Trasferimenti tecnologici
Il trasferimento tecnologico può essere definito come l’insieme delle attività svolte dai centri di ricerca finalizzate alla valutazione, alla protezione, al marketing e alla commercializzazione di tecnologie e, più in generale, alla gestione della proprietà intellettuale sviluppata nell’ambito dei progetti di ricerca e sviluppo condotti dal mondo accademico.
Le attività connesse al trasferimento tecnologico possono essere sinteticamente rappresentate come quelle iniziative rivolte alla valorizzazione, in termini economici, dei risultati della ricerca che tipicamente si sviluppano attraverso la loro protezione (brevettazione) e il loro trasferimento alle imprese.
Più in dettaglio, il processo di trasferimento tecnologico include: (a) l’identificazione di nuove tecnologie e della loro applicazione industriale; (b) la protezione delle nuove tecnologie attraverso il deposito di brevetti, modelli, disegni, marchi e copyright; (c) la definizione e l’implementazione diuna strategia efficace di marketing; (d) il trasferimento della tecnologia tramite la cessione dei diritti di sfruttamento dei trovati ad aziende esistenti o la creazione di nuove imprese basate sulla stessa.
Le modalità con cui si attua efficacemente il trasferimento tecnologico sono oggetto da alcuni anni di un ampio dibattito a livello internazionale cui fanno seguito politiche nazionali e regionali per la promozione di tali attività attraverso la costituzione nelle università e nei centri di ricerca di strutture dedicate (ILO, Industrial liason offices, ossia uffici per il trasferimento tecnologico), con l’obiettivo ultimo di favorire l’utilizzo di nuove tecnologie da parte delle imprese promuovendone il processo di innovazione e, conseguentemente, lo sviluppo e la crescita competitiva.
La valorizzazione e il trasferimento dei risultati scientifici e tecnologici sviluppati nei centri di ricerca ricopre un ruolo fondamentale e sempre più rilevante in termini di sviluppo economico, ed è considerato il motore per accompagnare la transizione da un tessuto produttivo manifatturiero alla cosiddetta società basata sulla conoscenza (knowledge-based economy).
La centralità del trasferimento tecnologico come strumento per promuovere l’innovazione delle imprese, fa sì che le strutture scientifiche si trovino a ricoprire un ruolo preminente nel processo di sviluppo economico e divengano partner efficaci nel supportare la competitività del sistema industriale; in questo senso l’università si trova ad ampliare la sua missione tradizionale (creazione e diffusione di nuova conoscenza) dovendo contribuire al miglioramento delle condizioni economiche e sociali.
Per questa ragione, al trasferimento tecnologico si associa sempre più spesso il concetto generale di trasferimento di conoscenze che si attua attraverso la trasmissione di competenze in forme esplicite e codificate (come nel caso dei brevetti) o in forme tacite (come nel caso degli spin off ) sempre con l’obiettivo ultimo di valorizzarle in termini di ritorni economici.
Ciò amplia e rende maggiormente complesso il processo di trasferimento includendo altre strategie e metodologie quali le collaborazioni di ricerca, le consulenze e la mobilità dei ricercatori. La trasformazione dei centri di ricerca da strutture deputate allo sviluppo e alla diffusione di nuova conoscenza a organizzazioni capaci di proteggere, gestire e valorizzare i risultati scientifici e tecnologici, richiede da parte delle università e degli enti pubblici di ricerca uno sforzo in termini organizzativi e procedurali al fine di mantenere la qualità delleattività di alta formazione e di ricerca, garantendo al contempo un’adeguata ricaduta in termini applicativi.
Le strutture di ricerca realizzano attività di trasferimento delle tecnologie sviluppate nei loro laboratori per favorirne lo sviluppo in termini industriali e la loro successiva diffusione e commercializzazione. In altri termini il trasferimento tecnologico allarga il ruolo delle università e dei centri di ricerca che, da una parte, attraverso le pubblicazioni scientifiche e le partecipazioni ai convegni, contribuiscono ad ampliare le frontiere della conoscenza condividendo e diffondendo i risultati della ricerca e, dall’altra, proteggono e valorizzano i diritti di proprietà intellettuale attraverso le collaborazioni con le imprese, per trasformare la conoscenza in prodotti, metodologie e servizi innovativi.
