BALBANI, Tommaso
Nacque a Lucca il 30 apr. 1515, secondogenito di Francesco, mercante e patrizio lucchese, e di Maddalena Mei. Fu avviato da giovane alla mercatura nella ditta fondata dal padre e dallo zio Agostino Balbani. Il 6 ag. 1530 si recò ad Anversa per raggiungere il fratello maggiore Giovanni, che stava allora dando l'avvio alla succursale fiamminga dell'impresa lucchese. Quando, alcuni anni dopo, Giovanni dovette occuparsi dell'apertura della nuova filiale a Lione, e poi nel 1537 fece ritorno a Lucca, il B. rimase solo alla testa della compagnia di Anversa, di cui tenne personalmente la direzione per oltre un venticinquennio.
Il B. cominciò già allora a distinguersi tra i fratelli per quelle doti di particolare abilità e capacità che, negli ultimi anni della sua vita, fecero di lui la personalità più notevole della casata. Tuttavia, in questo primo tempo, egli ebbe un ruolo minore nell'ambito del grande consorzio familiare che procedeva unito sotto la direzione del padre e del primogenito Giovanni, i quali a Lucca tenevano le redini della sede sociale ed occupavano le prime cariche della Repubblica. La compagnia era formata non solo dal padre e dai tre fratelli del B. - Giovanni (1509-1579), Filippo (1516-1575) e Matteo (1518-1595 circa) -, ma anche dai figli ed eredi dello zio Agostino Balbani, morto prematuramente nel 1534, e cioè da Alessandro (1519-d. 1564), Bernardino (1520-1594), Turco (1526-1564), Bartolomeo (1529-?) e Biagio Balbani (1532-1587). Parecchi di costoro fecero il loro apprendistato mercantile agli ordini del B. ad Anversa, e divennero poi condirettori di quella filiale. Tra il 1537 ed il 1540 il B. si giovò dell'aiuto del fratello minore Filippo, che passò in seguito alla filiale di Lione, e di quello di Bernardino, il quale, spirito irrequieto e definito "troppo liberale e cortese", nel 1540, con deliberazione di un consiglio di famiglia, fu rispedito a Lucca per scongiurare lo scandalo di un suo matrimonio con la figlia di un povero orefice di Anversa. Fra il 1538 ed il 1543 il B. ebbe con sé l'altro fratello Matteo, il quale poi passò a Lione e tenne la direzione di quella filiale fino alla fine del secolo. Turco Balbani fu ad Anversa tra il 1543 e il 1547, poi tra l'aprile 1548 e l'agosto 1550 e infine dall'aprile 1551 all'agosto 1553. Bartolomeo Balbani diede la sua collaborazione alla ditta tra l'aprile 1545 e il settembre 1551 e dall'aprile al giugno 1552. Biagio Balbani infine fu ad Anversa dall'aprile 1549 all'aprile 1554 e dall'ottobre 1554 al 1559.
Potendo contare su questa folta schiera di collaboratori, fu agevole al B. assentarsi periodicamente da Anversa e mantenere personalmente i contatti con la direzione centrale di Lucca. Nel 1544 il B. affidò la ditta a Turco Balbani e si recò per qualche tempo a Lucca, chiamato probabilmente ad una di quelle riunioni periodiche dei responsabili delle varie filiali per il rinnovo delle compagnie. In quell'anno il B. prese in moglie Bianca di Giovanni Bernardini. L'anno seguente sedette al Consiglio generale della Repubblica, ma nell'estate del 1545 riprendeva già la via di Anversa.
Nel 1547 affidò le redini della compagnia a Bartolomeo Balbani e partì per un viaggio d'affari che aveva per meta Roma e Napoli. Nel gennaio 1548, ripassando per Lucca, partecipò alla riunione familiare per il rinnovo delle compagnie: in società con Pietro Bernardini fu stanziato un capitale di 90.000 scudi, suddiviso in cinque società distinte di cui tre con sede a Lucca (e cioè due botteghe di manifattura serica con capitale di 20.000 scudi ciascuna, che prendevano nome da "Francesco Balbani, Pietro Bernardini e C." e da "Francesco, Alessandro Balbani e C."; ed un banco con capitale di 10 mila scudi sotto i nomi di "Francesco Balbani et figlioli, Pietro Bernardini e C."), una a Lione chiamata "Giovanni, Filippo, Matteo Balbani e C." e una ad Anversa sotto i nomi di "Giovanni, Tommaso, Matteo Balbani e C.", con capitale rispettivo di 20.000 scudi.
Il B. venne allora confermato alla direzione della compagnia di Anversa. Tornando in questa città nell'aprile di quell'anno, condusse seco la moglie e il figlio Francesco, che era nato a Lucca nel 1546: altri dieci figli del B. nacquero tutti ad Anversa, dove la famiglia risiedette fino al 1563. Nel 1552-53 il B. fu nuovamente assente da Anversa, dove lasciò a sostituirlo Turco e Biagio Balbani. Tornò ad Anversa nel 1554. All'inizio del 1555 partiva per Lucca per partecipare al rinnovo delle compagnie. Nelle Fiandre rimase allora Biagio Balbani, che assunse per il quadriennio seguente la direzione e la responsabilità del disbrigo degli affari. La nuova società di Anversa, che prese i nomi di "Giovanni, Turco e Biagio Balbani e C.", venne costituita nella fiera di Pasqua del 1555 ed ebbe la durata di quattro anni.
