IRIARTE, Tomás de
Letterato spagnolo, nato a Orotava (Tenerife) il 18 settembre 1750, morto a Madrid il 17 settembre 1791. I caratteri specifici della sua cultura, orientata subito verso le forme chiare e razionali della letteratura francese contemporanea, traggono origine dall'educazione che gl'impartì, non appena giunto a Madrid (1764), lo zio bibliotecario Don Juan, e spiegano l'azione pertinacemente svolta da lui contro il teatro nazionale in favore delle commedie del Destouches, del Voltaire, del Molière e di altri, che egli tradusse, trasformò, adattò alle scene spagnole (1769-72). Non ebbe successo la sua commedia Hacer que hacemos (1770), che s'attiene a quei modelli; pure gli valse il posto di traduttore nella segreteria di stato (1771), e l'incarico di dirigere El Mercurio histórico y político (1772). Sempre in sostegno di una radicale trasformazione del teatro, accettando nel loro assoluto rigore le regole pseudoaristoteliche, egli compose la satira Los literatos en cuaresma (Madrid 1773), e, fedele al suo concetto di un'arte docente, tradusse in versi senza nervo e prosasticamente diluiti, la Poetica di Orazio (1777). Alle critiche che gliene vennero, specialmente da parte di Lopez de Sedano, rispose col dialogo Donde las dan las toman (1778). Nel 1780, pubblicato a spese dello stato per volontà del Floridablanca, uscì il poemetto in cinque canti La Música di carattere didascalico, essenzialmente tecnico per l'arte del violino, con generali considerazioni sull'efficacia della musica nel suscitare gli affetti. Poeticamente è povera cosa, ma ebbe le lodi del Metastasio e l'onore di varie traduzioni. (trad. ital. di A. Garzia, Venezia 1789; di G. C. Ghisi, Firenze 1868).
Ma la fama dell'I. è tuttavia essenzialmente legata alle Fábulas literarias (Madrid 1782), via via aumentate di numero, in tutto settantasei, che formano nel loro complesso un trattato di educazione letteraria, più critico e satirico che costruttivo, inteso a mettere festosamente in rilievo i difetti più appariscenti nelle opere di quel tempo, in nome delle norme comuni del buon senso, della moralità e del buon costume. È poesia lieve, che si adagia senza sforzo e con uno stile semplice, quasi senza pretese, in libere forme metriche varie d'intonazione e di misura, assecondando il mobile giuoco della rappresentazione fantastica e chiudendosi in sentenze energiche e ingegnose. Le Fábulas, dove non mancano allusioni a Ramón de la Cruz, al Meléndez Valdés e ad altri letterati, furono criticate dal Forner (El asno erudito, 1782) cui l'I. rispose con Para casos tales (Madrid 1782). Ormai capo del movimento neoclassico francese, che cominciava a produrre opere originali, l'I. scrisse le commedie: El señorito mimado (1783) e La señorita mal criada (1785), contro la falsa educazione che lasciava la gioventù ai proprî istinti di egoismo e di orgoglio; rappresentò la donna perfetta in El don de gentes (1790), e, come esempio di ripresa dei temi nazionali, diede Guzmán el Bueno (1791), monologo con intermezzi musicali. Così tutta l'opera dell'I., che si mantiene nei termini medî di una discreta cultura e di un certo buon gusto, resta a illuminare l'orizzonte letterario che s'incurvava sulla Spagna del sec. XVIII.
Ediz.: Obras de I. en verso y en prosa, Madrid 1805, voll. 8; Poesías inéditas, ed. R. Foulché-Delbosc, in Revue Hispanique, II (1895), p. 70 segg.; Poesías, in Bibl. Aut. Esp., LXIII; Fábulas literarias, ed. J. Fitzmaurice-Kelly, Oxford 1917.
Bibl.: E. Cotarelo y Mori, I. y su época, Madrid 1897; L. A. de Cueto, Historia critica de la poesia castellana, Madrid 1893, I, p. 461 segg.