Le università e i centri di ricerca accolgono, con graduale consapevolezza, l’evoluzione del loro ruolo nell’ambito dell’economia globale e di conseguenza si aprono, anche con approcci di natura competitiva, ad azioni di collaborazione in progetti di ricerca e sviluppo (R&S) tecnologico con partner industriali.
In questo quadro, le motivazioni che spingono le università e le istituzioni scientifiche a intraprendere iniziative di trasferimento dei risultati sono svariate: (a) rendere note le invenzioni e le innovazioni generate dall’istituzione; (b) contribuire allo sviluppo economico e all’innovazione delle imprese; (c) generare utili da reinvestire in attività formative e di ricerca; (d) rispondere a precise indicazioni provenienti dalle politiche nazionali o regionali.
Ciascuna istituzione stabilisce al proprio interno le strategie e le priorità rispetto agli obiettivi sopra elencati. Tuttavia, il beneficio ultimo che deriva dalle attività di trasferimento tecnologico e ne consente di misurare l’efficacia sul lungo periodo, è rappresentato dai nuovi prodotti e processi che vengono introdotti sul mercato attraverso le attività di trasferimento e che sono in grado di migliorare la qualità della vita dei cittadini così come di sviluppare e consolidare imprese creando occupazione.
Il ruolo dei centri pubblici di ricerca si arricchisce e non si orienta su una nuova missione di tipo imprenditoriale se vengono rispettate alcune condizioni fondamentali: (a) una politica chiara del centro di ricerca che consenta di coniugare strategie complesse di diffusione e valorizzazione della scienza (attraverso, per es., la costituzione di uffici per il trasferimento tecnologico); (b) regolamenti interni snelli ed efficaci che consentano di rispondere, in tempi brevi, alle esigenze dei ricercatori di valutare, per esempio, la brevettabilità di un’invenzione e procedere alla sua eventuale protezione e successiva diffusione e divulgazione; (c) sviluppo di metodologie di valutazione dei ricercatori che tengano conto della produttività scientifica e dell’efficacia nel trasferimento tecnologico.
In questo quadro, le attività di trasferimento tecnologico possono essere condotte con successo, senza indebolire i processi che consentono di sviluppare nuova conoscenza attraverso la pubblicazione e la condivisione di informazioni, risultati e progetti.
La tutela e il trasferimento dei risultati derivanti dalle attività di ricerca attuata dalle istituzioni accademiche è una valorizzazione dell’investimento pubblico in R&S che risulta quindi tanto più efficace quanto più il sistema imprenditoriale assorbe e implementa tali innovazioni creando sviluppo economico.
I benefici per le istituzioni di ricerca, ottenuti con iniziative di trasferimento di conoscenze e tecnologie, sono altresì osservabili sul lungo periodo: è facilmente dimostrabile che quando un’azienda acquisisce brevetti e tecnologie dalle università, prosegue successivamente con attività di ricerca collaborativa che spesso conduce allo sviluppo di nuova conoscenza e di nuove soluzioni tecnologiche che vengono successivamente trasferite dai laboratori al mercato.
Di sovente si passa quindi da iniziative singole e specifiche di trasferimento tecnologico a collaborazioni più strutturate tra istituzione di ricerca e impresa (laboratori congiunti, distretti tecnologici) che consentono ai ricercatori coinvolti di partecipare in modo continuativo ai successivi sviluppi: ciò permette alle imprese di ridurre significativamente il tempo di industrializzazione della tecnologia e di superare la cosiddetta sindrome del not invented here (NIH) che sembra rallentare il processo di acquisizione di nuove soluzioni tecnologiche se non sviluppate all’interno dell’azienda stessa. In questa prospettiva, il problema del trasferimento tecnologico si arricchisce di ulteriori dimensioni e diviene non più rappresentabile come un processo lineare di passaggio di conoscenze dal detentore a un destinatario. Piuttosto, si traduce in un processo bidirezionale che richiede una relazione tra gli attori e l’efficacia del quale viene a dipendere non soltanto dall’ottimizzazione delle relazioni tra i soggetti direttamente coinvolti (centri di ricerca, imprese) ma anche dal contesto in cui il processo di trasferimento tecnologico si attua: politiche a sostegno delle collaborazioni tra ricerca e tessuto industriale, sistema di finanziamenti e agevolazioni allo sviluppo sperimentale, presenza di strutture atte a facilitare il passaggio e la condivisione di conoscenze (incubatori tecnologici, agenzie per l’innovazione, parchi scientifici e tecnologici).
