Territorio e territorialità
Il processo di territorializzazione
T. e t. sono due concetti chiave per comprendere l'influenza che gli assetti geografici delle attività umane hanno sulla formazione e lo sviluppo degli ordinamenti sociali. Della diade, il termine primo è senz'altro il territorio, che possiede una molteplicità di valenze semantiche: si ricorda innanzi tutto quella di senso comune, per cui territorio è lo sfondo geografico dell'esistenza, il luogo fisico o tratto della superficie terrestre colto nei suoi aspetti sia fisico-naturali (per es., forme del terreno, copertura vegetale, associazione terre/acque) sia antropici (per es., insediamenti abitativi e produttivi, vie e nodi di comunicazione, coltivazioni agricole). A fronte di questa denotazione generica si può individuare un valore semantico più ampio che identifica il territorio come un ambito connotato politicamente, inquadrato a livello amministrativo o comunque sul quale viene esercitata una giurisdizione: è ciò che si intende con locuzioni quali il territorio dello Stato oppure i territori coloniali.
Recenti teorie hanno elaborato definizioni più comprensive dell'idea di territorio e anche delle problematiche che essa sottende. Particolare attenzione meritano quelle incentrate sul processo di territorializzazione, che a loro volta offrono importanti strumenti di analisi della territorialità. Due sono i nuclei concettuali di partenza. Il primo consiste nel fatto che, sebbene 'deposto' in un ambito naturale in un qualche lontano inizio, un gruppo umano vive, cresce ed evolve grazie alle trasformazioni che apporta all'ambiente in cui è originariamente insediato. L'ambiente naturale, dunque, grazie all'azione di trasformazione, acquista valore antropologico, diventa un artefatto, si connota progressivamente come territorio. Dal canto suo, il territorio - e questo è il secondo nucleo concettuale - è con piena evidenza un prodotto dell'azione umana; al tempo stesso, tuttavia, esso è una condizione dell'azione umana, una configurazione del mondo e, più in particolare, una configurazione della superficie terrestre, che permette il pieno dispiegamento dell'agire umano in generale.
Quando si parla di territorializzazione si intende un processo di trasformazione della natura in un artefatto umano, marcato da una triplice caratterizzazione. In primo luogo, esso è costitutivo della società, nel senso che contribuisce in modo decisivo all'evoluzione del gruppo umano da aggregato generico di soggetti in autentico corpo sociale, entrando nei sistemi che fondano la conoscenza, la percezione, la rappresentazione e la costruzione di una coscienza identitaria della collettività insediata. In secondo luogo, la territorializzazione è un riflesso dell'azione sociale, nel senso che si produce nel seno di una dinamica collettiva da cui trae motivazioni, cadenze, forme. Infine, è una condizione dell'azione sociale, nel senso che consente di ottenere le risorse materiali e simboliche di cui la collettività insediata ha bisogno per vivere e per riprodursi, conformemente alle determinazioni e alle proiezioni storiche che le sono proprie.
Il passaggio dall'ambiente naturale al territorio, come ben si comprende, non è dato una volta per tutte, ma contempla trasformazioni continue, segnate da andamenti evolutivi qui e là interrotti da fratture in corrispondenza di grandi mutamenti ecologici, demografici, politici, economici, tecnologici. Questi, incidendo radicalmente sull'organizzazione della società, finiscono per riorientare le stesse logiche territoriali. Il processo di territorializzazione si dispiega lungo tre grandi assi, da considerare universali, dal punto di vista sia storico sia geografico: denominazione, reificazione e strutturazione.