Questo ripiegamento sembra una manifestazione particolare del disagio generale che colpì il mondo lucchese degli affari al volgere della metà del secolo e che si aggravò nel quindicennio 1560-75. Nello stesso 1555 infatti fu dimezzato anche il capitale della compagnia di Lione (fin dal 1552 con la ragione sociale di "Giovanni, Turco, Bartolomeo Balbani e C."). Le compagnie di Lucca non subirono allora alcun aumento di capitale (solo i nomi venivano mutati, chiamandosi ora le due botteghe "Francesco, Turco Balbani e C." e "Francesco, Filippo Balbani e C", mentre il banco prendeva nome da "Francesco, Giovanni, Alessandro Balbani e C.").
Benché il ritiro dei Bernardini dalla società fosse tra le ragioni dell'indebolimento del consorzio Balbani, cause più profonde erano alla base di questa pausa che veniva ad interrompere un vivacissimo processo di espansione, grazie al quale questa famiglia si era rapidamente affermata durante la prima metà del secolo. Il tasso d'incremento del capitale sociale del consorzio Balbani aveva infatti sempre mantenuto livelli considerevoli (tra i 2600 ducati del 1496 e i 15.000 del 1524 l'aumento toccava il 500 %; tra il 1524 e i 90.000 scudi del 1548 toccava il 600 % o qualcosa meno se vogliamo tenere conto della quota apportata dai Bernardini, il cui ammontare non è noto). Su tutto il periodo, l'incremento medio annuo si era mantenuto attorno al 20 %. Ora, tra il 1548 e il 1555 non solo l'espansione si arrestò di colpo, ma, per il ritiro dei Bernardini o per altre ragioni a noi sconosciute, il consorzio venne a perdere il 23 % del capitale. La situazione si complicò quando, nel 1556, alla morte del vecchio Francesco Balbani, venne meno l'unità della famiglia.
Il B., che nel 1556 era console della nazione lucchese ad Anversa, fu convocato a Lucca per assistere al rinnovo delle compagnie e alla divisione dal fratello Giovanni, che accanto al vecchio banco, nuovamente ribattezzato "Redi di Francesco, Alessandro, Turco Balbani e C.", volle fondare un banco per proprio conto, detto "Giovanni Balbani e figli", e ritirò la propria partecipazione dalle botteghe lucchesi, restando tuttavia associato alle compagnie di Lione e di Anversa. Dal 1556 il B. diede il proprio nome ad una delle due botteghe lucchesi (già "Francesco, Filippo Balbani e C.") che veniva ora a chiamarsi "Tommaso, Filippo Balbani e C." e continuava ad essere diretta da Filippo.
Nel 1559, alla scadenza del termine delle ragioni sociali, il B. fu di nuovo richiamato a Lucca. Vi si fermò fino ai primi mesi del 1560: il 22 dic. 1559 era stato eletto rettore delle scuole di Lucca per il primo semestre dell'anno seguente.
Nel 1559 la separazione tra i membri del vecchio consorzio Balbani si accentuò. I figli di Agostino Balbani procedettero alla divisione dì ciò che da loro era ancora posseduto per indiviso, Biagio Balbani abbandonò Anversa per stabilirsi a Lucca, mentre già da due anni Bartolomeo si era ritirato dagli affari; infine Giovanni Balbani ritirò la sua partecipazione dalle compagnie di Anversa e di Lione per fondarvi due nuove succursali per proprio conto.
Ultima traccia dell'antica solidarietà familiare rimaneva l'associazione per indiviso tra il B. e i due fratelli Matteo e Filippo. Essi continuavano a collaborare strettamente alla direzione delle vecchie ditte di Anversa e di Lione ed a quella di una bottega lucchese, mentre mantenevano il loro controllo sugli affari del banco lucchese "Redi di Francesco, Alessandro, Turco Balbani e C." che era affidato alla direzione di Alessandro. Inoltre, in quanto coeredi di Antonio Balbani, possedevano una partecipazione nella nuova Bottega "Redi di Antonio, Turco Balbani e C.".
Nell'estate 1560 il B. fu di ritorno ad Anversa. Negli ultimi tre anni del suo soggiorno fiammingo rimase solo alla direzione della compagnia, ma ormai il suo primogenito Francesco aveva raggiunto quell'età in cui tradizionalmente i giovani lucchesi iniziavano il loro apprendistato mercantile.
Un episodio avvenuto nell'autunno 1560 getta uno sprazzo di luce sul carattere del mercante lucchese, scoprendone una nota di violenza che si rinnoverà poi nel comportamento, del primogenito Francesco. Il 28 ottobre il B., in compagnia di tale Pasquino Florkin, si rendeva responsabile di violazione di domicilio per impadronirsi della persona di Alessandro Capuna, suo debitore. La moglie del padrone di casa, che opponeva resistenza, fu rudemente trattata, e quando, qualche tempo dopo, diede alla luce un figlio morto, i responsabili dei maltrattamenti furono citati in giudizio. Il Capuna fu tenuto prigioniero nella casa del B. finché non fornì una cauzione sufficiente.
Il 28 maggio dell'anno 1563 il B. fece ritorno a Lucca "con un grande traino", in compagnia della moglie e dei figli, ad eccezione di Francesco, che rimaneva alla direzione della ditta di Anversa.
