TERMOMETRO (dal gr. ϑέρμη "calore" e μέτρον "misura")
Strumento che serve per la determinazione della temperatura dei varî corpi, mediante una scala convenzionale opportunamente stabilita. I più comuni termometri sono quelli "a liquido" (o "a variazione di volume"), formati da un bulbo di vetro, sormontato da un cannello, e pieno di un liquido adatto, chiamato "sostanza termometrica"; si sceglie, in generale, come sostanza termometrica, il mercurio, liquido ben visibile, facilmente purificabile, e capace di mantenere lo stato liquido in un ampio intervallo di temperature; ma spesso si adottano altre sostanze termometriche, come alcool, toluolo, pentano, ecc.
L'invenzione del termometro è comunemente attribuita a Galileo; un dispositivo analogo sembra sia stato descritto da Santorio, professore di medicina teorica nello studio di Padova (1612; v. calore). Il termometro di Galileo era ad aria, a variazione di volume e di pressione, e si componeva di un palloncino di vetro sormontato da un cannello lungo e sottile, che veniva dapprima riscaldato e capovolto in un bicchiere pieno d'acqua, in modo da ottenere, col raffreddamento, l'aspirazione di una certa quantità di acqua nel cannello. La sostanza termometrica era dunque l'aria contenuta nel pallone e il menisco dell'acqua nel cannello fungeva da indice. L'idea di capolvogere l'ampolla e usare come sostanza termometrica l'acqua è del Torricelli (1650); nacque così il celebre "termometro fiorentino" ad acqua, e successivamente, per opera degli accademici del Cimento, ad alcool. I punti fissi (temperatura del ghiaccio fondente e del vapore d'acqua bollente) furono proposti nel 1665 dal Huyghens. Il primo termometro a mercurio fu costruito da Fahrenheit nel 1714, graduato da o° a 212°.
Nei termometri a liquido, la determinazione delle temperature viene eseguita misurando le variazioni di volume subite dalla sostanza termometrica, la quale si dilata col riscaldamento e si contrae con il raffreddamento. La graduazione, puramente convenzionale, viene, com'è noto, eseguita partendo da due temperature fisse e costanti: quella del ghiaccio misto ad acqua (ghiaccio fondente) a cui si fa corrispondere la temperatura 0° (zero gradi) e quella del vapore d'acqua bollente, alla pressione atmosferica normale (760 mm. di mercurio) a cui si fa corrispondere la temperatura di 100°: le temperature intermedie si ottengono mediante interpolazione lineare; quelle più alte o più basse, per estrapolazione (le temperature al disotto di 0° si rappresentano per convenzione con numeri negativi). Oltre a questa scala, detta "centigrada o di Celsius", si usa talora, specialmente nell'Impero Britannico e negli Stati Uniti d'America, la scala "di Fahrenheit", in cui la temperatura del ghiaccio fondente e del vapore d'acqua bollente sono rappresentate dai numeri 32 e 212, e l'intervallo è naturalmente diviso in 180 parti. Il passaggio della scala centigrada alla Fahrenheit è d'altronde immediato, poiché la temperatura centigrada C e la corrispondente temperatura Fahrenheit F sono evidentemente legate dalla relazione
La temperatura indicata da un termometro dipende manifestamente dalla sostanza termometrica e un poco anche dalla qualità del vetro usato nella fabbricazione. Così la scala del termometro a mercurio differisce sensibilmente da quella del termometro a toluolo (la differenza è di circa 3° verso il centro della scala, ma può raggiungere 30°-40° a temperature molto alte o molto basse); analogamente due termometri a mercurio, costruiti con vetri diversi, possono dare indicazioni che differiscono di qualche decimo di grado. Per rendere paragonabili le determinazioni di temperatura eseguite in luoghi diversi, si è allora definito un "termometro "normale" e una "scala termometrica normale", nel modo che sarà detto più avanti, e si è convenuto che la graduazione dei termometri di precisione venga eseguita per confronto col termometro normale. Ma anche operando in tal guisa rimane una notevole causa di errore, dovuta al fatto che il bulbo di vetro del termometro subisce col tempo lente deformazioni che ne fanno variare la capacità, provocando uno spostamento uniforme nella scala (spostamento dello zero). Tale inconveniente si elimina usando vetri speciali (ad es., il cosiddetto "vetro normale di Jena") e controllando periodicamente il termometro, onde conoscere il valore dello spostamento e apportare alle temperature una corrispondente correzione.
