DE MARCHIS, Tommaso
Nacque a Roma nel 1693. La sua formazione di architetto avvenne presso Carlo Francesco Bizzaccheri, al quale rimase sempre legato (Missirini, 1823, pp. 225 s.; Mallory, 1974, p. 28). Le prime opere che di lui conosciamo, attraverso incisioni, sono strutture effimere.
Si tratta dei "fanali" che egli disegnò, su commissione del sodalizio del Ss. Crocefisso presso S. Marcello, per la processione del giovedì santo dell'anno giubilare 1725, e della decorazione di una macchina che l'Arciconfraternita della Madonna del Rosario in S. Maria sopra Minerva usò nella processione della prima domenica di ottobre nello stesso anno (Pietrangeli, 1971).
All'inizio dei terzo decennio del secolo, il D. partecipò alla campagna di misurazione e rilievo planimetrico delle piazze e aree più importanti della città (Egger, 1931; Elling, 1975, p. 541 n. 325). R quindi probabile (Giuggioli, 1980, p. 170 n. 204) che la sua carriera iniziasse presso il tribunale delle Strade.
Non vinse alcun premio nei concorsi dell'Accademia di S. Luca, condizione necessaria perché un architetto di origine romana potesse diventare "accadernico di merito"; ciononostante fu proposto come tale dal "principe" Agostino Masucci nella congregazione del 16 nov. 1738 ed in quella del 15 novembre dell'anno successivo, da Sebastiano Conca. Il 3 genn. 1740 si votò sulla proposta e il D. fu accolto con undici voti a favore e cinque contrari (Arch. d. Acc. di S. Luca, ms. 50, ff. 6v, 26, 27v). I cinque maggiori architetti presenti, Girolamo Theodoli, Francesco Ferrari, Ferdinando Fuga, Antonio Derizet e Luigi Vanvitelli, dovevano nutrire una notevole stima nei confronti del D.; e comunque il suo apprendistato presso il Bizzaccheri, che ai suoi tempi era un membro molto attivo dell'Accademia in qualità di istruttore, giudice nei concorsi e consigliere, doveva essere una garanzia per i membri della congregazione, come pure il fatto che egli era al servizio del cardinale Nicolò Maria Lercari (Metzger Habel, 1986). Questi, segretario di Stato sotto Benedetto XIII, impiegò il D. attorno al 1727 come rappresentante nei suoi interessi connessi con l'acquisto dei siti e con i lavori del suo palazzo ad Albano.
L'ingrandimento dell'edificio e la sistemazione della facciata verso la strada, articolata nel piano inferiore da un bugnato molto liscio, e, nel piano nobile, da finestroni accentuati da profili trabeati, sono dal Metzger Habel (1986) attribuiti a lui in maniera convincente.
Durante gli anni 1738-40 il D. è documentato come architetto del monastero di S. Silvestro in Capite (ora demolito), che veniva strutturalmente ampliato e riattato in quel periodo (Gaynor-Toesca, 1963). Il 16 giugno 1738 con F. Fuga e F. Raguzzini stese una perizia contro il progetto del Derizet per la cupola della chiesa dei Ss.Nome di Maria (Martini-Casanova, 1962, pp. 31 s.) per motivi sia estetici (la sproporzionata altezza), sia pratici (la insufficiente consistenza dei piloni).
Al periodo della sua nomina ad architetto di merito potevano già risalire i suoi contatti con Mario Mellini, il quale era tornato a Roma nel 1738 dalla nunziatura in Vienna (Elling, 1975, p. 550 n. 130). Il 3 sett. 1740 il Valesio ricorda che il Mellini cominciò ad "atterrare" sul lato settentrionale della piazza e chiesa di S. Marcello al Corso un palazzo del Quattrocento dovuto al cardinale Michele Veneziano. "per fabricarlo di nuovo" (Valesio, VI, p. 387; Salerno-Bocca, 1961). Divenuto cardinale egli stesso il 10 apr. 1747 e ambasciatore del Sacro Romano Impero presso la S. Sede nel 1748 (Giuggioli, 1980, p. 170), Mario Mellini poté pensare ad una dimora cardinalizia in grande stile.
