CERCLARIA (Cerclara, Cerchiari, Circlaria, Zerclaere), Tommasino (Thomasin) di
Il C. è l'autore di un ampio trattato di morale in versi, scritto tra il 1215 e il 1216 in alto tedesco medio con il titolo Der welsche Gast.
Le poche notizie relative alla sua biografia si desumono quasi esclusivamente dalla sua opera. Era originario del Friuli e apparteneva probabilmente a una famiglia patrizia cividalese di origine mercantile, ricordata in vari documenti tra la fine del sec. XII e l'inizio del XIII. È noto soprattutto un Bernardus de Circlaria, miles, che troviamo impegnato tra l'altro in attività armatoriali a Venezia, ma non è possibile stabilire i suoi rapporti di parentela con il Cerclaria.
Il C. dev'essere nato non molto dopo il 1185: nel 1215 infatti, mentre lavorava alla seconda parte del suo trattato, dichiarò di non avere ancora compiuto i trent'anni. Destinato, a quel che sembra, alla carriera ecclesiastica, iniziò gli studi probabilmente presso la scuola del duomo della sua città natale o presso quella analoga di Aquileia, dove fu introdotto nelle artes e nella teologia. Èpoco probabile che in seguito abbia frequentato un'università. Intorno al 1200 soggiornò presso una corte non meglio identificata dell'Italia settentrionale e a questo periodo risale un suo piccolo trattato sulla cortesia, scritto in lingua provenzale, che non ci è pervenuto, ma che il C. più tardi rifuse nel primo libro del Welsche Gast. Si trattava probabilmente di un ensenhamen, cioè di un poema didascalico del tipo tanto diffuso nella letteratura provenzale dell'epoca.
Nell'autunno del 1209 il C. afferma di essersi trovato per otto settimane al seguito di Ottone IV. È molto probabile che in quest'occasione facesse parte dell'entourage del patriarca d'Aquileia Wolfger che aveva agito come legato del re in Italia e in seguito lo accompagnò a Roma. Forse il C. era allora impegnato nella sua cancelleria. In seguito deve aver ottenuto un canonicato ad Aquileia. Due documenti confortano questa ipotesi: un atto della fine del 1216 nomina tra i testimoni un Tommasino canonico di Aquileia, mentre il necrologio della Chiesa di Aquileia ricorda espressamente la morte di un Thomasinus de Cerclara, che sicuramente va identificato con l'autore del Welsche Gast. Visto che l'annotazione del necrologio non è datata, non conosciamo la data della morte del Cerclaria. La supposizione che fosse morto nel 1235 non è comprovata dai documenti.
Il C. dev'essersi formato intellettualmente proprio alla corte di Wolfger, il quale, dopo esser stato vescovo di Passavia dal 1191 al 1204, resse il patriarcato dal 1204 al 1218. Questo prelato, discendente di una nobile famiglia bavarese, ebbe una parte non trascurabile nella vita politica del tempo (sostenitore della dinastia sveva, si era distinto tra l'altro come mediatore nel conflitto tra Innocenzo III e Filippo di Svevia), ma è noto soprattutto per la sua opera di mecenate. Aveva fatto della sua residenza di Passavia un centro culturale di prim'ordine, punto di richiamo per i letterati del tempo, dove tra l'altro aveva ospitato Walther von der Vogelweide, uno dei maggiori esponenti del Minnesang. In Italia strinse rapporti d'amicizia con Boncompagno da Signa, il grande dettatore bolognese. Si comprende quindi che il C., che era venuto a contatto con questo ambiente letterario ricco di stimoli, ma di impronta essenzialmente tedesca, sia passato, per la sua opera, dalla lingua provenzale degli inizi della sua carriera a quella tedesca. Si procurò una buona conoscenza della fiorentissima letteratura tedesca dell'epoca. Dalla sua opera risulta che conosceva il Parzival di Wolfram von Eschenbach e le canzoni politiche di Walther von der Vogelweide di cui cita espressamente l'invettiva contro Innocenzo III respingendo violentemente le accuse ivi espresse contro il pontefice. Ma si presume che le sue conoscenze letterarie non si siano limitate a questi testi.
Il C. stesso affronta nella sua opera questo problema linguistico. Sebbene sappia scrivere in welsch, cioè in una lingua romanza, non vuole frammischiare parole welsch nel suo testo. Riconosce di non dominare completamente la lingua tedesca e chiede indulgenza ai suoi lettori (v. 67), sperando che i paesi tedeschi accolgano nel modo migliore il "welsche Gast", cioè l'ospite del sud (v. 89). "La mia opera si intitola Der welsche Gast, perché sono un ospite nella lingua tedesca" (v. 14.681).
Il C. scrisse la sua opera nel giro di poco meno di un anno tra il 1215 e il 1216.
