante il quale il giudice, esercitando il suo dovere di collaborazione con le parti, richiede alle stesse i chiarimenti che reputa necessari e indica le questioni rilevabili d’ufficio di cui ritiene opportuna la trattazione (art. 183, 4° co., c.p.c.). Può interrogarle liberamente sui fatti di causa (art. 117 c.p.c.) e, se le parti lo richiedono congiuntamente, può procedere al tentativo di conciliazione (art. 185 c.p.c.). Durante questa fase, poi, è consentito alle parti di apportare talune modifiche alla strategia processuale seguita fino a quel momento (art. 183, 5°-6° co., c.p.c.), ovvero, sia l’attore sia il convenuto possono precisare o modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni già formulate. L’attore può altresì proporre le domande e le eccezioni che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte da convenuto, nonché essere autorizzato dal giudice a chiamare in causa un terzo nel caso in cui tale esigenza sia sorta dalle difese del convenuto. L’esercizio di tali poteri può avvenire o in forma orale, cioè durante l’udienza, oppure, se richiesto dalle parti, anche in forma scritta all’interno di memorie da depositarsi entro i termini perentori fissati dal giudice.