Un termometro a liquido può raggiungere sensibilità molto elevate, fino a permettere di apprezzare variazioni di temperatura di pochi millesimi di grado; queste alte sensibilità si raggiungono, naturalmente, a scapito della portata del termometro, che deve essere limitata a pochi gradi, e anche della sua prontezza, perché occorre dare al bulbo dimensioni molto grandi. Del resto, i termometri a liquido hanno sempre una prontezza molto modesta, a causa della loro notevole capacità calorifica e della scarsa conduttività termica del bulbo, sicché l'equilibrio termico del termometro col corpo in esame richiede sempre un tempo piuttosto lungo, talora molti minuti; i termometri di questo tipo non sono quindi adatti a seguire variazioni alquanto rapide di temperatura.
La minima e la massima temperatura determinabili con un termometro a liquido dipendono dalla natura della sostanza termometrica, la quale a bassa temperatura finirebbe col congelare e a temperatura elevata entrerebbe in ebollizione. Col termometro a mercurio le temperature limite sono rispettivamente di −30° e di 320° (quantunque il mercurio, a pressione ordinaria, solidifichi a −39° e bolla a 357°), perché al disotto di −30° e al disopra di 320°, il comportamento del mercurio diviene irregolare. Il termometro a mercurio può tuttavia essere usato anche per temperature molto più elevate, quando sia costruito in modo speciale, e cioè il cannello contenga un gas inerte, come, per es., l'azoto, sotto pressione conveniente, in modo da ritardare l'ebollizione del mercurio, poiché è noto che il punto di ebollizione di un liquido dipende dalla pressione a cui questo è sottoposto e sale col crescere della pressione. Si può in tal modo ottenere un termometro a mercurio capace di segnare temperature molto elevate, fino a 700° od 800°, purché si usi per la costruzione un vetro speciale, difficilmente fusibile (il vetro comune si rammollisce molto prima di 700°), o meglio quarzo. Per temperature molto basse si usano termometri a toluolo (fino a circa −80°) e a pentano (fino a circa −200°).
Tra i termometri a liquido hanno notevole importanza quelli "a massima" o "a minima", costruiti in maniera da indicare la temperatura più alta, o più bassa, raggiunte durante un certo tempo; ciò si ottiene in generale inserendo nel cannello un cilindretto di ferro che viene trascinato dal menisco del liquido termometrico e se ne stacca quando il menisco, raggiunta la posizione di massimo o di minimo, secondo i casi, ritorna indietro; il cilindretto rimane così a indicare tale posizione; esso può venire riportato a contatto del menisco mediante una calamita. Tra i termometri a massima è importante il "termometro clinico" (graduato in decimi di grado, da 35° a 42°), in cui il cannello è fortemente strozzato in prossimità del bulbo, in modo che il mercurio può bensì salire nel tubo quando si dilata, ma non può tornare indietro, quando la temperatura si abbassa.
Un altro tipo di termometro è rappresentato dal "termometro a gas", che può essere "a variazione di volume" ovvero "a variazione di pressione"; l'importanza di questo termometro è dovuta al fatto che - poiché tutti i gas si dilatano (ovvero variano di pressione) press'a poco nella stessa misura - la scala del termometro a gas risulta pressoché indipendente dalla natura della sostanza termometrica e coincide praticamente con la cosiddetta "scala assoluta delle temperature" definita mediante considerazioni termodinamiche. Per questo motivo, si è adottato come termometro normale il termometro a idrogeno, a variazione di pressione, nel quale la determinazione delle temperature è ricondotta alla misura della pressione che questo gas assume, quando è riscaldato a volume costante. Il termometro è costituito essenzialmente da un bulbo contenente idrogeno, collegato a un manometro, e provvisto di un dispositivo che permette di mantenere costante il volume, durante il riscaldamento; si fa in modo che a 0° la pressione sia uguale a 1000 mm. di mercurio e si misura di quanto la pressione stessa varia, quando il bulbo è portato a diversa temperatura; poiché l'idrogeno si comporta praticamente come un gas perfetto, la sua pressione aumenta, per ogni grado, di 1/273,2 della pressione a 0° (purché il vulume rimanga costante), cioè, nel nostro caso, di 3,66 mm. di mercurio. Misurando quindi la pressione del gas, è possibile dedurre il valore della temperatura, nella scala "termometrica normale", che differisce pochissimo dalla scala assoluta (salvo, beninteso, che quest'ultima s'inizia dal cosiddetto "zero assoluto", cioè dalla temperatura di −273°,2). Mediante opportune tabelle di correzione è anche possibile passare dalla scala normale a quella assoluta termodinamica, cioè ottenere la temperatura che sarebbe indicata da un termometro a gas perfetto.
Il termometro a gas è assai delicato e di uso alquanto difficile; nella tecnica si adopera talora un termometro a variazione di pressione, in cui la sostanza termometrica è costituita da un vapore saturo (talpotasimetro; v. sotto: Termometri industriali).
Come termometri registratori, si usano talvolta i "termometri a deformazione" basati sulla disuguale dilatabilità delle diverse sostanze, per cui una striscia bimetallica, formata da due metalli diversi saldati insieme longitudinalmente, si deforma più o meno col variare della temperatura.