Il palazzo attuale, divenuto una delle opere più apprezzate del D., si estende in profondità dal Corso lungo via dell'Umiltà, inglobando diverse strutture preesistenti, come si può facilmente verificare confrontando la pianta del Falda con quella del Nolli. Il palazzo, considerato come recentemente terminato quando il Vasi pubblicò il quarto volume delle sue Magnificenze nel 1754 (Elling, 1975, p. 310), è articolato su tre piani, compresi lateralmente fra pilastri e differenziati nei tre ordini classici che, seguendo lo stile borrominiano, racchiudono gli angoli convessi dell'edificio. Sopra le alte finestre del piano nobile i timpani triangolari si alternano con quelli a segmento incorniciando, rispettivamente, diversi motivi decorativi. Questo schema viene alquanto variato nel secondo piano, dove cuspidi triangolari a padiglione sono alternate a timpani centinati che terminano con volute aggettanti. La plasticità della facciata elimina ogni effetto di monotonia: il D. è riuscito a dare enfasi ai lati brevi, sul Corso e su piazza S. Marcello, distraendo lo spettatore dall'inconveniente estetico determinAto dal fatto che la facciata principale si estende nella stretta via dell'Umiltà. Logicamente il D. usufruì della favorevole circostanza della piazza di S. Marcello, collocando l'ingresso principale accanto alla chiesa, di cui peraltro il cardinal Mellini fu titolare dal 1748 al 1756 (Gigli, 1977, p. 139). In questa posizione si trovò fino all'inizio del nostro secolo, quando la sistemazione della galleria di C. Bazzani ebbe come conseguenza lo spostamento dell'ingresso dell'edificio al portone di via dell'Umiltà n.43 (cfr. Callari, 1944); altre trasformazioni il palazzo ha subito dall'ultimo proprietario, il Banco di Roma.
Questo palazzo e il patronato di un personaggio di così alta dignità ecclesiastica e distinzione politica sono indicativi della statura professionale ormai raggiunta dal De Marchis. In quello stesso periodo era occupato in un altro progetto che ebbe poi una considerevole importanza per la vita culturale della città: la trasformazione di quella parte del palazzo Cenci nella via dell'Arco dei Ginnasi che i padri scolopi avevano acquistato il 24 dic. 1742, per stabilirvi il collegio Calasanzio "a' Cesarini", per iniziativa del loro curatore generale p. Giuseppe Agostino Delbecchi. L'edificio, destinato alla formazione elementare e secondaria di quasi mille studenti, era pronto per l'uso nel 1747, anno della beatificazione del fondatore delle Scuole pie, padre Giuseppe Calasanzio (Picanyol, 1937, pp. 3 s.; Elling, 1975, pp. 223 s.).
Trattandosi di una struttura di carattere utilitario e per una Congregazione che metteva l'enfasi sulla povertà, non sorprende che le finestre non siano decorate come in palazzo Mellini, con fèontespizi elaborati; unica decorazione sono infatti cornici con orecchie profilate. La facciata è comunque ben ponderata nelle proporzioni ed ha un carattere unitario.
Durante il quinto decennio del sec. XVIII il D. era anche al servizio dei Barberini, ma finora è venuta alla luce soltanto una perizia del 22 maggio 1744, riguardante la villa Barberini e le strutture edilizie annesse sopra i bastioni di porta Cavalleggeri e di porta S. Spirito (Del Bufalo, 1982). Come Domenico Navone e Carlo Nardelli, il D. era coinvolto in attività edilizie, per quanto di natura molto limitata, concernenti questo complesso (Lotti, 1977, p. 27); il 21 sett. 1748 gli fu affidata la costruzione ex novo del collegio Germanico-Ungarico sulla destra della chiesa di S. Apollinare, allora appena terminata dal Fuga (Bösel-Garms, 1981; Bösel, 1985). Fu probabilmente l'abate Revillas che lo incaricò del rifacimento della basilica dei Ss. Bonifacio e Alessio sull'Aventino, di cui dal 1743 era titolare il cardinale Angelo Maria Quirini, vescovo di Brescia e prefetto della Biblioteca Vaticana.
