DONZELLI, Tommaso
Nacque a Napoli il 2 febbr. 1654, primogenito di Giuseppe, medico e scienziato. Iniziò i suoi studi nella casa paterna e come primi maestri ebbe S. Gala, G. Liccia e, solo per alcuni mesi, G. Cerio. Ancora ragazzo fu allievo di L. Porzio e continuò quindi a studiare legge con B. Cusano; altri suoi insegnanti furono G. Pulcarelli, G. Capone, F. Verde e D. De Rubeis. Si laureò in utroque iure a Napoli all'inizio del 1674. Già sotto la guida del padre, però, il D. aveva iniziato a studiare (de Chimiche operazioni, e le sperienze" (Gimma, Elogj accademici, p. 127), e anche dopo la morte del genitore (1670) e il conseguimento della laurea continuò a coltivare e approfondire i suoi interessi per la ricerca scientifica. Studiò medicina con S. Bartoli e con A. Manzoni, l'anatomista che il Bartoli aveva voluto far venire da Padova, e, morto il Bartoli, proseguì gli studi con L. Di Capua; si laureò in medicina a Salerno il 27 nov. 1677. In quegli stessi anni il D. si dedicò anche allo studio del greco presso l'università di Napoli, avendo per maestro G. Messeri.
Medico, chimico, scienziato e filosofo, il D. fu rappresentante di prìmo piano della cultura meridionale tra la fine del sec. XVII e l'inizio del XVIII, in un'epoca ricca di stimoli e impulsi innovatori, partecipando a una vita intellettuale pervasa dai più vivi fermenti. Nel 1677 pubblicò nuovamente, a Roma, una delle più importanti opere del padre, il Teatro farmaceutico dogmatico e spagirico, aggiungendovi molte sue nuove ricette e osservazioni su piante medicinali, su regole, tecniche e procedimenti medici, botanici e farmacologici. Il Teatro, con le aggiunte del D., conobbe ancora moltissime edizioni, contandosene in tutto ventidue (a Roma, Napoli e Venezia), fino al 1763.
Fra coloro che più contribuirono alla formazione culturale e professionale del D. e che indirizzarono i suoi interessi filosofici e scientifici troviamo i nomi di alcuni dei principali esponenti di quella parte della cultura meridionale più attivamente impegnata nei programmi di svecchiamento e di rinnovamento: il Porzio, il Bartoli, il Di Capua; inoltre il D. fu in rapporto con F. D'Andrea e T. Cornelio, frequentò i circoli culturali che gravitavano intorno alla casa e alla biblioteca di G. Valletta, conobbe il giovane Vico. Da non dimenticare è, comunque, il ruolo svolto dal padre nell'indirizzarlo a una pratica e a una teoria scientifica impostate sullo sperimentalismo e ispirate alla lezione galileiana. Il D. in medicina fu infatti schierato con i fautori delle nuove tendenze, in polemica con le vecchie scuole e, in particolare, con la tradizione galenica e aristotelica. Fu principalmente medico ed esercitò intensamente e con successo la sua professione per tutta la vita, ma, sulle orme del padre e alla luce del suo insegnamento, si impegnò nello studio della chimica e della botanica, indagò sulle proprietà chimiche e farmaceutiche di piante ed elementi, sempre seguendo un rigoroso metodo sperimentale. Tale ispirazione sperimentalista, travalicando ampiamente i limiti di un singolo campo, permeava profondamente tutte le nuove correnti di pensiero napoletane. Il D. si inserì in pieno in tali correnti che, partendo dall'acquisizione e dalla meditazione delle lezioni di Galileo e di Bacone, andavano aprendosi agli influssi più vivi della cultura europea, accoglievano le idee di Gassendi e si interessavano a Cartesio prima e a Locke poi. I suoi interessi culturali e filosofici furono dunque vari e, in una certa misura, eclettici; la sua attività intellettuale e scientifica fiorì negli anni in cui i circoli intellettuali napoletani erano impegnati a discutere dei più svariati temi filosofici sempre con l'attenzione protesa alle novità che potevano provenire dal più vasto ambito europeo: agli stimoli del pensiero cartesiano, di Malebranche, di Spinoza, di Th. Burnet.