Durante il venticinquennio in cui il B. tenne le redini della società di Anversa, il settore più importante degli affari fu senz'altro rappresentato dal commercio delle seterie, che venivano prodotte nelle botteghe lucchesi della famiglia. La sparizione dei libri di conti sottrae purtroppo alla nostra conoscenza questo aspetto fondamentale dell'attività del Balbani. Solo un'operazione risalente al 1562 ci permette di inquadrare un settore della clientela del B.: il 12 gennaio di quell'anno egli aveva venduto tessuti di seta per la somma di 9.886 lire di grossi di Fiandra al mercante e finanziere anversese Gérard Gramaye, socio della "Compagnia dell'Est", recentemente creata per il commercio con i paesi baltici. Anche in seguito le seterie lucchesi continuarono a figurare tra i principali articoli che le varie compagnie anversesi per il commercio con l'Est inviavano in direzione dei porti svedesi, finlandesi o baltici. Accanto al tradizionale commercio lucchese, il B. si interessò anche al traffico di tutta una vasta gamma di prodotti: su questo aspetto, gli archivi fiamminghi hanno già portato qualche lume. Si conserva menzione, per esempio, di una importazione di vino ad Anversa nell'anno 1559: una nave, carica di svariate merci per conto del B., fu fermata a Middelbourg, porto poco distante da Anversa, e fu obbligata a mettere a terra i vini davanti alla "Stapula" obbligata ("Etaple des vins"), la dogana del luogo, per le operazioni di verifica e il pagamento del dazio. Per scaricare il vino era stato necessario mettere a terra quasi tutto il carico della nave, e il B. se ne dolse presentando reclamo al magistrato di Anversa. Egli veniva ad aggiungere in tal modo un nuovo documento al dossier che la città dell'Escaut andava raccogliendo contro quello che essa considerava un'usurpazione da parte di Middelbourg. Un settore di gran lunga più importante dell'attività commerciale del B. fu l'importazione del pastello tolosano ad Anversa. La prima menzione di un'operazione del genere risale al 1544, anno in cui il B. passò a Bordeaux un'ordinazione per 4.000 balle di pastello, da caricarsi su due, tre, o, all'occorrenza, più navi. L'anno seguente 2.300 balle vennero caricate a Bordeaux sulla nave "S. Sebastiano" per conto del B.; quando il carico giunse ad Anversa, fu Gaspar Ducci che, agendo come intermediario, si incaricò di vendere il carico al mercante anversese Baudoin Barbier.
Qualche anno dopo il B. aveva un regolare commissionario a Bordeaux nella persona di Francesco Malbosc: il 17 nov. 1548 costui gli spedì su una nave 3.296 balle; il giorno seguente, su un'altra nave, 1.971 balle. Nel 1552-1553 risultava, dal registro della tassa del 2 % sulle importazioni in Anversa, che la compagnia del B. si trovava ancora tra i principali trafficanti di pastello della città. Negli anni seguenti il B. si servì di un commissionario stabilito non più a Bordeaux, ma direttamente sul posto di origine, a Tolosa. Nel 1556 costui riceveva un'ordinazione di 4.000 balle di pastello. Mancano menzioni ulteriori relative al traffico del pastello: questo settore commerciale veniva in quegli anni abbandonato a poco a poco dalle ditte italiane di Anversa per passare nelle mani di ditte fiamminghe; è presumibile che anche il B. abbia seguito la tendenza generale.
La finanza e la banca rappresentarono una parte importante degli affari per il consorzio Balbani almeno a partire dal 1548, anno in cui troviamo la prima menzione di una loro banca a Lucca. Il capitale sociale della banca era allora della metà inferiore a quello di ciascuna delle altre ragioni sociali dei Balbani; esso si mantenne tuttavia costante anche dopo il 1555, quando il capitale delle compagnie di Anversa e Lione fu dimezzato. Negli anni seguenti le operazioni finanziarie sembrano aver preso uno sviluppo sempre maggiore: ad Anversa nel 1556 il B. partecipò al prestito di 50.000 ducati lanciato su quella piazza da Filippo II, allora re d'Inghilterra: la sua quota fu di 10.000 scudi. D'altra parte nello stesso 1556 fu creata la nuova banca lucchese di Giovanni Balbani, accanto alla vecchia banca, che continuava la sua attività. Tra il 1556 e il 1559 le compagnie di Anversa e di Lione si trovarono a rappresentare su quelle piazze gli interessi delle due banche. Ma l'euforia di quegli anni si arrestò ben presto. Il fallimento attendeva Giovanni Balbani alla fiera di Pasqua del 1562. A sua volta la banca lucchese "Redi di Francesco, Alessandro Turco Balbani e C.", di cui il B. era consocio, si trovò sull'orlo del fallimento l'anno seguente: Alessandro Balbani, responsabile della direzione, si era lanciato in operazioni azzardate in un momento in cui il marasma dominava il mondo lucchese degli affari (l'anno precedente erano state chiuse in passivo due botteghe lucchesi, tra cui la "Redi di Antonio, Turco Balbani e C.", nella quale il B. aveva una partecipazione).
Appena tornato a Lucca, nell'estate 1563, il B. si accinse a raddrizzare le sorti della banca, assumendone personalmente la direzione; il fallimento fu evitato. Qualche mese dopo egli poté, senza alcun rischio, affidare temporaneamente la direzione della banca al fratello Filippo e riprendere la via di Anversa.