Già il 2 ottobre dello stesso anno il cardinale esprimeva la sua soddisfazione per la collaborazione ottenuta da parte dell'abate (Mallory, 1982, 15, pp. 129, 131) e la sua volontà di contribuire in futuro alla realizzazione del progetto. Una iscrizione nella parete del coro, datata 1744, che rende testimonianza che il cardinale restaurava, aumentava e ornava "ireparavit auxerit ornavit") la basilica, deve essere interpretata come il momento di inizio dei lavori che, per la maggior parte, furono terminati nell'anno santo 1750, come riportato da una seconda iscrizione, sopra la porta della chiesa, che dice che il tempio "vetustate corruptum" fu ricostruito e decorato dal cardinale a spese proprie (cfr. Forcella, 1876). I lavori continuarono però fino al 1753 quando, il 20 ottobre, furono dati come quasi terminati dentro e fuori (Mallory, 1982, 16, pp. 127 s.).
L'opera del D. consisteva nella complessiva ristrutturazione e modernizzazione della chiesa medievale: probabilmente sull'esempio di F. Fontana nella basilica dei Ss. Apostoli, aumentò l'altezza della chiesa sull'Aventino di 16 palmi romani, cioè 3,52 metri (Zambarelli, 1924, p. 14), e sostituì inoltre le capriate con una volta a botte. I progetti del D. furono probabilmente eseguiti con qualche modifica, come suggerisce l'unico disegno conservatosi (Berlino Ovest, Kunstbibliothek) che rappresenta la fronte esterna della basilica dal lato del coro e del monastero adiacente (cfr. anche Jacob, 1975, Cassini, 1779, tav. 65). L'interno, gia rifatto nel 1582, fu deturpato in seguito (Zambarelli, 1924, p. 41).
L'opera del D. (per una documentazione dello status quo prima del suo intervento vedi la descrizione del Nerini, 1752; cfr. inoltre Krautheimer, 1937) comprende anche la facciata della chiesa che si apre con un portico a cinque arcate nel piano inferiore, cui è sovrapposto un piano con finestre trabeate. Il prospetto termina sopra il cornicione con una balaustra con vasi decorativi. All'intervento del D. appartiene anche la sistemazione dell'atrio (la cui facciata fu sopraelevata di un piano nell'Ottocento), concepito in origine a piano unico con edicole ai lati del portone, le quali, originariamente chiuse da griglie di ferro e ora murate, hanno perso l'effetto di permeabilità previsto dall'architetto (cfr. Cassini, 1779, tav. 12).
Dati i mutamenti è difficile intendere il notevole entusiasmo con cui fu accolta la sua opera dai contemporanei (Mallory, 1982, 16, nn. 5505, 5661).
Per la celebrazione del primo centenario della morte di s. Giuseppe Calasanzio, il 31 ag. 1748 il D. fu anche incaricato dai padri scolopi di decorare la loro chiesa, S. Pantaleo (Buchowiecki, 1974, p. 524), fatto che riconduce la nostra attenzione sui compiti di decorazione effimera con cui avere avuto inizio la carriera di questo architetto.
Come il suo maestro, il Bizzaccheri, il D. non può essere certamente annoverato fra gli architetti eminenti della sua generazione che operavano a Roma, ma si può dire a suo favore che riuscì a continuare nel nuovo secolo la tradizione del Seicento con dignità e con rimarchevole abilità. Luigi Vanvitelli non era quindi lontano dalla verità quando maliziosamente, in una lettera al fratello del 19 giugno 1752, scriveva che il D. "fra gli architetti non è certamente il primo" (Strazzullo, 1976, p. 178 n. 98); sebbene, appena un anno dopo fosse disposto a fargli i complimenti, speculando sulla sua posizione come revisore della Camera apostolica (ibid., pp.190 n.105, 198 s. n. 111, 208 n. 120).