Uno dei più importanti centri culturali che diedero impulso al rinnovamento del pensiero meridionale fu l'Accademia degli Investiganti, che si riunì a Napoli, a più riprese, nella seconda metà del sec. XVII. A questa accademia il D. aderì durante l'ultimo periodo in cui essa fu attiva (1683-1697) e fu tra i suoi principali animatori. Cessate le attività degli Investiganti poco dopo la morte del Di Capua (1695), il D. aderì all'Accademia degli Spensierati o Incuriosi di Rossano, che degli Investiganti ereditava principi e programmi. Tipicamente "investiganti", nell'ispirazione, nelle intime caratteristiche e nei limiti, furono le concezioni e l'impostazione culturale del D., incentrate costantemente sulla ricerca di nuovi metodi di indagine e di pensiero, sulla rivendicazione dello sperimentalismo e dell'induttivismo, sulla scelta dell'osservazione scientifica come unica fonte di ogni speculazione e sulla diffidenza pertanto, per ogni metafisica.
Notevole influenza sul D. ebbe in particolare il Di Capua, che gli fu maestro non solo nell'arte medica, ma che influenzò a fondo tutta la sua formazione: la necessità dell'apprendimento del greco per studiare alla fonte i classici della medicina ellenica, l'importanza dello studio pubblico dei semplici, erano idee proprie del Di Capua, e al suo insegnamento vanno attribuiti in gran parte il probabilismo e l'adesione al gassendismo da parte del Donzelli.
Nel 1682 i governatori della S. Casa dell'Annunziata decisero la creazione di un "orto dei semplici" presso l'ospedale della Montagnola, e affidarono al D. il compito di soprintendere alla sua istituzione. Il D., convinto sostenitore dello studio e dell'uso delle piante medicinali, era stato uno dei più fervidi fautori della sua creazione e vi si dedicò con entusiasmo; volle anche che alla coltivazione e allo studio delle piante fosse abbinato l'insegnamento pubblico sulle loro virtù e sul loro uso medico e farmaceutico. Ben presto il nuovo orto giunse a possedere mille specie coltivate: il D. curò personalmente il suo arricchimento, prendendo in prestito gli esemplari da amici e colleghi, dagli altri orti botanici privati della città, e procurandoseli direttamente con appositi viaggi di studio. Fu lui stesso, inoltre, a impartire le prime lezioni pubbliche nella scuola annessa. I numerosi impegni professionali e i problemi di salute lo obbligarono però ad abbandonare quasi subito queste attività. Esse tuttavia ebbero il merito di contribuire alla diffusione di metodi e conoscenze scientifiche in cerchie sempre più larghe.
Nel 1689 il D. curò la seconda edizione del Parere dei Di Capua sopra l'incertezza della medicina. L'iniziativa era stata sollecitata anche dalla regina Cristina di Svezia; rispetto alla prima edizione il Di Capua aggiungeva ora tre nuovi ragionamenti sull'"incertezza dei medicamenti" preceduti da una Prefazione del Donzelli.
In essa egli replicò a varie critiche mosse al Di Capua e ne chiarì il pensiero su vari punti, ricordando "la gran dimestichezza, e singulare amistà" che a lui lo univa. Molto importante è la difesa che qui espone della impostazione probabilista, che conduce a reputare "incerta" la medicina. Tale scelta, spiega il D., non deve implicare affatto una totale rinuncia a tutta la scienza medica, ma piuttosto deve condurre al rifiuto critico delle idee di coloro che "han tenuto per fermo che certissima fosse la medicina" così come l'aveva tramandata la tradizione latina, greca e araba, "e che ogni altra maniera di medicare diversa da quella, sia da riputare totalmente fallace"; questa incertezza, dunque, deve insegnare che a nessuna scuola medica occorre prestare "intera credenza", ma, al contrario, richiede ai medici un "grande accorgimento, e di tutte le scienzie, ed arti, e linguaggj non leggiera contezza". Il probabilismo e lo scetticismo professati dal D. non si risolvono dunque in un arido e sterile pirronismo ma, al contrario, diventano armi efficaci nella polemica contro la vecchia cultura e sostengono un impegno innovatore