Durante il viaggio di andata il B. si soffermò dapprima a Genova, per comporre una controversia con Francesco Doria; proseguì per Savona dove, su mandato della Repubblica lucchese, ebbe un abboccamento con il duca di Savoia; raggiunse infine Anversa, dopo un'ulteriore fermata a Lione. Ripartito da Anversa nel marzo 1564, fu di ritorno a Lucca il 29 aprile. Nell'estate di quell'anno procedette alla divisione dei beni ereditari, fino ad allora comuni con i due fratelli Filippo e Matteo. Poi si occupò della riorganizzazione e del rinnovo delle società; la sua divisione dai fratelli introduceva su questo piano parecchie novità, anche se rimaneva stabilita una base comune d'intesa.
A Lucca la banca dei "Redi di Francesco, Alessandro, Turco Balbani e C." fu chiusa in passivo: Alessandro Balbani ne era uscito rovinato. Al suo posto, il B. aprì a nome proprio e in casa propria una nuova banca; vi assunse come contabile Alessandro Balbani, che prendeva il posto di Bernardino Balbani, contabile della vecchia banca fin dal 1552, il quale volle, forse alla ricerca della libertà religiosa, trasferirsi a Lione, dove si trovava il figlio di lui Agostino e dove ottenne la carica di cancelliere alle fortificazioni. La bottega di "Tommaso, Filippo Balbani e C." fu l'unica tra le ragioni lucchesi ad essere chiusa in attivo. Al suo posto sorsero due botteghe: l'una, del B., che ebbe sede nella sua casa; l'altra, di Filippo Balbani, che assunse i nomi dei figli di lui "Orazio e Federigo Balbani e C.". Anche al posto della vecchia compagnia lionese diretta da Matteo Balbani sorsero due ditte distinte: nella "Figli di Tommaso Balbani e C." il B. rimase associato al fratello Matteo, il quale continuò a tenerne la direzione assieme a Michele Burlamacchi e a Niccolò di Iacopo Cenami, che l'anno seguente sposò Cornelia, figlia naturale del Balbani. "Filippo e Turco Balbani e C." fu la seconda compagnia lionese; affidata fino all'agosto 1564 alla direzione di Turco, poi ad Agostino di Bernardino Balbani, poi ad Arrigo di Giovanni Balbani ed infine, nell'ottobre dell'anno seguente, fusa con la compagnia "Figli di Tommaso Balbani e C.": Matteo Balbani continuò a tenerne la direzione, con l'aiuto di Orazio, figlio di Filippo. Ad Anversa la compagnia fu affidata alla direzione del figlio del B., dal quale essa prendeva il nome "Francesco Balbani e C."; è assai probabile che anche in quella sede il B. fosse associato al fratello Matteo e che quest'ultimo intervenisse nella direzione degli affari: nell'estate del 1565 Matteo si trovava in Anversa come deputato della nazione lucchese.
Dopo la riorganizzazione del 1564, il B. prese con mano ferma le leve di comando dell'azienda: le due compagnie all'estero portavano il nome dei suoi figli, a Lucca egli possedeva una banca e una bottega di seta. A partire da questo momento egli fu il nuovo capo della casata, poiché il fratello maggiore aveva fallito alla prova. Egli ridiede in tal modo l'unità a ciò che rimaneva del vecchio consorzio diretto da Francesco Balbani e poté pilotare con mano ferma la barca degli affari attraverso le acque infide del periodo compreso tra il 1562 e il 1576.
Questi anni rappresentarono un'epoca di disorientamento per tutto il mondo lucchese degli affari e furono disseminati di fallimenti, ognuno dei quali sfiorò da vicino l'impresa del Balbani. Nel 1566 falliva ad Anversa la ditta dei parenti "Giovanni (di Bonaccorso) e Niccolò Balbani e C." (e non Francesco Balbani); è probabile che la succursale anversese del B. venisse direttamente toccata dal contraccolpo di questo fallimento, se il figlio del B., Francesco, giungeva fino ad assassinare uno dei falliti: Niccolò di Timoteo Balbani. (Questo episodio di resa dei conti familiare si risolse senza gravi conseguenze, nelle Fiandre, con una temporanea fuga dell'omicida ad Amburgo, e a Lucca, con il perdono concesso nell'autunno dello stesso anno da parte di Timoteo Balbani all'uccisore del figlio). Nel 1574-79 una serie di cracks si susseguirono tra le ditte lucchesi di Lione ed Anversa (1574 i Guinigi, 1574 gli Arnolfini, 1579 gli Arnolfini-Michaeli, furono gli episodi più clamorosi). La bottega lucchese d'arte serica del fratello del B., Filippo, si trovò in quel frangente a mal partito: nel 1574-75 costui aveva dovuto procedere all'alienazione di beni immobili per pagare debiti contratti nell'acquisto di partite di seta. Nel 1575 la crisi era divenuta generale, dopo la bancarotta del governo spagnolo.
Da questa burrasca il complesso di aziende Balbani era uscito non solo indenne, ma anche preparato ad affrontare con successo, durante il quindicennio seguente, la concorrenza dell'alta finanza internazionale. Gli anni del soggiorno lucchese del B. (1564-1575) rappresentarono un periodo di prudente ritiro, di riorganizzazione e ridimensionamento delle attività. Fu il lento passaggio da un'attività prevalentemente industriale-commerciale ad un'attività prevalentemente finanziaria. I Balbani furono (assieme ai Buonvisi e ai Diodati) tra i pochi lucchesi che riuscirono con successo ad effettuare questa trasformazione, e poterono inserirsi, sulla scia dei Genovesi, nel gioco europeo delle speculazioni sui prestiti alla corona spagnola e sui metalli preziosi americani.