Il fatto che il D. fosse considerato all'altezza del suo tempo non viene soltanto confermato dalle committenze e testimonianze sopracitate, ma risalta forse ancor più dalla sua elezione a principe dell'Accademia di S. Luca per il 1748 con larga maggioranza di voti, essendo presenti nella congregazione del 7 dic. 1747 colleghi ben noti o addirittura famosi: Girolamo Theodoli, Luigi Vanvitelli, Antonio Derizet, Clemente Orlandi, Francesco Ferrari, Carlo Marchionni e Ferdinando Fuga (Arch. d. Acc. di S. Luca, ms. 50, f. 105). Bisogna aggiungere che il suo principato fu un pieno successo dal punto di vista amministrativo, avendo egli messo le finanze e l'archivio dell'istituzione in un ordine esemplare (Missirini, 1823, p. 225;Arch. d. Acc. di S. Luca, ms. 50, ff. 129v, 132v e s.). E la soddisfazione per il suo servizio fu tale che egli fu prontamente confermato in carica per l'anno successivo nella congregazione del 17 nov. 1748 (ibid., f. 125). Suo maggior merito fu di aver rivitalizzato nel 1750, certo con l'appoggio di Benedetto XIV, l'istituzione dei concorsi, languente da dieci anni (Missirini, 1823, pp. 225, 228). Però, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, non è lui l'autore dell'importante soggetto per la prima classe di architettura "Un Magnifico Collegio", che era stato invece proposto da Filippo Ottoni, ed estratto a sorte dalla comunità degli accademici nella congregazione del 14 sett. 1749 (Arch. d. Acc. di S. Luca, ms. 50, f. 137v).
Morì a Roma il 26 febbr. 1759 (Roma, Arch. storico del Vicariato, Parrocchia di S. Salvatore alle Coppelle, Liber mortuorum, 1758-1794).
Secondo la descrizione del Missirini, il D. sapeva parlare e farsi rispettare mostrando "molta gravità nel portamento esteriore". Dai suoi colleghi accademici fu accolta molto favorevolmente la sua proposta di onorare ufficialmente, alla festa di s. Luca, il suo antico maestro Carlo Francesco Bizzaccheri (Missirini, 1823, p. 226; Mallory, 1974, p. 28).
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio storico del Vicariato, Libro delle Cresime, Parrocchia di S.Maria in Aquiro, 10 luglio 1701; Ibid., Museo di Roma, Gabinetto comunale delle Stampe, Fondo Avvenimenti, G. S. 233-237 (incisioni delle macchine del D. per l'anno santo 1725); Ibid., Arch. stor. dell'Acc. naz. di S. Luca, Verbali delle Congregazioni, ms. 50, ff. 6v, 26, 27v, 30v, 77, 94, 105, 106v, 125, 125v, 129rv, 132v, 133, 136; ms. 51, f. 1rv; Ibid., Arch. dei padri Scuole pie, Dom. Gen. 53: Liber Fabricae Collegii Novi, I, f. 1rv, Dom. Gen. 581: Mem. delle cose più rimarcabili che seguirono nel nuovoColl. Calasanzio dal 1747; Dom. Gen. 664: Misura e stima della fabbrica delColl. Cesarini;F. Valesio, Diario di Roma, a cura di G. Scano e G. Graglia, VI, Milano 1979, pp. 387, 577 n. 631 Roma antica e mod., II, Roma 1750, p. 266; F. Nerini, De templo et cenobio Sanctorum Bonifaciiet Alexii, Romae 1752, pp. IV s., 57 s., 60; G. Vasi, Delle magnificenze di Roma antica e moderna, IV, Roma 1754, p. 21, VII, ibid. 1756, tav. 133, IX, ibid. 1759, p. 24; F. Titi, Descrizione delle pitture, sculture e archit. esposte al pubblico in Roma, Roma 1763, pp.325 s.; G. M. Cassini, Nuova raccolta delle migliori vedute antiche e moderne di Roma, Roma 1779, tavv. 12, 65; M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 