TOMASI, Tomaso
TOMASI, Tomaso. – Nacque a Pesaro il 5 ottobre 1608 da Francesco Maria e da Eleonora Albani, entrambi di ragguardevoli famiglie.
Fanciullo, fu al servizio come paggio di Federico Ubaldo Della Rovere e Claudia de’ Medici. Avviatosi alla carriera ecclesiastica si applicò a studi filosofici e, secondo un’anonima biografia (Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 1146, f. 12), discusse a tredici anni conclusioni di logica. Trasferitosi a Roma seguì studi teologici; sostenne pubbliche conclusioni alla presenza del cardinale Giovan Battista Panfili, futuro Innocenzo X, e conseguì infine alla Sapienza la laurea in filosofia e teologia.
Già appartenente ai chierici regolari minori (come si firma nei manoscritti che raccolgono inediti scritti encomiastici per i Barberini e le dediche di Saggi rettorici; Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 1146, ff. 2 e 5), intorno al 1638 passò all’Ordine dei crociferi, come appare nel frontespizio della prima opera a stampa, I gigli sempre fioriti (Roma 1638), discorso per la nascita del delfino di Francia (il futuro Luigi XIV).
Mosso da aspirazioni letterarie lasciò Roma per Venezia, dove fu accolto nell’Accademia degli Incogniti con il nome di Inquieto. La biografia che si legge nelle Glorie degli Incogniti (Venezia 1647, pp. 416-419) elenca le opere fino ad allora date alle stampe: la commedia morale Il contrasto dei genii, dedicata al fondatore dell’Accademia, Giovan Francesco Loredano (Venezia 1640), Il giardino di Atlante (Venezia 1641), Il principe studioso (Venezia 1642), Le antiche istorie del nuovo mondo (Roma 1643).
La commedia, in prosa, mette in scena la contesa tra genio cattivo (sensi) e genio buono (ragione) per guadagnare l’animo di due giovani innamorati. Il principe studioso, dedicato al granduca di Toscana Ferdinando II e alla moglie Vittoria Della Rovere, propone un modello educativo e un ordo studiorum per il figlio (futuro Cosimo III) appena nato. Il giardino d’Atlante, dedicato al cardinale Carlo de’ Medici, contiene un racconto (Istorie dell’Atlante e dell’Atlantide) ambientato nella mitica Atlantide, sulla scorta del Timeo e del Crizia platonici, parzialmente tradotti e quindi integrati con una vicenda romanzesca di amore e di contrasti politici. Precede un panegirico di Carlo de’ Medici e seguono minori scritti accademici (discorsi, quesiti, cartelli) conclusi con la riproposta dei Gigli sempre fioriti. Il giardino di Atlante ha un’emblematica vicenda editoriale: due anni più tardi riapparve, con il titolo Le antiche istorie del nuovo mondo, in un’edizione raffazzonata che di nuovo ha soltanto frontespizio e dedica (questa volta al cardinale Francesco Barberini) e che per il resto utilizza fogli della precedente edizione, producendo un monstrum bibliografico (salti nella numerazione delle pagine e nella successione delle segnature). Ancora più tardi la sola vicenda romanzesca, privata dei preamboli ‘platonici’, è ristampata come La Spinalba (Roma 1643), dal nome della protagonista, e di nuovo, per iniziativa di Loredano (cfr. G.F. Loredano, Lettere, Venezia 1653, p. 327) come La Spinalba. Antica storia del Nuovo Mondo (Venezia 1647).
Tomasi contribuì alle Novelle amorose dei signori Accademici Incogniti (Venezia 1641, pp. 98-118) con una storia di amore, dissolutezza, magia e ragion di Stato, ambientata in Oriente, ma che adombra le vicende di Federico Ubaldo Della Rovere e, insieme, del calabrese Marco Tullio Catizone, che si era spacciato per il re Sebastiano di Portogallo, scomparso in battaglia nel 1578, suscitando un intricato caso internazionale e finendo impiccato nel 1603. Tomasi tocca qui un tema che sarebbe rimasto costante nella sua riflessione sulla storiografia: l’occultamento politico della verità e la difficoltà del suo riconoscimento.