I fattori critici di successo del trasferimento tecnologico e quindi il raggiungimento degli obiettivi (generali, di tipo socio-economico, e specifici, dell’università detentrice delle tecnologie) non possono quindi essere ricondotti alla soluzione delle asimmetrie di linguaggio tra ricercatori e imprenditori ma trovano una corretta collocazione nel contesto politico ed economico in cui il trasferimento si attua.
In particolare, per quanto riguarda i centri di ricerca vanno risolte le problematiche relative all’individuazione di potenziali destinatari delle tecnologie e alla capacità di comunicarne le applicazioni al fine di dare il corretto valore alla tecnologia stessa.
Con riferimento alle imprese (o agli utilizzatori finali), l’efficacia del trasferimento tecnologico, dipendente in larga misura dalla capacità di ‘assorbire’ nuove tecnologie, aumenta proporzionalmente rispetto alla qualità delle competenze tecnologiche possedute dall’azienda e dei processi di aggiornamento e formazione che l’organizzazione attua.
Non va dimenticato, inoltre, che l’efficacia della diffusione delle tecnologie passa anche attraverso la loro ‘accettazione’ sociale e la corretta consapevolezza dei benefici e dei rischi del loro sviluppo (si pensi, per es., al dibattito sugli OGM o sul nucleare): in questo senso un ruolo chiave è svolto dalla comunicazione e divulgazione scientifica.
Il trasferimento tecnologico e l’innovazione tecnologica, pur rimanendo concetti distinti, divengono due aspetti fortemente correlati e su cui convergono le politiche di sviluppo economico a livello europeo, nazionale e locale.
Le politiche europee in materia di trasferimento tecnologico e innovazione, nel corso degli ultimi anni, si sono concentrate sul perseguimento degli obiettivi definiti dalla Strategia di Lisbona e in particolare sulla necessità di creare un’area europea della conoscenza, moltiplicando gli investimenti nella ricerca e nella conoscenza per incentivare la competitività e la creazione di nuovi posti di lavoro. Secondo Janez Potočnik (Commissario europeo responsabile per la scienza e la ricerca) le strategie che l’Unione Europea e gli Stati membri dovranno adottare e implementare devono partire dalla considerazione che la conoscenza è un fattore essenziale per la competitività e che, per occupare posizioni d’avanguardia in futuro, le imprese europee devono, fin d’ora, investire nella conoscenza, grazie a un adeguato sostegno da parte dei governi.
Al contempo, è necessario far sì che gli investimenti pubblici in R&S, oltre ad aumentare in quantità, si traducano sempre più in nuove tecnologie da trasferire all’industria.
Se da un lato l’Europa mantiene alte prestazioni in termini qualitativi e quantitavi per quanto riguarda la produzione di nuova conoscenza (fig. 2), dall’altro rimane distante dagli Stati Uniti per quanto riguarda la capacità di trasferire e capitalizzare tali conoscenze in prodotti e processi industriali innovativi (tab. 1). L’incremento degli investimenti in R&S (fermi in Europa dal 1990 sia da parte dei governi sia delle industrie), pur essendo uno degli obiettivi prioritari per sviluppare nuove tecnologie e innescare processi di innovazione delle imprese, non rappresenta l’unico fattore critico di successo.
Al contrario molti studiosi fanno notare come l’investimento in ricerca si traduca in crescita e sviluppo economico solo se accompagnato da politiche di sostegno ai processi di trasferimento tecnologico. Ne sono un esempio le nanotecnologie che, come è stato per la tecnologia dell’informazione e della comunicazione (ICT, Information and communication technology) nei decenni precedenti, rappresentano una rivoluzione in termini di avanzamento delle frontiere della conoscenza e, in considerazione della molteplicità di applicazioni possibili, hanno un impatto considerevole sull’economia mondiale. L’investimento pubblico nel settore delle nanotecnologie a livello europeo, dalla metà degli anni Novanta fino a oggi, è stato elevato e superiore a quello degli Stati Uniti (fig. 4); tuttavia a fronte di 1200 brevetti depositati (a livello mondiale) da istituzioni e aziende americane nel corso del 2003, solo 400 sono i brevetti di organizzazioni europee.
Inoltre le start up tecnologiche nel settore delle nanotecnologie nate negli ultimi 25 anni negli Stati Uniti sono significativamente maggiori in numero rispetto a quelle avviate in Europa: ne consegue che l’investimento delle imprese (dati 2006) è a livello europeo un terzo del totale, mentre negli Stati Uniti rappresenta oltre il 50% del totale delle risorse.