225 s., 228, 479; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e di altri edifici di Roma, VII, Roma 1876, p. 367; XII, ibid. 1878, p. 353; L. Zambarelli, Ss. Bonifacio e Alessio all'Aventino, Roma 1924, pp. 14 s., 38, 41; Roma . Ss. Bonifacio e Alessio. Cenni religiosi, storici artistici, a cura dell'Istituto di studi romani, Roma s.d.; H. Egger, Römische Veduten, Wien 1931, II, p. 15; P. L. Picanyol, L'antico Collegio Calasanzio di Roma, in Rass. di storia e bibliogr. scolopica, I (1937), pp. 3-6, 23; R. Krautheimer, Corpus basilicarum..., I, Città del Vaticano 1937, pp . 40 s.; L. Callari, I palazzi di Roma, Roma 1944, p. 437; L. Salerno-A. Bocca, Via del Corso, Roma 1961, pp. 85, 220 n. 40; A. Martini-M. L. Casanova, Ss. Nome di Maria, Roma 1962, pp. 31 s., 47; J. S. Gaynor-I. Toesca, S. Silvestro in Capite, Roma 1963, pp. 53, 66 n. 35; R. Wittkower, Art andarchitecture in Italy 1600 to 1750, Harmondsworth 1965, p. 1189 n. 35; G. Torselli, Palazzi diRoma, Milano 1965, p. 182; C. Pietrangeli, Il Museo di Roma. Documenti e iconografia, Roma 1971, pp. 94 s.; P. Marconi-A. Cipriani-E. Valeriani, I disegni di architettura dell'Archivio stor. dell'Acc. di S. Luca, I, Roma 1974, pp. 18 s.; W. Buchowiecki, Handbuch der Kirchen Roms, III, Wien 1974, pp. 467, 524 s.; N. Mallory, C. F. Bizzaccheri with an annotated catalogue, in Journal of theSociety of architectural historians, XXXIII (1974), p. 28 n. 8; S. Jacob, Italien. Zeichnungen derKunstbibliothek Berlin, Architektur und Dekoration16. bis 18. Jahrhundert, Berlin 1975, p. 163 n. 807; C. Elling, Rome. The biography of its architecture from Bernini to Thorvaldsen, Tübingen 1975, ad Indicem;F. Strazzullo, Le lettere di L. Vanvitelli della Bibl. Palatina di Caserta, Galatina 1976, I, pp. 178 n. 98, 190 n. 105, 198 s. n. 111, 208 s. n. 120, 569 s. n. 389; II, p. 309 n. 619; L. Gigli, S. Marcello al Corso, Roma 1977, pp. 136, 139; L. Lotti, La villa Barberini al Gianicolo, in Alma Roma, XXVIII (1977), 1-2, pp. 26 s.; P. Portoghesi, Roma barocca, Bari 1978, pp. 18, 537; G. Incisa della Rocchetta, La collezione deiritratti dell'Acc. di S. Luca, Roma 1979, p. 47 n. 146; A. Giuggioli, Il palazzo de Carolis in Roma, Roma 1980, pp. 105, 170 n.204, 171; G. Smith, Concorso Clementino Of 1750. Architectural fantasyand reality. Drawings from the Accademia Nazionale di S. Luca in Rome. Concorsi Clementini1700-1750, University Park, Penn., 1981, pp. 131-140; R. Bösel-J. Garms, Die Plansammlung desCollegium Germanicum-Hungaricum, in Rimischehistorische Mitteilungen, XXIII (1981), p. 355; A. Del Bufalo, G. B. Contini e la tradizione del tardomanierismo nell'architettura tra '600 e '700, Roma 1982, p. 103; N. Mallory, Notizie sull'archit. nel Settecento a Roma..., LXVII (1982), 15, pp. 129 n. 4005, 131 n. 4086; 16, pp. 125 n. 5505, 127 n. 5661; R. Bösel, Jesuitenarchitektur in Italien, 1540-1773, I, Wien 1985, p. 237; D. Metzger Habel, F. Raguzzini and the Casino Lereari in Albanoand the ingredients of Roman Rococb architecture, in Papers in art history from the Pennsylvania State University, II, University Park, Perm., 1986, passim;G. Moroni, Dizionario di erudizione stor. eccles., LXIII, pp.88 s., 96, 99; U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon..., XXIV, p. 71 (sub voce Marchis, Tommaso de).