Questo nuovo corso implicava un cambiamento della figura stessa dell'uomo d'affari. Le trattative e i contatti con la corte assumevano una crescente importanza: la diplomazia divenne l'abito del finanziere. Così il B., che in questo periodo non esercitò cariche politiche lucchesi, non esitò a mettere più volte la propria attività a disposizione della Repubblica per l'adempimento di missioni diplomatiche. Egli veniva allargando in tal modo una rete di contatti personali con le corti europee che in seguito si riveleranno essenziali. Nel 1564 si recò a Milano, assieme a Lodovico Arnolfini, come ambasciatore presso il nuovo imperatore Massimiliano II, per chiedere la tradizionale conferma delle franchigie concesse alla Repubblica di Lucca dall'imperatore Carlo IV nel 1369; l'imperatore lo investì in questa occasione del titolo di conte dell'impero. Nel 1565 il B. fu ambasciatore presso la duchessa di Mantova, nel 1572 presso il governatore di Milano e il duca di Ferrara. La rete dei suoi contatti con alti personaggi di corte comprendeva clienti della propria banca, come il cardinale A. de Granvelle. Nel novembre 1568 il B., da Lucca, indirizzava al cardinale a Roma la supplica della vedova e del figlio di Antoine van Straelen (il quale, imprigionato nei Paesi Bassi contemporaneamente al conte di Egmont, era stato condannato a morte), chiedendo l'intervento del Granvelle affinché venisse annullata la confisca dei beni del defunto.
Durante questi anni l'impresa lucchese accrebbe il numero delle sue succursali: oltre a quelle di Lione e di Anversa, nel 1573 esisteva a Venezia una società con ragione sociale "Tommaso Balbani e C.", mentre fin dal 1565 una testa di ponte era stata lanciata ad Ancona, dove, col consenso della famiglia, Biagio Balbani aveva fondato una compagma in società con Alessandro di Lodovico Buonvisi. Il raggio d'azione dei Balbani si andò ancor più estendendo in seguito: nel decennio 1580-90 il genovese Agostino Pinelli era loro rappresentante a Roma; verso il '90 fu fondata una succursale a Palermo. Dopo il 1570 i figli del B. cominciarono a collaborare all'amministrazione delle varie aziende. A partire dal 1573 circa Francesco fu richiamato da Anversa e fu addetto alla sede lucchese. Pompeo si occupò per qualche tempo della compagnia di Venezia. Camillo fu addetto alla succursale di Lione, che verso il 1579 si chiamava "Camillo, Orazio Balbani e C.". Cristoforo infine fu inviato nelle Fiandre. A Parigi sorse in questo stesso periodo un'altra compagnia, indipendente dalle altre, ma pur legata da una collaborazione stretta con la succursale di Lione e, per qualche tempo, con quella delle Fiandre. Ne facevano parte Arrigo e Manfredi Balbani, i figli del fratello del B., Giovanni, che erano emigrati da Lucca per motivi religiosi. Ai nomi di costoro fu legato allora quello di Orazio Balbani, socio della succursale di Lione; in seguito vi si aggiunsero i nomi di Scipione (1556-dopo 1608) e Antonio Balbani (1560-1608), figli di quell'Alessandro, che era stato collaboratore della banca lucchese del B. dopo il 1564. Nel decennio 1570-80 le due compagnie di Parigi e di Lione furono impegnate assieme nell'attività di prestiti alla corona francese (una lettera di Arrigo Balbani datata da Blois, 14 genn. 1581, e diretta a Pomponne de Bellievre consigliere del re, menziona questi vecchi prestiti non ancora rimborsati) e concorsero assieme all'appalto delle dogane di Lione, alla ferma del sale, ecc. Matteo, Orazio e Arrigo Balbani furono i "diplomatici" delle due compagnie, rappresentando presso la corte di Francia gli interessi comuni. La compagnia di Lione, in collaborazione con la ditta delle Fiandre, forniva i suoi servizi bancari ad Antonio Perrenot, cardinale de Granvelle, occupandosi della percezione e della rimessa dei redditi che il cardinale aveva nella Franca Contea.
Dell'attività finanziaria esercitata dal B. nei Paesi Bassi durante questo periodo è rimasta scarsa traccia. Il 23 giugno 1569 Francisco Lisandro, tesoriere dell'esercito spagnolo delle Fiandre, riceveva dal B. un prestito di 10.265 coronati. Questa non fu certo l'unica operazione del genere che il B. avesse compiuto in quel periodo. Il registro dello stesso tesoriere inscrive infatti, in data 6 apr. 1570, la restituzione al B. di una somma di 21.669 coronati, relativa ad un'operazione diversa da quella del giugno dell'anno precedente. Comunque, in questo registro il B. non figurava tra i nomi più importanti della finanza di Anversa: la sua parte fu minima rispetto al totale di 3 milioni e 800 mila coronati che tra il 1567 e il 1571 i banchieri di Anversa - e principalmente i genovesi Fieschi e Spinola - avevano prestato al duca d'Alba "ex negociis, cambiis, et financiis". Che in questo periodo il B. andasse già partecipando agli asientos della monarchia spagnola, sulla scia e all'ombra della finanza genovese, è probabile, e ciò spiegherebbe come, alla prima occasione favorevole, egli riuscisse rapidamente ad affermarsi e a divenire asientista in proprio. L'occasione fu offerta dalla bancarotta spagnola del 1575, che colpì duramente la finanza genovese costringendola temporaneamente sulla difensiva e diede più facile corso all'iniziativa di case bancarie di media potenza.