Le politiche europee in materia di innovazione si pongono quindi come obiettivo esplicito il miglioramento del trasferimento di conoscenze e tecnologie al fine di accelerare la valorizzazione della ricerca e lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi competitivi.
L’efficacia o la debolezza del trasferimento tecnologico dipende da molteplici fattori, quali per esempio: le differenze culturali tra la comunità scientifica e imprenditoriale, la mancanza di incentivi, le barriere normative e la struttura del tessuto industriale. Ciascuno di questi aspetti agisce negativamente sulla crescita economica e conseguentemente sulla creazione di nuova occupazione.
La traduzione di nuove idee in prodotti o processi innovativi è fortemente correlata alle iniziative, promosse dalle università e dai centri di ricerca, mirate alla valorizzazione in termini industriali dei risultati della ricerca.
Attraverso studi metodologici e analisi delle pratiche internazionali sono stati individuati strumenti operativi, da attuare a livello comunitario e dei singoli Stati membri, per recuperare il ritardo in termini di capacità di trasferimento delle università e dei centri di ricerca europei. A seguito di ciò sono state avviate numerose iniziative volte a favorire le collaborazioni tra istituzioni di ricerche e imprese; in questo contesto molti Stati membri hanno avviato programmi per facilitare il trasferimento tecnologico attraverso: (a) incentivazioni agli organismi di ricerca per lo sviluppo di professionalità e competenze che consentano loro di collaborare efficacemente con le industrie e per favorire la mobilità dei ricercatori dal settore pubblico a quello privato e viceversa; (b) un sistema di regole adeguato in materia di gestione dei diritti di proprietà intellettuale risultanti dalla ricerca finanziata con fondi pubblici; (c) meccanismi di valutazione e incentivazione per il personale di ricerca che partecipa attivamente e promuove iniziative di trasferimento tecnologico.
Per quanto riguarda il primo punto, è opinione comune che l’efficacia del trasferimento tecnologico dipenda fortemente dalle competenze e dalla qualificazione del personale dedicato a questa attività presso le istituzioni scientifiche. Negli Stati Uniti fin dal 1974 è attiva l’AUTM (Association of university technology managers) per promuovere e migliorare l’attività di trasferimento tecnologico delle università e per divulgarne e diffonderne i benefici attraverso la formazione, la comunicazione e il networking.
Analogamente, è stato fondato il ProTon Europe, la rete europea delle strutture per il trasferimento tecnologico e in Italia il Network per la valorizzazione dei risultati della ricerca universitaria (NetVal). In generale, la missione primaria delle strutture per il trasferimento tecnologico operanti presso le università e i centri di ricerca pubblici è quella di definire i processi più efficienti di tutela e valorizzazione della proprietà intellettuale, per condurre i risultati della ricerca a un’applicazione industriale.
In relazione alle normative, molte delle pubblicazioni in materia di politiche europee per il trasferimento tecnologico individuano quale punto di criticità le carenze procedurali per il deposito di brevetti, che rimane un’operazione estremamente complessa e onerosa. L’obiettivo, nel breve periodo, dovrebbe essere di istituire un sistema europeo di deposito dei brevetti efficace rispetto ai costi, garantire il reciproco riconoscimento con gli altri grandi sistemi di brevettazione nel mondo e istituire un sistema paneuropeo per la risoluzione delle controversie. Inoltre, occorrerebbe risolvere questioni specifiche legate alla R&S dei centri di ricerca, come l’ introduzione in Europa del cosiddetto periodo di grazia (un periodo di tempo limitato entro il quale è possibile ottenere la tutela brevettuale anche se l’invenzione è stata oggetto di predivulgazione, in analogia con il sistema vigente negli Stati Uniti).
Infine, per quanto attiene ai meccanismi di valutazione, va evidenziato come ancora non esistano procedure standard che garantiscano un’adeguata valorizzazione (in termini, per es., di carriere all’interno degli organismi di ricerca) delle attività di trasferimento tecnologico condotte dal personale di ricerca: sviluppo di trovati inventivi (brevetti), gestione di contratti e collaborazioni con le imprese e così via.
I cosiddetti TTO (Technology transfer office) o ILO sono quelle strutture, di cui le università e gli enti di ricerca italiani hanno iniziato a dotarsi in modo più strutturato nell’ultimo decennio, espressamente dedicate alla valorizzazione dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica, finalizzate a promuovere e favorire la trasmissione delle nuove conoscenze e di competenze altamente specializzate al mondo produttivo.