Tomasi giocò anche altre carte, come si evince dalla pluralità delle dediche ai Medici (che rappresentavano, attraverso Vittoria Della Rovere, la continuità con l’originario servizio alla corte roveresca) e ai Barberini. Una decisa mossa verso questi ultimi compì intervenendo nella polemica sulla guerra di Castro con l’Antibacinata overo apologia per la mossa dell’armi di N.S. Papa Urbano VIII contra Parma (Macerata [1642]), pubblicata sotto il falso nome di Leopardo Leopardi, in risposta alla Baccinata (nella stamperia di Pasquino a spese di Marforio, 1642) di Ferrante Pallavicino, emblematico rappresentante dello spirito libertino dell’Accademia. Non mancano sospetti che Tomasi intrattenesse rapporti con il nunzio Francesco Vitelli, aspramente attaccato da Pallavicino, né è noto quando poté essere riconosciuto come vero autore dell’Antibacinata (è noto ad Angelico Aprosio nella Visiera alzata, Parma 1689, p. 90); certo nacquero dissapori con Loredano, che cercò di appianarli più tardi quando patrocinò la stampa della Spinalba. Intanto Tomasi, forse anche grazie alle benemerenze acquisite con l’Antibacinata, si era trasferito a Roma per coprire la cattedra di logica alla Sapienza; ascritto all’Accademia degli Intrecciati vi recitò discorsi nelle adunanze dell’Epifania del 1645 e del 1649 e celebrò il nuovo papa con la lettera panegirica della Esaltazione di papa Innocenzio X (Roma 1644). Ma durante la permanenza a Roma si affacciarono anche l’ansia della scrittura e l’incertezza davanti alla stampa, alla quale aveva prima di allora affidato i suoi scritti con disinvolta improntitudine. Nacquero così Gli ultimi tratti di una penna che muore, fatti conoscere da Luigi Fassò sulla base del manoscritto della Biblioteca nazionale di Firenze (Magl. VI.42) e ora editi dal più completo ms. della Biblioteca Oliveriana (1146, f. 4).
Si tratta di un dialogo in cui l’autore comunica alla sua penna l’intenzione di farla tacere per sempre, nell’impossibilità di esercitare la scrittura con serietà, con decoro e, non ultimi, riconoscimenti e profitto. Tomasi ripercorre la propria ambizione di storiografo, rimarcando l’impossibilità di attingere alla verità nei confronti della storia contemporanea, impenetrabile nei suoi segreti a chi non ne sia protagonista, falsificata per interessi personali da chi ne conosca gli arcana, perseguitata anche se esposta sotto travestimento romanzesco, secondo il modello dell’Argenis di John Barclay: di qui l’abbandono del progetto di un romanzo a chiave sulle vicende della guerra di Castro, Gli amori convertiti in isdegni overo Deidama combattuta (v. l’inizio nel ms. Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 1146, f. 9). Restava l’alternativa della storia del passato, e Tomasi pensò alle Istorie della Moscovia (v. la dedica a Vittoria Della Rovere, ibid., f. 7), abbandonate in seguito alla stampa, sullo stesso soggetto, del Demetrio moscovita di Maiolino Bisaccioni (Roma 1643), e alla Vita del duca Valentino, di cui era già composta, intorno al 1650, la prima parte, inviata a Luigi XIV tramite il cardinal Mazzarino e accolta con favore; ma anch’essa, nonostante così potenti protezioni, fu condannata all’abbandono nella generale sfiducia per il lavoro letterario.