Denominazione. - La denominazione è atto proprio dell'uomo: l'uomo, o meglio l'attore sociale, osserva il mondo che gli sta intorno, si sforza di carpirne i segreti, raccoglie dati e li mette in relazione tra loro, insomma cerca di cogliere la struttura della natura e altresì i suoi meccanismi concreti di funzionamento, per capire infine se deve agire e come. Trarre la natura dalla sua primitiva condizione selvaggia, farne qualcosa di familiare, di domestico, significa conoscere lo spazio di insediamento e porsi in grado di comunicare tale conoscenza ai membri della propria comunità e alle generazioni future. Il sapere territoriale, frutto di osservazioni empiriche e di speculazioni astratte, di ipotesi e di verifiche, di convenzioni e di convinzioni, viene racchiuso e veicolato dai nomi di luogo. Seguendo una linea di ricerca geografica centrata sulla semiologia del territorio, questo linguisticamente si costituisce come insieme di designatori che hanno una valenza cognitiva e al tempo stesso comunicativa. Per un verso, infatti, essi compattano dei saperi sotto forma di descrizioni o di concetti: denominare un luogo significa conoscerne le fattezze fisiche, le proprietà simboliche, le potenzialità economiche, il valore morale o anche solo, semplicemente, la posizione. Per un altro verso, i nomi di luogo si propongono come strumenti per trasmettere la conoscenza nelle forme con cui la conoscenza stessa è specificamente prodotta da una determinata società. La denominazione appare come un insieme di procedure le quali assicurano il controllo intellettuale del territorio.
Il più elementare dei saperi territoriali è quello referenziale. Esso è racchiuso nei designatori che fissano un riferimento sulla superficie terrestre: indicando con precisione l'ubicazione di un luogo, in assoluto o in rapporto ad altri luoghi, essi rendono possibile il posizionamento dei soggetti, degli oggetti e degli eventi, consentendo così alle persone di spostarsi nello spazio senza correre il rischio di perdersi. Questo tipo di sapere, in un mondo ormai pieno di indicazioni e di cartelli, può apparire banale; di fatto ha costituito un impegno costante degli uomini per la maggior parte della loro storia sulla Terra e fino all'avvento della cartografia moderna che consente di verificare con precisione l'ubicazione e la grafia stessa dei designatori. L'impianto referenziale, di cui i punti cardinali (N, S, E, O) sono l'espressione universalizzata, è a sua volta integrato da altre forme di sapere territoriale, decisamente più complesse. La prima è di tipo simbolico stricto sensu. In questo caso, i designatori non si limitano a fissare al suolo un riferimento, ma trasferiscono sulla superficie terrestre delle credenze generalizzate, basate su valori socialmente prodotti e diffusamente condivisi. La denominazione simbolica, che implica valori come sacro, giusto, nobile, bello, dolce, buono, è certamente uno dei prodotti più raffinati delle varie culture. I designatori fungono infatti da archivio culturale delle società da cui sono prodotti, giacché grazie a essi nei luoghi vengono inscritte le vicende grandi e piccole che marcano la storia di un popolo, ne testimoniano il carattere, ne rivelano le aspirazioni. Il sacro è certamente il valore simbolico più pregnante, sia in modo esplicito (Natal e Santa Cruz, Saint Luis, St. John e Isola di Pasqua), sia in modo implicito (Roma e La Mecca, Fatima e Touba, Guadalupa e Gange). Ma anche altri valori entrano in gioco diffusamente, riferiti ora a personaggi che hanno contribuito a fare la storia di un popolo o di un Paese (Washington e Monrovia, Brazzaville, Pietroburgo, le molte Alessandrie), ora a eventi puntuali (San Fermo della Battaglia, Piave, Napoli, Benevento) o più complessi (Lombardia, Liberia, Ghana, America, Colombia, Indocina).
Un'ulteriore forma di sapere territoriale è la performativa. Questo tipo di denominazione racchiude e veicola una conoscenza ottenuta per via sperimentale: pianura, montagna, dorsale, valle inondabile, massiccio calcareo, suolo idromorfo, dolina. Il vero e il falso, in questo caso, non sono discriminati in base a una credenza, come nella denominazione simbolica, ma devono poggiare su un riscontro concreto: se si denomina in un certo modo un suolo fertile (asié blé, terra nera presso i Baulé della Costa d'Avorio, conoscenza uno), è perché, a certe condizioni (se si effettua una coltura opportuna, per es. l'igname, conoscenza due), è possibile ottenere buoni raccolti (corroborazione empirica). Come si può comprendere, la denominazione performativa costruisce storicamente la forma di sapere che maggiormente si avvicina a ciò che l'Occidente intende per conoscenza scientifica. Si può dire che essa si incarica di cogliere nel modo più preciso e più approfondito possibile i tratti dell'ambiente nel quale vivono i diversi popoli, compatibilmente con le singole tradizioni e i rispettivi progetti sociali. L'impianto designativo racchiude e veicola saperi talora anche molto specializzati, connessi con particolari attività come la caccia, la pesca o l'allevamento. In taluni contesti geografici fortemente caratterizzati, o addirittura difficili, è chiaro che una cura particolare sarà posta nel censire e classificare gli elementi cruciali che assicurano la sopravvivenza individuale e collettiva: basta considerare quanti modi hanno le genti del deserto, i Tuareg o i Tubu del Sahara, per es., per indicare i siti dove si può trovare l'acqua.
