TINIA (Tin, Tina)
Denominazione, attestata soltanto nelle fonti etrusche, della divinità suprema del pantheon etrusco, che per alcuni caratteri cultuali, religiosi, iconografici si avvicina allo Zeus dei Greci e al Giove dei Romani (v. s. v.).
T. occupa tre delle sedici sezioni in cui è diviso il cielo (Mart. Cap., i, 45 ss.). Le divinità etrusche che lanciano fulmini sono nove, ma i generi dei fulmini sono undici; T. ne lancia di tre generi (Plin., Nat. hist., ii, 52, 138): uno di sua iniziativa, che serve ad ammonire e non genera danni; uno dopo aver consultato i dodici dei consentes, più potente del primo e pericoloso; un terzo dopo aver consultato gli dei superiores et involuti, più potente degli altri due ed effettivamente dannoso (Sen., Quaest. Nat., ii, 41). Nella documentazione figurata uno degli attributi specifici del dio è il fulmine. Sul fegato bronzeo di Piacenza, la posizione di T., che ritorna quattro volte, è di primaria importanza rispetto a quella delle altre divinità. In terra è fautore e custode della divisione dei campi e dei confini: chi li viola è punito da T. con ogni sorta di intemperie (Grom. Vet., ed. Lachm., p. 350 s.).
Gli studiosi moderni gli hanno attribuito il posto d'onore nella triade composta da T., Uni e Menrva, una triade che è stata considerata d'importanza capitale nella religione etrusca, ma di cui non esiste, almeno finora, una menzione esplicita. Di un culto a T. in diverse località è testimonianza in epigrafi etrusche votive, la cui provenienza da aree sacre è assicurata soltanto in alcuni casi: Orvieto (M. Pallottino, Test. Ling. Etr., 258, 259, 270; A. Torp, Etr. Beiträge, Christiania 1906, n. 6); Bolsena (M. Pallottino, op., cit. 205); agro di Ferento (id., op. cit., 277); Capua (A. Torp, op. cit., p. 21, n. 5); Feltre (M. Pallottino, op. cit.; 718). Nel testo del liber linteus della Mummia di Zagabria, che contiene un calendario di feste religiose, il nome del dio ricorre spesso; nell'iscrizione del Piombo di Magliano una sola volta.
Non è possibile precisare quando sia cominciato il culto di T. in Etruria. Il parallelismo con lo Zeus dei Greci e col Giove dei Romani sembra provato dal carattere celeste e supremo di T. e, inoltre, dall'attributo del fulmine. Non solo, ma un'iscrizione incisa su una tazza di Oltos, a Tarquinia, prova, almeno per la fine del VI sec. a Tarquinia, il culto dei Dioscuri, chiamati appunto Tinas cliniiar ("figli di Tin") = gr. Διὸς κοῦροι. Il che comporta non solo l'esistenza del culto di T., ma un livellamento delle esperienze religiose etrusche con quelle greche.
Per l'aspetto iconografico si dispone di fonti figurate e letterarie. Queste ultime riguardano l'immagine di culto del tempio di Giove Capitolino a Roma, la quale, per essere un'opera del coroplasta Vulca di Veio, può fornire un'idea indiretta, ma sempre indicativa dell'iconografia del dio nell'Etruria meridionale alla fine del VI sec. (v. giove). La descrizione corrisponde all'incirca all'iconografia del dio sulla lamina da Castel S. Mariano, con gigantomachia. Dati gli attributi, si può pensare che il tipo si attiene a quello dello Zeus affermato nella ceramica greca della fine del VI secolo.
Nel V sec. il dio comincia ad essere riprodotto nei bronzetti. Si tratta in genere di un tipo stante, variamente panneggiato, ma definito piuttosto chiaramente da alcuni attributi: il fulmine in mano, una corona intorno alla testa. Nella ceramica a figure rosse e negli specchi incisi T. compare sia in raffigurazioni mitologiche sia in raffigurazioni isolate. Il tipo generale è, per lo più, quello affermato nella ceramica a figure rosse greca e italiota: seduto in trono, barbato, avvolto in ampio panneggio, distinto dalla corona sul capo e dallo scettro nelle mani.
Interessante è il fatto che, accanto al tipo barbato ed imponente, c'è fra gli specchi e i bronzetti un altro, sbarbato e giovanile, che si riesce a definire grazie all'iscrizione e agli attributi del fulmine e dello scettro (Gerhard, op. cit., lxxiv, lxxv, ccxxxii, cclxxxv A, cccxlvi, v, 98, 1; per i bronzetti se ne veda uno al museo di Cortona: A. Neppi Modona, Cortona etrusca e romana, tav. xx a) e che sembra appartenere ad una iconografia italica (v. anche giove).
Bibl.: Opere d'insieme con l'elenco dei monumenti e dei passi degli autori: G. Wissowa, in Roscher, II, 1899-94, c. 626 ss., s. v. Iuppiter; C. Pauli, ibid., V, 1916-24, c. 967 ss., s. v.; P. Perdrizet, in Dict. Ant., III, p. 708; E. Fiesel, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 1387 ss. Sulla divinità in particolare: C. Thulin, Die Etruskische Disciplin, Göteborg 1905-06; A. B. Cook, Zeus, Cambridge 1914-1940; L. Ross Taylor, Local Cults in Etruria, Roma 1923, pp. 161 s.; 239 ss.; R. Pettazzoni, La divinità suprema della religione etrusca, in Studi e Materiali di Storia delle Religioni, IV, 1928, p. 207 ss.; M. Hammarström, Der Name der Dioskuren im Etruskischen, in st. Etr., V, 1931, p. 363 ss.; C. Clemen, Die Religion der Etrusker, Bonn 1936, p. 21 ss.; L. Banti, Il culto del cosiddetto "Tempio dell'Apollo" a Veio e il problema delle triadi etrusco-italiche, in St. Etr., XVII, 1943, p. 187 ss.; J. D. Beazley, Etr. Vase-Paint., Oxford 1947, p. 316 (General Index, s. v. Zeus); M. Pallottino, La Scuola di Vulca, Roma 1948; A. Grenier, Les Religions étrusque et romaine, Parigi 1948, p. 34 ss.; R. Herbig, Zur Religion und Religiosität der Etrusker, in Historia, VI, 1957, p. 123 ss. Per le divinità del fegato di Piacenza e le questioni connesse: M. Pallottino, Sedes Deorum, in Studi in onore di A. Calderini e R. Paribeni, Milano 1956, p. 223 ss. (con tutta la bibliografia precedente sull'argomento). Per le iscrizioni etrusche: A. Torp, Etrusksiche Beiträge, Christiania 1906, p. 21; M. Pallottino, Testimonia Linguae Etruscae, Firenze 1954, p. 168 (Index verborum).