In realtà la rinuncia a pubblicare i propri scritti fu di lì a poco disattesa con un gruppetto di discorsi politici dedicati al sostegno della monarchia papale, L’idea della monarchia (Roma 1653) dedicata al cardinale Fabio Chigi e presto aggiornata con un nuovo frontespizio per rioffrirla a Chigi divenuto papa (L’idee, Roma 1655; vi sono aggiunti i due discorsi recitati nell’Accademia degli Intrecciati e uno nell’Accademia degli Eterocliti di Pesaro). Ma, soprattutto, Tomasi riprese la stesura della Vita del duca Valentino, completandola e pubblicandola con il sostegno della granduchessa Vittoria Della Rovere, a cui fu dedicata, con false note di stampa (1655).
L’opera è frutto di un serio impegno storiografico, ma la divulgazione a stampa di episodi non certo edificanti della recente storia della chiesa (il Valentino è presentato come «mostro di ferità [...] parto d’illegittimo congiungimento», p. 1) non poteva essere tollerata dal pontefice regnante. Posta all’Indice, l’opera fu invece accolta da ambienti antipapali, ristampata con accrescimenti da Gregorio Leti (1670) e tradotta in francese (1671); fu così a lungo ritenuta opera di Leti, finché Luigi Fassò non la rivendicò al suo vero autore. Un documento pesarese dà notizia di una udienza papale in cui Tomasi, redarguito per la sua imprudenza, se ne dichiarò pentito; e, a emenda, si accinse a una Vita di Flavio Costantino, esplicita palinodia dell’opera sul Valentino («Qui non soggiornano i Valentini, ma i Costantini»: Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 1146, f. 1).
Ma la morte lo colse il 14 luglio 1658, appena tornato a Pesaro, quando aveva messo in pulito la prima parte del Costantino, per offrirla in saggio al papa.
Opere. Si leggono in edizione moderna: Vita di Cesare Borgia detto il Valentino, a cura di M. Fabi, Milano 1853 (attribuita a Leti); Il principe studioso, a cura di M.B. Pagliara, Lecce 2002; Gli ultimi tratti d’una penna che muore, a cura di M. Gabucci, Firenze 2011; Vita del duca Valentino, con le addizioni di Gregorio Leti, a cura di D. Romei, 2017 (e-book, print on demand: https://www.lulu.com/).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato, filze 6145, 6154, 6155, 6171, 6172 (corrispondenza con Vittoria Della Rovere); Pesaro, Biblioteca Oliveriana, 1146 e 1147 (autografi di inediti e opere incompiute), 1064, II: D. Bonamini, Memorie degli scrittori pesaresi, cc. 141r-145v.
Fasti dell’Accademia degl’Intrecciati, Roma 1673, pp. 12, 31; L. Fassò, Le disavventure postume d’uno storico del Seicento e un suo manoscritto inedito, in Rivista delle biblioteche e degli archivi, I (1923), pp. 42-79; Id., Avventurieri della penna del Seicento, Firenze 1924, pp. 319-349; S. Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, Firenze 1973, pp. 34-36; G. Spini, Ricerca dei libertini, Firenze 1983, pp. 151-153; C. Varese, Scena, linguaggio e ideologia dal Seicento al Settecento, Roma 1985, pp. 93-96; G. Arbizzoni, La verità e il disinganno: editi e inediti di T. T., in Studi per Eliana Cardone, a cura di G. Arbizzoni - M. Bruscia, Urbino 1989, pp. 43-75 (con descrizione dei mss. pesaresi); D. Conrieri, Una novella a doppia chiave storica, in Narrazione e storia tra Italia e Spagna nel Seicento, a cura di C. Carminati - V. Nider, Trento 2007, pp. 425-450; G. Arbizzoni, L’attività letteraria tra Barocco e Illuminismo, in Pesaro dalla devoluzione all’illuminismo, Venezia 2009, pp. 14-18; J.-F. Lattarico, De l’invective à l’apologie. L’antibacinata de T. T. (1642), in Papes et papauté: respect et contestation d’une autorité bifrons, a cura di A. Morini, Saint-Ètienne 2013 (e-book).