Reificazione. - Il secondo asse che motiva e orienta il processo di territorializzazione concerne la sfera materiale: quale che sia l'idea che una società si fa del proprio spazio, essa opera poi di conseguenza, modificando la natura nelle sue fattezze fisiche. Il modellamento materiale della superficie terrestre, al contrario di quello intellettuale, ha un'evidenza fisica che si inscrive nel paesaggio e di cui, perciò, tutti possono fare esperienza. È sufficiente ricordare, allora, che un artefatto materiale, qualora si basi su un 'saper fare', e di conseguenza su una tecnica, si realizza concretamente in base a una motivazione, un bisogno funzionale o anche solo estetico delle società che reificano. Volendo sintetizzare i domini di intervento, se ne ricordano tre. Il primo è legato alla produzione nelle sue diverse forme, da quelle più elementari e specializzate (caccia, pesca, raccolta) alle più complesse, ossia quelle che hanno inciso maggiormente sulla trasformazione materiale, legate alle due grandi rivoluzioni economico-produttive dell'umanità: la rivoluzione agraria, che è databile nel bacino del Mediterraneo intorno all'8° millennio a.C., e la rivoluzione industriale, diffusasi a partire dall'Inghilterra nell'ultimo quarto del 18° secolo. Il secondo dominio è legato alla mobilità: e quindi tutto ciò che riguarda i trasporti, terrestri (strade e ferrovie, con tutto il corredo di ponti, trafori e viadotti, aree di sosta e smistamento), marittimo-fluviali (porti e infrastrutture correlate) e aerei. Un terzo ambito di intervento materiale, infine, è connesso all'abitare umano, con la straordinaria evoluzione degli insediamenti dalla singola dimora precaria, sino al villaggio per giungere alla città e ai sistemi di megalopoli contemporanei.
Strutturazione. - Infine, il modellamento territoriale si effettua organizzativamente attraverso ritagli, confinamenti, compartimentazioni della superficie terrestre. Si pensi allo Stato, pur essendo composto di elementi materiali e immateriali, non si confonde né con gli uni né con gli altri e neppure risulta dalla loro semplice somma: esso è una formazione geografica che appartiene a una categoria specifica di artefatti, le strutture territoriali. Allo stesso modo, si pensi alle unità amministrative, alle giurisdizioni, agli ambiti di competenza nei quali e attraverso i quali si svolge quotidianamente la nostra vita: il comune, la provincia, la regione, ma anche la ASL (Azienda Sanitaria Locale), il distretto scolastico, il distretto militare, l'ufficio del Registro, la Camera di commercio.
La territorializzazione autocentrata ed eterocentrata
Ogni società costruisce dunque il proprio territorio e, insieme, se ne serve per costruire sé stessa. In questa prospettiva, la geografia appare nella sua forma più elementare: un processo autoreferenziale messo in atto e gestito da una collettività insediata per definire la propria qualità sociale, assicurare il proprio funzionamento, garantire la propria riproduzione, rendere perenne la propria durata nel tempo. In questo caso, ci si trova di fronte a un processo di territorializzazione detto autocentrato. Esso può nondimeno sfuggire, in tutto o in parte, al controllo della società locale, diventando in qualche modo il prodotto di un altro corpo sociale e, di riflesso, una delle sue condizioni di esistenza. In tal caso, si potrà parlare di territorializzazione eterocentrata, che contempla una vasta gamma di situazioni che vanno dalla semplice influenza alla colonizzazione, nelle forme e nei significati che questa ha assunto nei diversi contesti storici e geografici in cui si è manifestata. La territorializzazione eterocentrata trae motivazioni e impianti regolativi da società o centri di decisione esterni; dunque essa traduce al suolo una relazione dissimmetrica tra corpi sociali e può configurarsi secondo tre modalità fondamentali: 1) come acculturazione, allorquando il processo, pur ispirato a principi e quadri normativi esterni, riesce a essere governato dalla società locale, che, attraverso suoi mezzi e attori, lo integra nei propri sistemi di funzionamento e riproduzione; 2) come appropriazione, quando l'attore esterno interviene a uno o più livelli del processo di territorializzazione e, istituendo un controllo su almeno uno dei suoi segmenti, trasferisce a proprio favore risorse territoriali ottenute in loco; 3) infine, come dominazione, allorquando l'attore esterno, sostituendosi all'attore locale, assume la responsabilità totale del processo o ne determina gli andamenti.