Un accenno alla fine dell'ottava parte permette di stabilire con esattezza la data della composizione. Il C., lanciando un appello per la crociata ai cavalieri tedeschi, ai principi dell'Impero e al re Federico II, dice che sono passati già ventotto anni da quando il sepolcro di Cristo cadde nelle mani degli infedeli (v. 11.715). Dato che Gerusalemme fu conquistata dal sultano Saladino nell'ottobre del 1187, si può dedurre che egli lavorasse all'ottava parte della sua opera nell'ultimo quarto del 1215. Poco più avanti, all'inizio della nona parte, la penna, stanca del lavoro, si lamenta con l'autore il quale le risponde: "In otto mesi ho scritto otto parti e aggiungerò altre due; devi restare sveglia ancora per altri due mesi" (v. 12.278). Il che lascia pensare che il C. cominciasse la redazione nella primavera del 1215 circa e pensasse di concluderla verso il gennaio del 1216.
Il Welsche Gast, secondo le intenzioni del suo autore, vuol essere un trattato di morale destinato agli uomini e alle donne dei ceti superiori, e solo la prima parte si presenta ancora come un trattato più sulla cortesia dominata dalla Minne che sulle virtù, che rispecchia le prime esperienze letterarie del C. ripudiate in seguito.
Questa prima parte è dedicata ai giovani, i soli cui si addica la lettura delle aventiure cioè delle epopee e dei romanzi cavallereschi. Ma questa "larghezza" di vedute viene respinta ben presto. Lo stesso re Artù, proposto come modello ai giovani in questa prima parte, nella terza viene relegato all'inferno. Nella seconda parte vengono esposte le regole di comportamento per i principi e i signori, la cui virtù principale è la costanza interiore ed esteriore ("staete"). Il suo opposto, l'incostanza ("unstaete"), è trattata nella terza parte: tra tutte le creature solo l'uomo non riesce a rispettare l'ordine delle cose creato da Dio. Nessuno vuole rimanere nel posto in cui si trova, l'ideale del C. è uno stato di equilibrio, dove solo la grazia di Dio garantisce stima e benessere. La misura morale è l'azione giusta, e solo chi rispetta questa regola si comporta in modo "cortese". Decisiva per la "cortesia" non è solo la nobiltà di nascita, ma la nobiltà dei sentimenti e delle virtù. Nella quarta parte il C. cerca di dare una risposta al problema perché gli uomini amano tanto l'incostanza: soprattutto perché è più comoda. Nella quinta parte il C. descrive i modi e i gradi del bene e del male e, secondo l'esempio della Bibbia, le vie larghe e strette che conducono alla beatitudine. La sesta parte contiene regole per la vera cavalleria sulla strada verso il bene. La settima parte tratta del rapporto tra corpo e anima, ma poi l'autore passa improvvisamente ad un altro tema, le forze spirituali dell'uomo: imaginatio, ratio, memoria, e intellectus, di cui vengono descritti i rapporti con la physica e la divinitas (teologia). L'ottava parte si distingue per i numerosi riferimenti a fatti di attualità. Tematicamente il C. si riallaccia alla sesta parte, discorrendo di ciò che attiene ai difetti e alle virtù. Sviluppa la seguente tesi: il mondo è pieno di conflitti perché nessuno vuol riconoscere un'autorità suprema, come è realizzata nel Papato. Nella nona parte il C. tratta del diritto e della giustizia, mentre la decima parte si occupa della generosità (liberalitas, Milte) e del suo contrario, l'avidità. L'ultimo tema che il C. affronta è il vero dono. Solo il dono dato volentieri è durevole e garantisce l'amicizia. In questo senso anche il Welsche Gast è un dono dell'amicizia.
Come si vede il C. offre un'etica per le donne e gli uomini della nobiltà, per i signori, i cavalieri e i preti. Il suo scopo è forse quello di offrire ai ceti nobili delle regole particolari di comportamento capaci di distinguerli da altri ceti in ascesa, come ad esempio i ministeriali.
L'opera del C., la prima del suo tipo scritta in lingua tedesca, ebbe una vasta diffusione come si desume dai numerosi manoscritti e frammenti conservati (ventitré), il più antico dei quali data del secolo XIII (cod. Pal. Germ. 389 di Heidelberg, sul quale si basa l'edizione di Rückert). Tredici di questi manoscritti sono miniati, in altri sono lasciati spazi liberi, il che lascia pensare che si pensasse di riempirli con illustrazioni. Un manoscritto contiene ben centotredici miniature. In genere vengono illustrati singoli passi, ripetuti in calce o su banderuole. La somiglianza delle illustrazioni nei vari manoscritti quanto alla scelta dei passi e alla disposizione delle figure e degli oggetti fa presumere che tutte le illustrazioni derivino da un unico originale risalente alla prima metà del sec. XIII. La grande diffusione dell'opera del C. quale risulta dalla tradizione manoscritta indica l'interesse che il libro suscitava tra i lettori. Il Welsche Gast è citato ancora in una redazione trecentesca della traduzione dei Disticha Catonis e nell'Ehrenbrief diPüterich von Reichertshausen del 1492.
L'opera del C. fu edita con il titolo Der Wälsche Gast des Thomasin von Zirclaria, a cura di H. Rückert, Quedlinburg-Leipzig 1852, e ristampata con un'introduzione di F. Neumann, Berlin 1965.
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