FALCOIA, Tommaso
Nato a Napoli nel 1663 da una famiglia di umili origini, la vita del F. segue fedelmente un modello biografico comune a molti religiosi del sec. XVII. Entrato giovanissimo nella Congregazione dei pii operai, egli impegnò tutta la sua esistenza nell'accrescimento e nella diffusione della compagnia religiosa. Talune scelte, diversi incontri - alcuni occasionali - finirono col coinvolgerlo in momenti particolarmente significativi della storia religiosa di fine Seicento. La lettura del suo epistolario, pubblicato nel 1963, è forse il modo più autentico per cogliere il ruolo peculiare avuto da questo personaggio nel mondo religioso napoletano.
Formatosi all'interno del convento dei novizi dei pii operai di S. Maria ai Monti, l'iniziazione religiosa del F. fu affidata a Ludovico Sabbatini e ad Antonio de Torres, figure preminenti nella Congregazione e tra le più attive voci della cultura teologica napoletana.
Nel 1688 il F. e Ludovico Sabbatini insieme con Domenico Loth vennero inviati a Roma per fondarvi nella chiesa di S. Maria della Febbre, fuori porta Angelica, il primo convento dei pii operai.
Il progetto era però destinato a fallire. Il 20 nov. 1687 Innocenzo XI aveva dichiarato eretico Michele Molinos con la bolla Caelestis Pastor. Nel marzo del 1688 erano stati proibiti i libri del domenicano Tommaso Menghini e del cardinale Pier Matteo Petrucci, uno dei maggiori propagatori del quietismo in Italia. Nonostante le garanzie ricevute all'interno della Curia, i religiosi furono costretti a lasciare Roma. La propagazione delle tesi del Molinos era stata abbastanza rapida non solo a Napoli, ma in tutto il Regno. Il suo arresto aveva così provocato una grave crisi all'interno di molte comunità religiose. Un clima di persecuzione, favorito da una campagna dottrinale, pastorale e anche diffamatoria portata avanti soprattutto dai teatini, si diffuse all'interno dei conventi. Dalla fine del 1687 e per due anni si susseguirono accuse e testimonianze a carico, si esibirono prove, si inviarono memoriali che avvaloravano gli indizi di eresia e che portarono alla luce violenti contrasti tra rigorismo e lassismo. La polemica coinvolse anche, con tendenza alla progressiva accentuazione, il mondo ecclesiastico e le sue più alte gerarchie.
L'accusa di quietismo raggiunse in breve la Congregazione dei pii operai con le accuse rivolte contro il padre de Torres, che fu dapprima deferito all'Inquisizione e in seguito sospeso dalle funzioni sacre. La scelta del F., chiamato già in questa occasione ad assumere una posizione decisionale all'interno della Congregazione, fu di mantenere una cauta distanza dalle posizioni più estreme dei teologi coinvolti nelle accuse, cercando invece, per quanto gli fosse possibile, di mantenere l'attività dei pii operai nei confini dell'ortodossia richiesta da Roma. Così, dopo aver perseguito con tenacia l'autorizzazione pontificia, egli riuscì ad ottenere nel 1689 il permesso di fondare a Roma, nella chiesa di S. Balbina, il primo convento della Congregazione. E a Roma, sino al 1709, anno della nomina a promotore generale dei pii operai, il F. trascorse quasi vent'anni della sua vita. Nelle lettere da lui scritte in questo periodo si sottolinea un impegno pastorale rivolto all'affermazione della Congregazione in una realtà sociale ancora sospettosa per le accuse di eresia che avevano coinvolto i fondatori. Si capisce così l'attenzione continua rivolta a fugare questi sospetti, mostrando al contrario la carica evangelica e caritatevole di cui i pii operai dovevano essere fedeli interpreti. È vero, egli scriveva, che accettare il nuovo incarico comporterà "grandissima carità e carichi dell'anima", ma probabilmente il lavoro intrapreso permetterà alla Congregazione di "avvicinarsi ancora di più alla moltitudine di fedeli bisognosi di Iddio". Di una certa importanza appare in questi anni l'iniziativa di convertire gli ebrei del ghetto romano, la zona della città in cui i pii operai erano dediti maggiormente alla cura delle anime. I religiosi non si sarebbero limitati a predicate la verità del Nuovo Testamento, ma avrebbero cercato di far nascere una vera e propria scuola nella quale si sarebbero discussi gli errori degli ebrei.