Sul finire del 1575, dopo aver fatto testamento, il B. partì da Lucca in direzione delle Fiandre. Egli riprendeva le redini di quella compagnia in un periodo particolarmente difficile: da anni Anversa subiva le conseguenze della guerra di religione (blocco inglese del porto, assedio da parte dei calvinisti). Alla bancarotta spagnola dei 1575, con le sue funeste conseguenze sul mondo commerciale-finanziario, si aggiunse nel novembre 1576 il sacco operato dalle truppe spagnole, e, nell'estate 1577, seguì la resa della città al principe di Orange, inizio degli otto anni di dominazione calvinista, durante i quali furono proibite le operazioni finanziarie in favore della monarchia spagnola.
Pare indubbio che in tale periodo il B. abbia seguito l'esempio delle numerosissime case commerciali che abbandonarono temporaneamente Anversa (lasciandovi tutt'al più un rappresentante), per trasferirsi vuoi a Colonia, vuoi ad Amburgo. Nessuna delle lettere del B. posteriori al 1578 è infatti datata da Anversa. Che la sede della compagnia fosse in questo periodo Colonia potrebbe essere dedotto dal fatto che, quando il B. nel 1580 dovette effettuare un pagamento nei Paesi Bassi, mise il numerario a disposizione su quella piazza. Ma il teatro della sua attività finanziaria e "diplomatica" fu essenzialmente la corte, che egli prese a seguire costantemente in tutti gli spostamenti dovuti alla guerra. Fin dall'arrivo di don Giovanni d'Austria nei Paesi Bassi con le funzioni di governatore, il B. aveva intensificato la sua assiduità alla corte, dove godeva dapprima dell'appoggio di Ottavio Gonzaga, consigliere del governatore, e godette in seguito dell'appoggio del cardinal de Granvelle.
Di lì il B. si lanciò nella gara con le altre case bancarie, per ottenere dal governatore dei Paesi Bassi i più favorevoli asientos. Furono i Buonvisi di Lione che, nell'estate 1578, misero in relazione il B. con il banchiere di Medina del Campo, Simon Ruiz, che intendeva prendere parte ai proficui asientos stipulati nei Paesi Bassi.
A differenza degli asientos di Spagna, stipulati e rimborsati nella penisola, quelli dei Paesi Bassi venivano conclusi con il governatore di quelle province e rimborsati in Spagna, dopo la ratifica concessa dal Consiglio delle finanze. Il bisogno continuo di danaro che assillava l'amministrazione spagnola delle Fiandre faceva sì che questi contratti presentassero condizioni più favorevoli per i finanzieri, anche se la riluttanza con cui il governo spagnolo si piegava a simili operazioni rendeva spesso difficile la ratifica e aleatoria la rapidità del rimborso. Solo aziende che disponessero di una vasta rete di rappresentanze sulle piazze europee potevano assumere il rischio di tali operazioni. Il B. lavorò sempre in collaborazione con il Ruiz, che si incaricava in Spagna della presentazione dei contratti per la ratifica davanti al Consiglio delle finanze e delle operazioni di rimborso (i crediti venivano assegnati sugli arrivi annui di metalli preziosi dall'America, o, nel peggiore dei casi, sulle entrate dello Stato). La ditta Balbani di Lione, con la sua appendice parigina (appoggiata o no dai Buonvisi), fungeva da cerniera nel sistema di rapporti tra le Fiandre e la Spagna. Dalle Fiandre il B. dirigeva le lettere di cambio sulle compagnie di Lione, di Parigi, o su corrispondenti nelle piazze tedesche (Colonia e Francoforte dapprima, poi le fiere di Besançon), con ordine di rimettere il numerario in moneta pregiata dovunque l'esercito o l'amministrazione spagnola lo richiedessero (in Borgogna, Franca Contea, Brabante, Fiandre).
Le prime trattative che nell'estate 1578 il B. intavolò con il consiglio finanziario di don Giovanni, per ottenere un asiento di 100.000 scudi, furono frustrate dalla concorrenza di altri banchieri spagnoli stabiliti ad Anversa, i Malvenda, che nel frattempo si erano affrettati a concludere a proprio favore un grosso asiento, sovvenendo così ai più urgenti bisogni di danaro del governatore. Dopo la morte di don Giovanni (10 ott. 1578) il B. riprese le trattative con il contador Juan de Navarrete, ed il 17 genn. 1579 concluse a Binche un asiento di 100.000 scudi. La somma doveva essere versata per un terzo a Parigi e per due terzi alla fiera di mezza Quaresima di Francoforte; veniva inoltre concessa licenza di esportare dalla Spagna in numerario un terzo della somma che sarebbe stata rimborsata. Il B. si atteneva ad una procedura corrente in questi negoziati, concedendo ad "amici di corte" varie partecipazioni all'asiento, per un totale di 10.000 scudi; mentre i rimanenti 90.000 scudi venivano ripartiti come segue: 62.600 scudi in parti uguali ai Buonvisi di Lione e a Simon Ruiz, 4.000 scudi ai Lamberti, 5.400 scudi ai Sardini e Nobili, 18.000 scudi alla compagnia "Camillo, Orazio Balbani e C." di Lione. Nell'estate 1579 il B. corrispondeva direttamente con il Ruiz; le sue lettere furono sovente spedite via Parigi, dove i Balbani di quella piazza provvedevano a tradurle in lingua spagnola, idioma poco familiare al Balbani. Il B. veniva di mano in mano avvisando il Ruiz delle tratte dirette sulla Spagna a suo favore; il Ruiz approfittava di lui per offrire i propri servigi al cardinal de Granvelle, il cui appoggio si rivelò utile qualche tempo dopo per la ratifica di un asiento. Verso il luglio 1579 l'atteggiamento dei Buonvisi divenne più freddo nei confronti del B., influenzando in questo senso anche il Ruiz: su parere dei Buonvisi, i Balbani furono esclusi dalla partecipazione ad un asiento di Spagna allora concluso a Madrid. Il B. reagì duramente asserendo - in una lettera scritta da Maastricht ai Sardini e Nobili, e da costoro inviata in visione a Simon Ruiz - che egli sarebbe ben stato capace di far a meno della loro collaborazione. Un nuovo incidente aveva fatto peggiorare i rapporti con il Ruiz: il B. aveva concluso il 25 luglio 1579 un nuovo asiento di 60.000 scudi con Alessandro Farnese. Dovendone pagare immediatamente un terzo, i Balbani di Lione inviarono la lettera di cambio a Simon Ruiz, pregandolo però di dare procura alla ditta Malvenda. I Malvenda, di cui i Balbani ignoravano le relazioni poco cordiali con il Ruiz, non vollero accordarsi. L'asiento d'altronde non fu ratificato dal Consiglio delle finanze. I Balbani, che avevano manifestato l'intenzione di associarsi al consorzio Capponi-Spina-Malvenda, rimasero con il dubbio che l'affare avrebbe avuto un esito più felice se fosse stato invece affidato al Ruiz.