La territorialità come qualità geografica
Se dunque il territorio è la superficie terrestre investita dalle procedure di socializzazione di una natura originaria al livello sia della simbolizzazione, sia della reificazione - trasformazione materiale - e della strutturazione, la territorialità appare come una qualità territoriale, in forza della quale gli abitanti di una regione ne percepiscono l'essenza di luogo costruito storicamente da una collettività umana.
Questa consapevolezza è tutt'altro che immediata, eppure è proprio in base a essa che le popolazioni insediate costruiscono il loro senso di appartenenza, organizzano il proprio agire territoriale e, in definitiva, definiscono la propria 'topofilia', l'amore per la terra in cui vivono. È questa territorialità a essere all'origine delle dinamiche di identità: non soltanto nel senso che essa vuole preservare la propria identità, ma ben più profondamente nel senso che essa vuole costruire in perpetuo la propria identità. Si tratta di una territorialità plurale, poiché non è oggettivabile in modo univoco: non è una 'cosa' ma, come si è detto, è una 'qualità geografica' che, al di là della propria materialità visibile (la montagna, la foresta, la città, la trama delle localizzazioni fisiche), risulta intelligibile solo a partire dal discorso che la investe e che la modella simbolicamente. In altri termini, questa territorialità, che è il risultato di un processo storico-sociale più o meno lungo, declina la propria coerenza dalla parola che la dice, dall'arte che la racconta, sia essa letteraria, figurativa o architettonica.
In effetti, la territorialità, come realtà oggettiva e come dominio dell'esperienza individuale e collettiva, non potrebbe essere configurata a partire da spiegazioni logiche e non potrebbe essere descritta solo da procedure analitico-formali. La ricostruzione del processo di territorializzazione può essere certo concepita ed eseguita in quanto impresa scientifica. Tuttavia occorre capire che questa è soltanto una premessa per la comprensione, giacché non è unicamente attraverso la descrizione analitica e la spiegazione razionale che si può rendere conto di una realtà vivente come la territorialità, in cui si condensano elementi di tipo ontologico e la quale presenta problematiche che in ogni caso la ragione strumentale non può avvicinare da sola.
Qui entra in scena il racconto non già come semplice tecnica di restituzione di una situazione o di un avvenimento, ma piuttosto come vera e propria strategia di messa in forma dell'oggetto territoriale: in sé complesso, multivoco, ambiguo. La territorialità diventa così una costruzione narrativa: una rappresentazione del mondo nella quale gli individui e gli attori collettivi letteralmente 'conquistano' il loro statuto identitario. In effetti, essi condividono il sentimento di contribuire tutti insieme all'elaborazione e all'esecuzione di un progetto di vita comune, di cui il territorio è la condizione e, al medesimo tempo, il prodotto. Se nel suo insieme la messa in discorso permette l'elaborazione riflessiva della territorialità nonché la sua comunicazione sia interpersonale sia intergenerazionale, il racconto, dal canto suo, riveste la funzione specifica di grande narrazione, un dispositivo che non solo dice qualcosa su uno stato di fatto, ma altresì sulla regola da seguire in presenza di quello stesso stato. Il modello narrativo si dispiega sia sul piano della descrizione sia su quello della norma d'azione. Il senso del territorio e, dunque, la territorialità, oscillano così tra memoria e progetto: autentiche risorse comunicative che, spesso strutturate e percepite in forma paesistica, sono sentite come ricchezza pubblica e collettiva e, al tempo stesso, vissuti come valori intimi e personali dall'uomo-abitante.