Nell’ambito del processo di trasferimento tecnologico la difficoltà di perseguire con successo l’effettivo assorbimento di nuova conoscenza e di innovazione dal mondo della ricerca a quello produttivo è determinata, come già sottolineato, da numerosi fattori che influenzano il comportamento degli attori coinvolti nel processo e che si ripercuotono sulla capacità di valorizzare le potenzialità di innovazione derivanti dall’incontro tra domanda e offerta di tecnologia. Nell’ambito di questo processo si inserisce l’azione delle strutture di trasferimento tecnologico con il ruolo di ‘facilitatori’ delle interazioni tra gli attori coinvolti al fine di massimizzare le opportunità derivanti dal dialogo e dalla collaborazione tra il mondo della ricerca e quello industriale.
Nel panorama internazionale le realtà dedicate al trasferimento tecnologico presentano differenti modalità di formalizzazione: in alcuni casi sono strutturate all’interno delle università o dei centri di ricerca (si citano a titolo d’esempio il Massachusetts Institute of Technology, l’Istituto Nazionale di Ricerca Danese, il Politecnico di Milano); mentre in altri la gestione delle azioni di tutela e valorizzazione dei risultati della ricerca e di collaborazione con l’industria viene affidata a società esterne appositamente costituite dalla stessa università o centro (come il Garching Innovation del Max-Planck-Institut tedesco, o la Délégation aux Entreprises – DEA del CNRS francese).
In ogni caso, tali strutture hanno in comune obiettivi orientati allo sfruttamento dei risultai della ricerca per cui, tipicamente, raggruppano professionalità e si dotano di strumenti idonei a valorizzare i risultati del lavoro scientifico di interesse industriale, intervenendo sull’intero processo: dall’individuazione di un bisogno che attiva determinati percorsi di ricerca scientifica, allo sviluppo di progetti di natura applicativa fino al raggiungimento di risultati innovativi che, opportunamente protetti, possono essere trasferiti in applicazioni industriali.
Il ruolo di intermediazione proprio delle strutture di trasferimento tecnologico tra gli interessi di natura scientifica, quelli di natura imprenditoriale e il sistema istituzionale di riferimento, presenta molteplici vantaggi che si traducono nell’attribuire valore ai risultati della ricerca (protezione brevettuale, ricadute economiche sottoforma di royalties, consolidamento delle collaborazioni con l’esterno ecc.) nonché agli interessi del mondo produttivo e istituzionale (incremento della competitività, progresso tecnologico ecc.).
Le azioni messe in atto dalle strutture per il trasferimento tecnologico, intervenendo in ambiti caratterizzati da visioni diverse, quelle del mondo della ricerca e dell’industria, richiedono un’articolata previsione di strumenti e soluzioni da applicare, in modo integrato, per la formalizzazione e la tutela di un’efficace interazione tra l’offerta e la domanda di innovazione tecnologica.
Le modalità di azione del processo di trasferimento tecnologico possono essere distinte in due categorie: le forme ‘codificate’ e le forme ‘tacite’. Le prime comprendono gli strumenti legati alla tutela e valorizzazione della proprietà intellettuale, quindi alla brevettazione dei risultati della ricerca, al fine di incrementarne le potenzialità di sfruttamento. Per la gestione e la valorizzazione della proprietà intellettuale occorrono specifiche competenze in materia, in particolare relative alle normative sul diritto industriale, nonché all’analisi del contenuto delle invenzioni e al supporto nella fase di scrittura del testo delle domande di brevetto.
Rientrano tra le forme codificate di trasferimento tecnologico anche le attività di licensing legate alla commercializzazione dei risultati della ricerca. Queste attività comprendono la definizione delle soluzioni e degli strumenti contrattuali più idonei a garantire alla struttura di ricerca un adeguato ritorno in termini sia economici sia di visibilità.
Tali attività sono indispensabili poiché i prodotti e le soluzioni tecnologiche messe a punto dalle strutture di ricerca scientifica si rivolgono solitamente a mercati di nicchia, caratterizzati da un’alta specializzazione e posizione preminente dei concorrenti, e nei quali è spesso critica la definizione del prezzo di mercato.