Nel 1709 il F. fece ritorno a Napoli, chiamato ad assumere il compito di ministro provinciale dei pii operai. Due anni dopo, nel 1711, divenne rettore del collegio di S. Maria ai Monti. Nel 1713, pochi giorni dopo la morte di Antonio de Torres, il F. diviene preposito generale della Congregazione. La morte del vecchio amico e per tanti anni suo confessore, segna certamente una data importante nella vita del religioso. Da ora in poi egli non avrebbe avuto più un interlocutore attento cui sottoporre i problemi teologici e dottrinari con cui i nuovi incarichi all'interno della Congregazione lo chiamavano a confrontarsi. Le decisioni da lui prese, tutte ispirate a un ideale di praticità e concretezza, danno il valore dell'incidenza avuta dal clima della Controriforma sull'uomo di chiesa e più in generale sul mondo religioso del suo tempo. Sempre dalla lettura del suo epistolario possiamo stabilire alcuni rilievi ed orientamenti da lui adottati all'interno della Congregazione dopo la condanna di Antonio de Torres. Accantonate temporaneamente le discussioni e le lacerazioni di carattere teologico-dogmatico, le sue scelte furono indirizzate prevalentemente verso due finalità: da una parte nel tentativo di stabilire le nuove norme per la Congregazione, dall'altra a sostenere lo sviluppo delle missioni religiose. Questi aspetti della religiosità del F. risaltano ancora di più nel compito di direzione spirituale da lui assunto nei confronti di Matteo Ripa, di Maria Celeste Crostarosa e di Alfonso de' Liguori.
Se nel corso del loro lungo rapporto egli appoggiò le iniziative missionarie di Matteo Ripa, il religioso impegnato nell'evangelizzazione della Cina, e lo sostenne nella fondazione a Napoli del collegio dei Cinesi, è anche vero che tentò in ogni modo di impedire che la nuova istituzione si allontanasse dalle regole di vita delle altre comunità religiose fondate dai pii operai. La presenza nel F. di una forte sensibilità missionaria non si distaccava dalla necessità di concretezza nella guida della Congregazione. Nel 1719, trasferitosi a Scala nel convento del Redentore, ebbe modo di manifestare ancora una volta le scelte di obbedienza assoluta e di intransigenza verso quelle espressioni di religiosità che egli riteneva dannose alla sopravvivenza della sua compagnia. Per undici anni, dal 1722 al 1733, egli divenne infatti direttore spirituale di Maria Celeste Crostarosa. Nello stesso periodo in cui nella giovane donna si portò a compimento, l'esperienza mistica, il F. si vide costretto ad allontanarla dalle altre monache, rimproverandole di non rispettare le norme interne alla vita conventuale e adombrando accuse contro le prime visioni di santità della religiosa.
È difficile valutare il significato di questo gesto di intransigenza. Probabilmente il superiore dei pii operai temeva una nuova ondata di accuse contro la Congregazione. Dimostrando di obbedire alle norme interne alla comunità del Redentore, che egli stesso aveva collaborato a definire, rifiutava i pericoli di deviazione religiosa e morale a cui i suoi più vicini amici erano andati incontro. Le stesse preoccupazioni avvertite nei confronti di Maria Celeste Crostarosa affiorarono infatti nel rapporto tra il F. e Alfonso de' Liguori. Si trattò ancora una volta di una direzione spirituale rivolta all'accentuazione di un'esigenza di dedizione pastorale, di vita interiore e di rispetto per quelle regole che impedivano ogni spiraglio riformatore. Il F. non dimenticò mai di suggerire ad Alfonso de' Liguori il bisogno di attenersi a quelle scelte di vita cristiana stabilite dalle norme tridentine. Ancora una volta il religioso si mostrava perfettamente coerente con lo spirito controriformistico, incapace nello stesso tempo di cogliere quei fermenti di novità spirituale che gli interlocutori ponevano alla sua attenzione.
Il F. morì a Napoli nel 1743.
La corrispondenza del F. è stata pubblicata a cura di O. Gregorio: T. Falcoia, Lettere a s. Alfonso de Liguori, Ripa, Sportelli, Crostarosa, Roma 1963.
Fonti e Bibl.: Arch. segr. Vaticano, Riti, Neapolit. Antonii de Torres, proc. inf. 1900; Arch. di Stato di Napoli, Monasteri soppressi, S. Nicola alla Carità, vol. 4231: si veda in particolare il fascicolo Usi e Decreti rispettivamente da osservarsi da tutta la Congregazione de' Pii Operai, composti, dichiarati et ordinati dal Capitolo generale d'essa Congregatione; O. Gregorio, S. Alfonso ha stampato o almeno scritto una biografia di mons. T. F., in Spicilegium Congregationis Ss.mi Redemptoris, I (1933), pp. 223-229; R. Telleria, Rev.mus Thomas F. episcopus Stabiensis et s. Alfonsi director, nobis fit obvius in quibusdam tabellionum instrumentis, ibid., XII (1964), pp. 373-388; M. Petrocchi, La spiritualità del Settecento italiano, in Dallo Scaramelli a s. Paolo della Croce, Roma 1964, pp. 27, 78; R. De Maio, Società e vita religiosa a Napoli nell'età moderna (1656-1799), Napoli 1971, pp. 161-178; B. Pellegrino, Pietà e devozione spirituale nell'epistolario di T.F., in Riv. di storia della Chiesa in Italia, XXX (1976), pp. 451-488; M. Rosa, Religione e società nel Mezzogiorno tra Cinque e Seicento, Bari 1976, pp. 64-96.