tormentare
In senso proprio significa " torturare ", " straziare ", più spesso in punizione di una colpa. La connessione fra colpa e tormento è esplicita in If XXVIII 47, dove Virgilio risponde a Maometto, a proposito di D., che né morte 'l giunse ancor, né colpa 'l mena / ... a tormentarlo (cfr. anche, in questo senso, XI 38). Mentre attraversa l'Inferno e anche il Purgatorio, a ogni nuova zona di esso, punendosi una colpa diversa o un tipo diverso di una colpa fondamentalmente identica, il poeta potrebbe costantemente ripetere: novi tormenti e novi tormentati / mi veggio intorno (If VI 4; si noti il participio sostantivato).
Ai tormenti dell'Inferno allude anche l'infinito sostantivato di Rime LXVIII 36: se l'anima non ottiene da Dio il perdono del suo peccar... / partirassi col tormentar ch'è degna, " se ne anderà (all'inferno) col tormento di cui è meritevole " (Barbi-Maggini).
Si può essere sottoposti a tortura anche per ragioni diverse che un peccato religiosamente determinato: in Fiore CCVI 1, Schifo, Paura e Vergogna assalgono e percuotono tanto l'Amante, che egli diventa fioco dal dolore, e ciò perché ha tentato l'assalto al castello della donna: Come costor m'andavan tormentando, / en l'oste al Die d'amor sì fu sentita / e sì cognobbor ch'i' avea infralita / la boce.
In senso morale, il verbo è usato a esprimere la sofferenza di Farinata, che l'esilio dei suoi tormenta più che il letto infuocato in cui giace (If X 78); oppure si riferisce a una pena d'amore (Rime dubbie V 44). in forma riflessiva, in Cv IV XII 6: vi si dice che i ricchi non solamente per desiderio d'accrescere quelle cose che hanno si tormentano, ma eziandio tormento hanno ne la paura di perdere quelle. Con accezione più vasta, a significare un travaglio materiale e morale insieme, in Fiore XLIV 5 mai Fortuna nol [Socrate] gì tormentando, e XXXV 12.