Le forme tacite di trasferimento tecnologico, invece, riguardano le attività di marketing e di promozione dei risultati della ricerca, di informazione e divulgazione delle competenze scientifiche e dei relativi settori di applicazione industriale, al fine di attrarre con maggiore efficacia potenziali interessi del mondo produttivo e di garantire visibilità alla struttura. Rientrano in questa categoria anche le azioni di monitoraggio dello stato di avanzamento del risultato della ricerca, quali la raccolta dell’eventuale necessità di intervento per l’ingegnerizzazione e lo sviluppo avanzato, sulla base delle esigenze di mercato, che viene tradotta nell’attivazione di opportuni canali di finanziamento nazionali o internazionali a sostegno delle fasi di sviluppo precompetitivo.
Un impatto particolarmente significativo in termini di trasferimento tecnologico, nell’ambito delle sue forme tacite di azione, è costituito dal supporto all’avvio dei cosiddetti spin off, ovvero realtà imprenditoriali high-tech il cui core business si fonda sulla valorizzazione commerciale di risultati della ricerca scientifica e tecnologica. Alle imprese spin off è riconosciuta una funzione fondamentale in tema di trasferimento tecnologico, in quanto consentono di inserire direttamente le realtà di ricerca nel tessuto produttivo e possiedono, con maggiore facilità rispetto alle imprese tradizionali, la capacità di assorbire le innovazioni messe a punto nei laboratori di ricerca.
Appare ormai superata la teoria secondo la quale il problema del trasferimento tecnologico può essere ricondotto a un’asimmetria di linguaggi e, conseguentemente, a una difficoltà di comunicazione tra il sistema della ricerca e delle imprese.
L’ipotesi di fondo è che il trasferimento tecnologico richieda una visione complessiva dei vari canali con i quali il trasferimento tecnologico si attua e che l’università debba svolgere un nuovo ruolo per sviluppare una cultura del mercato, mettendo in atto politiche e strumenti operativi che le consentano di porsi al centro del processo e di implementare tutte le forme possibili di valorizzazione dei propri risultati.
Va infatti tenuto conto che il sistema della ricerca e dell’innovazione ha subito profondi mutamenti di natura organizzativa, sociologica e manageriale nel corso dell’ultimo secolo, in particolare nei paesi più industrializzati.
Le istituzioni che svolgono attività di ricerca stanno progressivamente adottando, non sempre consapevolmente, modelli organizzativi e ruoli sociali tipici del sistema imprenditoriale e finanziario. Dall’altra parte, il sistema industriale ha compreso l’importanza della connessione con le università, trovandosi nella necessità di far leva sull’innovazione come strumento per recuperare e consolidare competitività.
Di fatto si realizza un sistema in cui accademia e mondo imprenditoriale si trovano a convergere e necessitano del sostegno di politiche mirate a sviluppare forme di collaborazione efficace. Le modalità e i meccanismi con cui questi tre sistemi (governo, impresa e università) interagiscono, per innescare dinamiche di sviluppo basate sull’innovazione e sul progresso tecnico, sono stati ampiamente descritti e modellizzati in letteratura da due studiosi, Henry Etzkowitz e Loet Leyesdorff, attraverso la metafora della ‘tripla elica’.
Nel modello a tripla elica, infatti, l’università (e il sistema della ricerca pubblica in generale) riveste un’importanza particolare e diviene la fonte principale, attraverso i processi di trasferimento tecnologico, di diffusione e valorizzazione della conoscenza, intesa come l’insieme di concetti, informazioni, dati, tecnologie, soluzione a problemi complessi, modelli.
Per questa ragione le modalità messe in atto dalle organizzazioni di ricerca per promuovere il trasferimento tecnologico devono essere necessariamente diversificate e sufficientemente flessibili per rispondere alle esigenze delle imprese, siano essi grandi gruppi industriali o piccole imprese, richiedendo così uno sforzo ampio, articolato e rivolto in più direzioni anche molto diverse tra loro. In questo senso, risultano più proficue le iniziative che associano alle forme codificate di trasferimento (brevettazione dei risultati e loro sfruttamento), quelle più tacite (per es., attraverso la creazione di imprese spin off e collaborazioni di ricerca), integrandole e coordinandole tra loro.
La tutela della proprietà intellettuale è elemento indispensabile per un’efficace valorizzazione dei risultati della ricerca condotta nelle università e nei centri di ricerca. È considerata come invenzione una soluzione nuova e originale di un sentito problema tecnico in campo industriale.