I rapporti non furono tuttavia interrotti, e il Ruiz continuò a corrispondere con i Balbani di Lione. Quando poi, nel febbraio 1580, i Buonvisi conclusero nei Paesi Bassi con il governatore Alessandro Farnese un asiento di 150.000 scudi, ai Balbani fu offerto di partecipare nella proporzione di 20.000 scudi.
Il 31 marzo 1580 il B. concluse a sua volta un asiento con Alessandro Farnese per la somma di 50.000 scudi, di cui un terzo pagabile entro otto giorni e i rimanenti due terzi, secondo l'uso, solo dopo aver ricevuto l'avviso dell'avvenuto rimborso in Spagna. Su ordine del Farnese, il B. provvide subito al pagamento di alcuni funzionari spagnoli - i governatori di Lovanio, Maastricht e Kampen - mettendo il numerario a loro disposizione sulla piazza di Colonia il 27 aprile. D'altra parte, il 1° aprile aveva scritto da Arlon al fratello Matteo a Lione, avvisandolo di aver diretto su di lui, a favore di Giovanni Lastur pagador generale dell'esercito spagnolo, una lettera di cambio di 3.000 scudi d'oro in oro, da pagare a Dole o a Grey in Borgogna, non lontano da Lione. La lettera di cambio, accettata da Matteo a Lione il 25 aprile, venne onorata a Dole l'8 maggio seguente.
Questo asiento incontrò tuttavia un'accoglienza ostile quando il Ruiz lo presentò al Consiglio delle finanze per la ratifica: a Madrid si riteneva che il Farnese fosse già provvisto di fondi a sufficienza. Fu necessario che il cardinal de Granvelle scrivesse personalmente a Filippo II, facendogli presente il danno che la riputazione del Farnese avrebbe sofferto, se il governo spagnolo non avesse voluto onorare le sue lettere di cambio. L'asiento fu accettato in linea di massima, ma l'affare si trascinò per circa un anno. Solamente nell'aprile 1581 il Ruiz ottenne il rimborso di un terzo della somma e, per il restante, assegnazioni sul gettito di alcune imposte, con licenza di esportare il numerario da tutte le frontiere tranne che da quella del Portogallo.
Nel 1581-82 il B. incontrò alcuni insuccessi. Nell'aprile 1581 un asiento di 20.000 scudi fu mal accolto dal Consiglio delle finanze, il quale offrì in rimborso assegnazioni che i Balbani non vollero accettare. Nel dicembre 1581 un asiento di 150.000 scudi ricevette un'accoglienza ancora peggiore, poiché il Farnese era stato nel frattempo direttamente provvisto di fondi. Filippo II fu disposto a rimborsare il terzo della somma, che i Balbani avevano già versato, ma il Consiglio delle finanze si trovò sprovvisto del numerario sufficiente per far fronte al pagamento. I Balbani reclamarono allora il rimborso nei Paesi Bassi: essi d'altronde, avendolo previsto, speravano di trarre qualche beneficio supplementare dall'operazione, grazie al pagamento degli interessi di mora ed alla perdita sul cambio. In questa occasione Filippo II scrisse al Farnese invitandolo a non concludere più alcun asiento. Il B. tuttavia non abbandonò la partita, ben sapendo quanto impotenti erano Filippo II ed il suo Consiglio delle finanze di fronte al problema del finanziamento dei Paesi Bassi.
