terzo settore, economia del
Insieme delle attività svolte dalle organizzazioni della società civile: volontariato (➔) organizzato, associazioni di promozione sociale, fondazioni, cooperative sociali, imprese sociali, ONG.
Le origini del variegato mondo del t. s. rivelano 3 modelli identitari che, a loro volta, rinviano ad altrettanti assetti organizzativi.
Il modello più antico, che nacque nella Toscana del 13° sec., mostra le organizzazioni di t. s. come espressione della società civile: un libero confluire di persone attorno a un progetto da realizzare assieme e per il perseguimento di interessi collettivi, ancorché non universalistici. Il principio regolativo su cui si regge tale modello è quello di sussidiarietà orizzontale (➔ sussidiarietà, principio di), così come questo è andato affermandosi a partire dall’Umanesimo civile (15° sec.) e all’interno della Chiesa.
Il secondo modello vede il t. s. come sostegno o affiancamento degli enti pubblici. Basti pensare a quelle realtà non profit create e/o supportate da soggetti collettivi-categoriali istituzionalizzati, quali il sindacato, gli enti locali, le IPAB (Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza) e così via. Il principio regolativo di tale modello è la sussidiarietà verticale. Va sottolineata la differenza: mentre con quest’ultima si ha una ‘cessione’ di quote di sovranità, con la sussidiarietà orizzontale si ha una ‘condivisione’ di sovranità.
Il terzo modello, infine, di più recente affermazione negli ambienti anglosassoni, presenta il t. s. come emanazione dei soggetti for profit, per es. le plurime espressioni della corporate philanthropy e delle fondazioni d’impresa, ormai in via di vasta diffusione anche in Italia. Alla base di tale modello si trova il principio di ‘restituzione’: l’impresa for profit ritiene di dover restituire alla società una parte del profitto ottenuto, perché esso è conseguenza anche di ciò che la società è stata in grado di offrirle.
Nel corso del tempo si è andata realizzando una certa ibridazione dei 3 modelli identitari, e ciò in relazione anche alle specificità culturali dei vari luoghi e Paesi. Ma è vero che, a seconda della prevalenza dell’uno o dell’altro modello, si hanno effetti diversi non solo per quanto attiene la governance delle ONP (Organizzazioni Non Profit; ➔ non profit), ma anche in riferimento al tipo di relazioni che esse vanno a stabilire con le altre sfere della società. La questione cruciale da affrontare è allora quella di decidere se si vuole che i 3 modelli possano coesistere pacificamente tra loro, oppure se il disegno istituzionale, e quindi il quadro normativo, debba favorire uno solo di questi. Scegliere la seconda alternativa significa, di fatto, far prevalere, a lungo termine, il terzo modello di non profit, con due conseguenze, che a taluni paiono non auspicabili. La prima è che un non profit pensato come cinghia di trasmissione del for profit limiterebbe il ruolo delle ONP a essere meramente ‘additivo’, mentre la cifra del t. s. sarebbe proprio nel suo carattere ‘emergenziale’, che è quello di intervenire anche sulle relazioni preesistenti tra Stato e mercato. La seconda ragione tocca la dimensione ‘giustificativa’ delle ONP. Esse creano valore sia strumentale sia espressivo. Il primo è misurato in termini dei risultati prodotti, da cui la richiesta che le ONP siano efficienti se vogliono essere sostenibili. Il valore espressivo, o simbolico, delle ONP è misurato, invece, dalla loro capacità di produrre beni relazionali e soprattutto capitale sociale di tipo linking; vale a dire dalla loro capacità di umanizzare sia lo Stato sia il mercato.
Qualora fosse il terzo modello identitario ad affermarsi come egemonico, è chiaro che il valore espressivo del non profit verrebbe sacrificato a vantaggio di quello strumentale. È quindi opportuno assicurare un non profit plurale, se si pensa che il t. s. non debba essere circoscritto in ruoli di mera supplenza rispetto a ciò che Stato e mercato non riescono a fare, vuoi per mancanza di risorse vuoi per assenza di interesse.
Ormai trascorso il primo decennio del 21° sec., secondo alcuni il t. s. ha un compito storico da assolvere, quello di facilitare la transizione dall’ordine sociale fondato sulla dicotomia pubblico-privato a un ordine sociale tripolare centrato sulla triade pubblico-privato-civile. La costruzione di una strategia di alleanze tra soggetti non profit, for profit e pubblici è uno dei compiti più difficili ma più utili di questo tempo: non c’è vita buona e tanto meno eccellente in isolamento, senza il confronto con l’altro.