La normativa distingue il concetto di invenzione dalla scoperta, definendo quest’ultima come il risultato di una ricerca diretta a determinare le leggi e i principî che governano la natura e in quanto tali non brevettabile (come semplice comprensione di fenomeni già esistenti). L’invenzione, al contrario, riguarda la sfera tecnologica, laddove la scoperta riguarda esclusivamente la comprensione della scienza.
Le invenzioni che possono costituire oggetto di brevetto sono, per esempio, un metodo o un processo di lavorazione industriale, una macchina, uno strumento, un utensile o un dispositivo meccanico, un prodotto o un risultato industriale; anche l’ applicazione tecnica di un principio scientifico può essere brevettata, purché essa sia nuova, inventiva e dia origine ad applicazioni industriali.
Dal punto di vista giuridico il brevetto è un titolo mediante il quale viene conferito al titolare un monopolio temporaneo di sfruttamento commerciale del trovato, consistente nel diritto esclusivo di realizzarlo, di disporne o di farne oggetto di commercio nonché di vietare a terzi di produrlo, usarlo, metterlo in commercio, venderlo o importarlo.
Affinché un’invenzione sia suscettibile di valida brevettazione, essa deve soddisfare alcuni requisiti fondamentali: (a) novità: il trovato non deve essere già compreso nello stato della tecnica (per stato della tecnica si intende tutto ciò che è stato reso accessibile al pubblico, in Italia o all’estero, prima della data del deposito della domanda di brevetto mediante descrizione scritta od orale); (b) originalità (altezza inventiva): il trovato non deve risultare ovvio agli occhi di un tecnico esperto del settore; (c) applicabilità industriale: il trovato deve poter essere oggetto di fabbricazione e utilizzo in campo industriale; (d) liceità: il trovato non deve essere contrario all’ordine pubblico e al buon costume; (e) sufficienza di descrizione: gli insegnamenti contenuti nel brevetto devono consentire a un tecnico esperto del settore la sua realizzazione.
La brevettazione dei risultati rappresenta quindi la principale forma di tutela della proprietà intellettuale per le università e i centri di ricerca; tramite il brevetto si proteggono i risultati che possono essere trasferiti alle imprese attraverso accordi di cessione o di concessione di licenza d’uso (in forma esclusiva o non esclusiva).
L’attività brevettuale delle università non è un fenomeno recente. Negli Stati Uniti le istituzioni accademiche svolgono intensamente tale attività da alcuni decenni, anche se solo alla fine degli anni Ottanta si è registrato un significativo aumento del numero di brevetti depositati da laboratori di ricerca pubblici. Nel 1965 solo 30 università statunitensi avevano ottenuto almeno un brevetto, mentre nel 1991 sono diventate 150 e più di 400 nel 1997.
Questo aumento di interesse delle università statunitensi nei confronti della brevettazione è stato indotto anche dai cambiamenti normativi introdotti nei primi anni Ottanta dal Bayh-Dole Act, che da allora ha concesso alle università e agli enti di ricerca i diritti di proprietà delle invenzioni scaturite da attività di ricerca finanziate con fondi pubblici, nonché di incassare i proventi derivanti dalle concessioni in licenza a terzi di tali diritti. A seguito dell’introduzione del Bayh-Dole Act le università americane hanno modificato la loro struttura organizzativa, creando uffici per il trasferimento tecnologico e potenziando quelli già esistenti, con l’obiettivo di rendere più efficace il processo di valutazione delle tecnologie e di concessione di licenze sulle tecnologie brevettate.
Negli ultimi anni, la spinta verso l’adozione di forme codificate di trasferimento ha richiesto anche alle università e agli enti pubblici di ricerca europei uno sforzo significativo per il superamento di due problematiche principali: (a) incentivare adeguatamente i ricercatori a brevettare i trovati; (b) attuare politiche attive di valorizzazione del patrimonio brevettuale esistente. Anche in questo caso le istituzioni pubbliche di ricerca, in Italia come nel resto dell’Europa, si trovano a dover affrontare nuove sfide per consolidare il ruolo della ricerca nel processo di innovazione delle imprese dotandosi di politiche, strumenti e competenze per la tutela della proprietà intellettuale, vista come un passaggio obbligato per il trasferimento del sapere e per la valorizzazione dei risultati della ricerca, sia attraverso il licensing dei brevetti sia attraverso le già citate forme tacite di trasferimento, di cui gli spin off accademici sono l’esempio principale.
