The Red Shoes
(GB 1948, Scarpette rosse, colore, 133m); regia: Michael Powell, Emeric Pressburger; produzione: Michael Powell, Emeric Pressburger per Arthur Rank/The Archers; soggetto: Emeric Pressburger, dall'omonima fiaba di Hans Christian Andersen; sceneggiatura: Michael Powell, Emeric Pressburger; fotografia: Jack Cardiff; montaggio: Reginald Mills; scenografia e costumi: Arthur Lawson, Hein Heckroth; coreografie: Robert Helpmann, Leonide Massine; musica: Brian Easdale.
Durante la rappresentazione di un balletto il giovane compositore Julian Craster si accorge che le sue musiche sono state copiate. Craster si rivolge al carismatico direttore del balletto, Boris Lermontov che, riconoscendo le sue qualità, lo assume nella compagnia. Negli stessi giorni la prima ballerina si sposa e lascia la danza; Lermontov la sostituisce con Vicky Page, principiante di talento conosciuta durante una festa. A lei affida il ruolo principale in un nuovo balletto, scritto appunto da Craster e intitolato Red Shoes. La ferrea disciplina imposta da Lermontov conduce a uno spettacolo straordinario. È il trionfo. Intanto tra Vicky e Julian nasce un sentimento. Mentre si prepara una nuova produzione, Lermontov scopre la passione tra i due giovani e, non volendo perdere il controllo sulla sua creatura, licenzia Craster. Vicky, innamorata, lo segue. Lermontov continua ad allestire spettacoli di successo ma non riesce a dimenticare la collaborazione con Vicky. Deciso a riportare in scena Red Shoes, cerca la ragazza e le chiede di tornare a danzare per lui; Vicky accetta ma Julian, impegnato nella prima di un concerto a Londra, la raggiunge quando la rappresentazione sta per iniziare. Lermontov le chiede di fare una scelta: Vicky resta ma poi, mentre Julian si sta recando in stazione, fugge dal teatro con le scarpette rosse ai piedi e si getta sotto un treno. Con le lacrime agli occhi Lermontov annuncia al pubblico che Vicky non ballerà mai più. Lo spettacolo va in scena senza la protagonista.
Nella seconda metà degli anni Trenta Alexander Korda commissionò a Emeric Pressburger una sceneggiatura sul tema del balletto classico ispirata alla celebre fiaba di Hans Christian Andersen. Il ruolo della protagonista era destinato a Merle Oberon. Dopo la guerra, il copione fu riacquistato dall'autore insieme a Michael Powell per la loro società The Archers. Powell decise che il balletto al centro del racconto sarebbe stato una creazione originale. Nel cast volle autentici ballerini: Léonide Massine, Robert Helpmann, Ludmilla Tchérina e Moira Shearer, giovane promessa del Royal Ballet. Affidò al compositore Brian Easdale, con cui aveva già collaborato, la nuova partitura; per scene e costumi il tedesco Hein Heckroth, più vicino al teatro e influenzato dal lavoro delle avanguardie, sostituì Alfred Junge. Il budget, già alto, fu ampiamente superato. Il pubblico del dopoguerra, costretto per anni all'austerità, fu sedotto dalla rappresentazione di un mondo magico e sontuoso e rispose entusiasticamente al film. La critica, abitualmente scettica, concesse questa volta agli autori recensioni assai positive. Negli anni successivi, quando il 'fenomeno' Powell-Pressburger fu studiato in modo più approfondito e sistematico, il film conobbe un ridimensionamento a favore delle loro opere più radicali per linguaggio e visione fantastica.
Già da tempo la coppia Powell e Pressburger costituiva un oggetto strano, difficilmente classificabile tanto per gli addetti ai lavori quanto per il pubblico: la loro idea era quella di fare un cinema che coniugasse materiali popolari e arditi esperimenti narrativi e linguistici. The Red Shoes costruisce intorno al nucleo della favola-balletto un melodramma apparentemente tradizionale. Tuttavia si insinua sotterranea, tra le pieghe di un romanticismo di repertorio, una vocazione visionaria coe-rente con lo stile che Powell e Pressburger stavano mettendo a punto da qualche anno, quasi un virus che lavora incessantemente a sabotare classicità e armonia. Così il film si apre a una dimensione estrema, ossessiva, malata di cui il personaggio di Lermontov è il grande officiante. Powell e Jack Cardiff, direttore della fotografia, rilanciano di continuo la sfida cercando soluzioni visive inedite, sorprendenti, segnate da un uso antinaturalistico del colore: la macchina da presa cerca all'improvviso angolazioni imprevedibili, irrompono soggettive spericolate e alcuni stacchi appaiono decisamente audaci rispetto alla routine del cinema inglese commerciale. La celebrata sequenza del balletto si sospinge fino agli estremi limiti: per diciassette minuti e mezzo la narrazione si interrompe e la regia viola lo spazio scenico per addentrarsi in un territorio onirico e a tratti minaccioso, in cui la fabula messa in scena riepiloga e anticipa gli snodi drammaturgici del film ovvero la fatale contesa tra arte e vita.
Tour de force assolutamente eccessivo, isterico, comunque vertiginoso, The Red Shoes rischia oggi di apparire invecchiato come molti exploit virtuosistici dei grandi registi, da Welles a Hitchcock, ma all'epoca l'impatto fu certo fortissimo: i grandi musical MGM con Gene Kelly subirono dichiaratamente il fascino di questa lezione e Martin Scorsese, grande ammiratore di Powell e della sua inventiva registica, fu impressionato da questo approccio sensuale e aggressivo che sembrava reinventare il linguaggio con lo stesso ingenuo entusiasmo e lo stesso orgoglio artigianale dei cineasti delle origini. La ricerca dell'effetto, a costo di rasentare di continuo il kitsch, diventa una pratica liberatoria che si ribella al controllo delle passioni e fa invece riaffiorare il lato oscuro, demoniaco, distruttivo connaturato a una concezione romantica dell'arte, forza superiore sublime e tirannica che reclama le sue vittime sacrificali. Gli autori hanno dichiarato che la fonte di ispirazione per il personaggio di Lermontov era lo stesso Alexander Korda, demiurgo che associava carisma e potere. Tuttavia è legittimo, alla luce di opere posteriori come Peeping Tom, leggervi anche una sorta di autoritratto dello stesso Michael Powell. Nella sua affascinante personificazione, Anton Walbrook appare come un vampiro elegante e spietato, condannato alla solitudine, dolorosamente consapevole di tutto il male che può sprigionarsi dall'atto creativo prima che la catarsi possa finalmente avere il suo corso. The Red Shoes si vide attribuiti due Oscar: ad Arthur Lawson e Hein Heckroth per l'art direction (scenografia e costumi) e a Brian Easdale per la miglior colonna sonora musicale.
Interpreti e personaggi: Anton Walbrook (Boris Lermontov), Marius Goring (Julian Craster), Moira Shearer (Vicky Page), Robert Helpmann (Ivan Boleslawsky), Jean Short (Terry), Leonide Massine (Ljubov), Gordon Littmann (Ike), Albert Bassermann (Ratov), Austin Trevor (professor Palmer), Ludmilla Tchérina (Irina Boronskaja), Irene Browne (Lady Neston), Esmond Knight (Livingstone 'Livy' Montagne).
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