e sperimentalista, fautore dello studio della natura e dei suoi linguaggi senza alcuna remora e pregiudizio. Interessante, in questa sua Prefazione, anche la scelta linguistica di difendere l'uso del "Fiorentin volgare".Il D. fu tra coloro che parteciparono alla formazione e alle riunioni dell'accademia di Medinacoeli; compare infatti tra gli invitati a palazzo reale da N. Caravita il 4 nov. 1696, per festeggiare, con vari componimenti, la guarigione del re Carlo II, e partecipò ugualmente alla riunione successiva tenuta in occasione della morte di Caterina d'Aragona. In quelle occasioni recitò alcune sue composizioni poetiche, pubblicate poi nel 1697, insieme con i componimenti degli altri partecipanti (Componimenti per la ricuperata salute di Carlo II re di Spagna..., Napoli 1697, pp. 222 ss., e Pompe funerali per Caterina d'Aragona, ibid., pp. 247-250). Quelle due riunioni suggerirono al Caravita e a F. Pappacoda di creare una struttura più stabile, che si realizzò nell'Accademia Reale, sotto il protettorato del viceré Medinacoeli. Il D. fu tra i primi convocati dal viceré nel marzo 1698, insieme con i rappresentanti più noti della cultura napoletana. Nell'accademia, accanto a O. Santoro, N. Galizia, L. Porzio, G. Lucina, A. Monforte, fu uno dei rappresentanti del vecchio spirito investigante; per un altro verso, con il suo gassendismo, fu vicino a N. Sersale e a G. Valletta. Nel 1699, nell'ambito di un ciclo di lezioni organizzato dall'accademia, il D. tenne due lezioni che trattavano Della figura e misura della Terra, pubblicate poi a Venezia nel 1743; tre lezioni sulla Vita di Caio Giulio Cesare e tre lezioni sulla Vita di Lucio Antonino Commodo (queste ultime rimaste inedite, presso la Biblioteca nazionale di Napoli: Delle lezioni accademiche de diversi valentuomini de' nostri tempi recitate avanti l'ecc.o sig. duca di Medinacoeli, ms. II. XII. B. 72, pp. 1-44, 441-474).
Nelle lezioni di storia, accanto a un certo repubblicanesimo, mutuato essenzialmente dalla tradizione classicheggiante, appare il tema progressista della "virtù" intesa come prerogativa sostanzialmente svincolata dalle qualità della nobiltà e del sangue.
Il D. fu amico di G. De Cristofaro, uno degli inquisiti nel processo contro gli "ateisti", e fu amico e collaboratore di C. Grimaldi, rappresentante di spicco della scuola giurisdizionalista. Il Grimaldi, contando sulla sua amicizia e sulla sua preparazione, gli diede l'incarico di rivedere e correggere i suoi lavori, accordandogli in ciò la più ampia libertà di intervento.
Verso la fine del secolo il D. si dedicò per circa tre mesi a viaggi per l'Italia. Nel 1700 fu chiamato alla corte di Carlo Il per assistere il re gravemente malato. Partito nel luglio e giunto a Madrid agli inizi di settembre, si rese subito conto che le condizioni del sovrano erano disperate. Dopo la morte di Carlo II il nuovo re Filippo V lo volle come suo medico di camera. Al nuovo monarca il D. dedicò una composizione in versi latini, poi data alle stampe: De adventu Philippi V (cit. in Gimma, p. 133). Forse malato, il D. tornò a Napoli nel 1702. Era stato anche nominato vicecancelliere e capo del Collegio dei medici di Napoli.
Morì a Napoli il 15 maggio 1702.
Il D. lasciò, secondo il Gimma, diverse opere manoscritte: vari Dialoghi, su argomenti filosofici, scientifici, eruditi; un trattato di Teorica medicinalis e un trattato di filosofia: il De sensu. Di quest'opera parla diffusamente il Gimma; divisa in due sezioni, doveva toccare argomenti vasti e molteplici, come i problemi fisici e filosofici connessi al moto, al tempo, ai meccanismi della conoscenza; in esso riaffiorano la costante polemica antiaristotelica e antitradizionalista e il confronto critico continuo con l'insegnamento di Gassendi, Cartesio, Gilbert e di altri scienziati e filosofi contemporanei. Purtroppo il D. non poté completare queste opere che rimasero inedite e incompiute, bisognose "del compimento, e dell'ultima lima" (Gimma, p. 138).
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