Gli spin off accademici sono imprese che valorizzano e sfruttano commercialmente i risultati della ricerca scientifica portando sul mercato tecnologie, nuovi processi, servizi innovativi e così via. L’elemento tipico che contraddistingue e caratterizza la nascita di queste imprese, rispetto alle modalità di avvio di realtà imprenditoriali tradizionali, risiede nel fatto che spesso gli spin off utilizzano il vantaggio commerciale offerto dalla possibilità di utilizzare i diritti sulla proprietà intellettuale e/o, più in generale, il know-how sviluppati all’interno della realtà di ricerca da cui essi stessi derivano.
Il core business degli spin off si basa, dunque, sulla valorizzazione diretta dei risultati della ricerca (siano essi brevettati o meno). Come già sottolineato, gli spin off sono classificati nell’ambito delle forme tacite di trasferimento tecnologico di cui rappresentano il canale più efficace e diretto di attuazione, delineando una situazione di coincidenza tra la visione scientifica e quella imprenditoriale, in cui la trasmissione delle conoscenze dall’università o dall’ente di ricerca alle imprese è praticamente automatica.
Le politiche volte alla promozione di imprese spin off presentano importanti punti di forza, in particolare rispetto ai seguenti temi: (a) annullamento delle criticità legate all’asimmetria informativa: la valorizzazione diretta dei risultati della ricerca scientifica e tecnologica attraverso lo strumento dello spin off consente di superare le problematiche di interazione, che tipicamente si verificano tra le strutture di ricerca e le imprese, nel momento in cui le conoscenze prodotte dalle prime devono essere trasferite alle seconde. Lo scienziato/ricercatore, infatti, è al tempo stesso l’inventore e l’utilizzatore di queste conoscenze e non trova dunque ostacoli nell’assorbire interamente la componente tacita del trasferimento. Inoltre l’avvio di uno spin off consente di far coincidere le motivazioni del ricercatore e quelle dell’imprenditore rispetto all’uso più opportuno della tecnologia e alle sue potenzialità di impiego industriale. Si supera perciò anche un ulteriore vincolo all’efficacia del trasferimento, ossia quello della motivazione allo sfruttamento commerciale del risultato; (b) vantaggi economici: la promozione di imprese spin off partecipate da università o da enti pubblici di ricerca garantisce a questi ultimi un flusso aggiuntivo di risorse finanziarie paragonabile a quello derivante da attività di concessione in licenza di brevetti e, in generale, di sfruttamento della proprietà intellettuale; (c) impatto economico e sociale: l’avvio di imprese spin off può generare benefici diretti al tessuto imprenditoriale locale e non solo. Intatti, favorisce e potenzia il processo di innovazione, creando nuove opportunità di inserimento per i giovani laureati nel mondo del lavoro e consolidando il ruolo sociale proprio delle università e degli enti pubblici di ricerca.
A questi vantaggi si contrappongono alcune criticità, insite in questa tipologia di azioni rivolte allo sfruttamento industriale dei risultati della ricerca, che coinvolgono direttamente il personale ricercatore degli enti e delle università. Tali criticità possono essere identificate, a titolo esemplificativo, con gli aspetti legati al conflitto di interessi, che può scaturire dalla promiscuità, soprattutto in fase di start up, tra gli spin off e gli ambienti scientifici di provenienza, e con le carenze in termini di preparazione alla gestione di impresa dei ricercatori. Per questa ragione l’avvio e il consolidamento di imprese spin off passa attraverso politiche chiare per la loro promozione che prevedano adeguati sistemi per la valutazione delle idee imprenditoriali, articolati programmi per l’orientamento delle scelte di mercato e, in generale, per il supporto economico/aziendale in tema di business.
La gestione e la soluzione di tali criticità può avvenire attraverso la definizione di regolamenti e programmi a favore delle imprese spin off, con l’accortezza che questi meccanismi non si traducano in fonti di irrigidimento dei processi di creazione d’impresa, bensì in sistemi per il giusto connubio tra la tutela della regolarità e la garanzia di flessibilità nella traduzione del trovato tecnologico in prodotto o servizio per il mercato.
Le esperienze italiane e straniere mostrano chiaramente che spesso risulta più efficiente per le università e gli enti di ricerca cercare di superare le difficoltà legate all’avvio di spin off piuttosto che vincolare la propria azione di trasferimento tecnologico solo alle opportunità derivanti dalla brevettazione dei risultati e dal successivo sfruttamento commerciale delle tecnologie brevettate.
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