TIMOMACHOS (Τιμόμαχος, Timomachus)
Pittore greco di Bisanzio, attivo probabilmente nella prima metà del I sec. a. C.
È il primo grande pittore ricordato da Plinio dopo la vasta lacuna nella storia della pittura ellenistica, con un numeroso elenco di opere (Plin., Nat. hist., xxxv, 136), ed è noto anche da citazioni di Plutarco, dei Filostrati, di Ausonio e da alcuni epigrammi. Plinio assegna l'attività del pittore all'età di Cesare, il quale "restituendo l'antica dignità all'arte della pittura", aveva dedicato l'Aiace e la Medea di T. davanti al tempio di Venere Genitrice, dopo averli acquistati, non si sa in quale città della Grecia o dell'Asia, per 8o talenti (Plin., Nat. hist., vii, 126; xxxv, 26). Uno dei quadri, la Medea, era rimasto incompiuto, e pertanto si dovrebbe porre la morte dell'artista attorno alla metà del I sec. a. C. (Plin., Nat. hist., xxxv, 145). La critica moderna è però divisa tra l'accettazione della cronologia pliniana (Robert, Klein, Rodenwaldt, Pfuhl, Rumpf) e la proposta di una generica datazione in età ellenistica o nel pieno IV sec. a. C. (Welcker, Brunn, Sellers, Kalkmann, Furtwängler). La questione, riassunta dal Ferri e dalla Simon, è nata dalla possibile identificazione della Medea e dell'Aiace con i due quadri dello stesso soggetto che erano già famosi a Cizico attorno al 70 a. C., quando li ricorda Cicerone, senza il nome dell'autore (Cic., in Verr., iv, 6o, 135): se la Medea di Cizico è quella incompiuta comprata da Cesare, viene compromessa la cronologia pliniana, ed ogni altra ipotesi è possibile poiché la ricostruzione della Medea e dell'Aiace nella superstite tradizione iconografica porta ad originali del IV sec. a. C. (v. aiace; medea). Plinio dà notizia però di un altro acquisto da parte di Agrippa a Cizico, di due quadri con Aiace e Venere (Medea?), che potrebbero essere quelli ricordati da Cicerone, e pertanto la contraddizione tra le fonti non è insanabile. È certo tuttavia che ponendo T. all'età di Cesare, se ne diminuisce la portata d'innovatore, almeno a proposito di questi soggetti, e si resta incerti sulla pertinenza della numerosa letteratura ecfrastica a proposito della Medea (Plut., De audiend. poet., 3; Lucil. iun., Aetn., 594; Lucian., De domo, 31; Anth. Gr., ed. H. Beckby, Monaco 1957) ix, 345 s.; xvi, 135-40; 343; Auson., Epigr., 129, 130) e dell'Aiace (Anth. Gr., xvi, 83; Flav. Philostr., Vita Apollon. Tyan., ii, 22), opere ricordate insieme anche da Ovidio (Trist., ii, 525). Il desiderio di integrare le descrizioni delle fonti con le pitture campane aveva infatti già tratto in contraddizione il Wickhoff, che vedeva in T. una volta l'esponente della reazione "antipergamena" e altra volta l'autore di una "ricerca psicologica nelle sue più intensamente drammatiche espressioni"; ma è superficiale dedurre da queste aporie l'impossibilità di servirsi delle pitture con la Medea per una qualunque restituzione filologica (Ragghianti).
Anche per l'Oreste, che è certamente tutt'uno con l'Ifigenia in Tauride, il soggetto ha un'iconografia di lontana ascendenza, che potrebbe risalire a un quadro celebrativo della vittoria di Euripide (Plin., Nat. hist., xxxv, 136; Anth. Gr., iv, 183, 306); tra le testimonianze più tarde, la pittura della Casa del Citarista a Pompei, offre con la scena di Oreste e Pilade condotti da Ifigenia a Thoas, un probabile riferimento per il quadro di T. (v. ifigenia). Un'eco della Gorgone, ritenuta il capolavoro di T. (praecipue tamen ars ei favisse in Gorgone visa est, Pli n., loc. cit.), si potrebbe cogliere nel tipo con tratti squisitamente femminili e gli occhi chiusi, che presuppone un originale pittorico dell'ultimo ellenismo, noto dal modello di gesso di Hildesheim proveniente dall'Egitto (v. gorgone, fig. 1259). Delle altre pitture ricordate da Plinio, un ritratto di Lekythion, giocoliere (agilitatis exercitator) richiama gli analoghi soggetti dipinti da Eirene (v.) o Kalypso (v.) nel II sec. a. C.; un Gruppo di famiglia ed una Conversazione tra un personaggio seduto e l'altro stante, rappresentano temi tradizionali della pittura greca.
Bibl.: H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, pp. 276; 298; J. Overbeck, Schriftquellen, n. 1772, 2119-2137; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung der Griechen, Monaco 1923, II, p. 820 ss.; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 1536, s. v., n. 5; S. Ferri, Plinio il Vecchio, Roma 1946, pp. 23; 131; 198; 305; R. Bianchi Bandinelli, Storicità dell'arte classica2, Firenze 1950, p. 171; G. Becatti, Arte e gusto negli scrittori latini, Firenze 1951, pp. 29; 68; 278; A. Rumpf, Handb., IV, i, Monaco 1953, p. 167 s.; E. Simon, in Gymnasium, LXI, 1954, p. 203 ss.; C. L. Ragghianti, Pittori di Pompei, Milano 1963, pp. 37; 52.