Infatti nel 1583 il B. riuscì a contrarre una serie di sette asientos,per somme relativamente modeste, che tuttavia, furono tutte, salvo una, prontamente rimborsate in Spagna. Il primo asiento della serie fu firmato dal B. a Tournai il 22 marzo 1583:ammontava alla modesta cifra di 4.822 ducati e fu ratificato il 16 aprile seguente. Il 13 agosto dello stesso anno il B. concluse al campo presso Ypres due asientos: uno per 5.016 ducati, ed uno per 24.000 ducati. Il 17 agosto fu la volta di un altro contratto per l'ammontare di 37.000 scudi. Il 31agosto concluse un piccolo asiento di 4.026 ducati. Questi quattro contratti furono ratificati in Spagna il 23 ottobre seguente. Il 15 dic. 1583 il B. firmò a Tournai un nuovo contratto di 6.445 ducati, ratificato il 15 genn. 1584.Il 31 dic. 1593 concluse con Cosimo Masi, segretario del Farnese, l'ultimo prestito della serie per un ammontare di 64.000 scudi, che fu ratificato il 5 marzo 1584 (il B. si impegnava a far rimettere 30.000 scudi d'oro in pistole a Monluel in Savoia). Le operazioni effettuate nel 1583 ammontavano complessivamente a 101.000 scudi e 44.310 ducati. Solo l'asiento di 37.000 scudi diede luogo a difficoltà per il rimborso. Il 23 ott. 1583 era stato ratificato con l'impegno di assegnarne il rimborso sul prossimo arrivo di argento dall'America, ma, sia che il metallo fosse arrivato in quantità insufficiente, sia che un contrordine avesse arrestato il pagamento, il rimborso fu ritardato fino al maggio 1585, e cioè dopo la morte del Balbani. Secondo il compromesso, cui allora si giunse, la somma, compresi gli interessi decorsi tra l'ottobre 1583 e il gennaio 1585, fu assegnata sul gettito di alcune imposte, che si rivelarono lente e difficili da percepire a causa della carestia che aveva infierito negli anni precedenti. Nel 1584 non fu più possibile concludere asientos nei Paesi Bassi, perché Filippo II aveva provveduto all'invio diretto di fondi nelle Fiandre via Genova-Milano.
L'8 nov. 1584 il B. veniva a morte a Gand. La sua vita di uomo d'affari si concludeva in un momento di incertezze e di stasi che si rivelarono passeggere. Il nuovo corso che egli aveva impresso alla attività del consorzio Balbani negli ultimi anni della sua vita giunse a pieno sviluppo sotto la direzione del figlio Camillo. Qualche giorno dopo la morte del B., Cristoforo, suo figlio, partiva per Namur, per prendere il posto del padre alla corte di Alessandro Farnese, in attesa che Camillo, il secondogenito, giungesse nelle Fiandre per prendere la direzione degli affari.
La figura del B. è un documento esemplare dell'evoluzione che un settore dell'alta classe mercantile delle città italiane subì attraverso il Cinquecento. Egli aveva iniziato la sua carriera come mercante e come patrizio lucchese; finì la vita come grande finanziere della monarchia spagnola e conte dell'impero. A Lucca la sua attività politica fu praticamente nulla, se misurata sullo schema della generazione che lo precedette: quella di suo padre, Francesco Balbani, la cui presenza era stata assidua presso tutti i consigli cittadini, nel periodo in cui il patriziato commerciale e industriale dava la battaglia decisiva per il monopolio del potere politico. Ma nella prima metà del secolo la presenza a Lucca del capo della casata, e quindi la sua partecipazione alla vita politica cittadina, bene si conciliavano con la sua funzione di direttore di una rete di affari a raggio internazionale, che, quando l'industria della seta ed il commercio erano le attività dominanti, faceva capo naturalmente a Lucca. Le cose cambiarono quando la banca e la finanza passarono in prima linea, e questo a partire dagli anni '60-'70; da quel momento il centro animatore degli affari non poteva più trovarsi a Lucca, bensì o in Spagna o nelle Fiandre. Quando il B. divenne capo della famiglia, la politica interna della città era ormai monopolio del patriziato, la politica estera era ormai prudentemente tracciata all'ombra della Spagna, gli affari infine richiedevano la sua presenza alla corte dei Paesi Bassi.
Anche il fratello del B., Matteo, prezioso sostegno della compagnia lionese, non poté far ritorno a Lucca, come tradizionalmente in altri tempi avrebbe potuto fare un mercante affermato che avesse raggiunto l'età matura; fino alla più tarda età la sua presenza fu richiesta a Lione, dove egli fu uno dei finanzieri ed emissari spagnoli più in vista, partigiano della Lega durante la guerra contro Enrico IV, ed incaricato del correo major, ossia del servizio postale per il governo spagnolo. E fu a Lione, e non a Lucca, che Matteo Balbani esplicò quell'attività di mecenate che lo rese noto al mondo dei letterati.
Per uomini come il B., Lucca era la possibilità di un rifugio alle spalle, all'ombra di un solido patrimonio terriero. Certo, nel settore degli investimenti, i Balbani si distinsero forse da molti dei loro concittadini, per una maggiore audacia, continuando a tenere i loro capitali nella circolazione degli affari. Gli estimi lucchesi di fine secolo mostrano che essi non tenevano il primo posto tra i proprietari terrieri lucchesi. E la loro stessa audacia fu forse responsabile del declino della famiglia fin dai primi anni del Seicento.
Dal matrimonio con Bianca di Giovanni Bernardini il B. ebbe tredici figli: Francesco era nato a Lucca (1546-1596); ad Anversa, Camillo (1548-1587), Pompeo nel 1550, Tommaso nel 1551, Fabrizio nel 1552 (egli fu canonico della cattedrale di Lucca e morì dopo il 1595), Carlo nel 1553, Chiara nel 1555, Cristoforo (1557-1610), Fernando nel 1559, Laura nel 1561 e Giulia nel 1563; a Lucca nacquero Luigi nel 1566 e Giovanni nel 1569.
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