Largamente usati, a causa delle loro pregevolissime qualità, sono i "termometri elettrici".
Questi sono di due tipi: quelli "a coppia termoelettrica" e quelli "a resistenza". I primi sono basati sul fatto che in una catena chiusa, formata da metalli diversi (nella quale le forze elettromotrici di contatto si compensano esattamente) nasce una forza elettromotrice, detta "termoelettrica", quando uno dei contatti si trova a temperatura diversa dagli altri; la forza elettromotrice termoelettrica è funzione di questa differenza di temperatura e può quindi servire alla sua determinazione. Per maggiori particolari, v. sotto.
I termometri elettrici a resistenza utilizzano la nota proprietà per la quale la resistenza elettrica di un metallo varia con la temperatura, aumentando, per ogni grado, circa del 4‰; misurando dunque la resistenza di un filo a una temperatura qualunque (e conoscendo la sua resistenza a 0°), si può ricavare il valore della temperatura.
Termometri industriali.
Gli strumenti più usati, avuto riguardo ai fenomeni sui quali si basano, si possono distinguere nelle seguenti categorie:
Si possono fare altre distinzioni in base a sensibilità, prontezza, trasportabilità, campo di misura, ecc. I termometri destinati ad alte temperature portano più specialmente il nome di pirometri (dal gr. πῦρ "fuoco"). In particolare, quelli a radiazione hanno un cannocchiale che si punta da lontano verso l'oggetto incandescente; unico modo di misurare temperature elevatissime (per es., arco elettrico, 4000°) alle quali non resisterebbe nessun corpo termometrico.
Il presupposto è che l'emissione puramente termica sia come quella di un carbone rovente o di altri corpi che a freddo sembrano neri; in caso diverso, occorre conoscere il modo particolare secondo cui irradia l'oggetto; per es., determinando a parte il coefficiente di assorbimento.
Un forno a temperatura uniforme, nel quale sia praticato un piccolo foro (che a freddo apparirebbe nero) si comporta come un corpo nero e perciò i pirometri a radiazione, in questo caso, si possono usare senza preoccupazioni: per evitare il raffreddamento è opportuno adattare al foro un tubicino (fig.1).
a) Dei termometri fondati sulle variazioni di estensione o di tensione di una sostanza omogenea si è già sufficientemente parlato nella prima parte della presente voce.
b) Impiego dei cambiamenti di stato. - Il talpotasimetro (dal gr. ϑάλπος "calore" e τάσις "tensione") è costituito da un tubo metallico contenente in basso un liquido e terminato in alto con un manometro metallico. Al crescere della temperatura il liquido vaporizza e cresce, secondo leggi note, la tensione di vapore saturo, misurata dal manometro. Per le temperature basse si usano anidride carbonica o solforosa liquefatte; per quelle medie, acqua, etere, petrolio; sopra i 357°, mercurio. In questa forma semplice (Klinghammer) lo strumento è comodo, ma poco preciso, perché le variazioni della pressione esterna, il fenomeno della parete fredda, le colonne di liquido condensato possono provocare errori; volendoli evitare, come nelle misure di temperature estremamente basse mediante elio liquefatto, bisogna complicare il dispositivo.
Il fenomeno della fusione viene utilizzato saltuariamente o per controllare punti fissi (0° ghiaccio fondente, 231°,8 stagno, 1063° oro, ecc.), o per riconoscere mediante sentinelle se in un ambiente si raggiunge una certa temperatura. Basta in questo caso introdurvi un frammento solido che fonda a quella temperatura e sorvegliarlo; una goccia di cera depositata sul vetro di una lampadina elettrica ci può dire se la temperatura di questo supera, o no, 64° circa.
In alcune industrie, per es., in quelle ceramiche, sono usati i cosiddetti coni Seger, piccole piramidi triangolari, ottenute fondendo insieme allumina e ossidi alcalini in varie proporzioni. I singoli pezzi, che portano numerazioni convenzionali, hanno temperature di fusione distanti circa 20° da 600° fino a 2000°.
c) Impiego di calorimetri. - Un blocchetto, per es. di rame, di peso e di calore specifico noti, si mette nel forno di cui si vuol determinare la temperatura t, poi s' immerge in un vaso protetto contro le dispersioni e contenente una data quantità di acqua. Dall'innalzamento di temperatura di essa si deduce t, o mediante calcoli o evitandoli mediante qualche artifizio, come nel pirometro calorimetrico di Siemens.
d) Termometri e pirometri a resistenza. - Sono fondati sul fatto che la resistenza elettrica varia con la temperatura t ed hanno come corpo termometrico un filo metallico R (fig. 2) avvolto in modo da occupare piccolo spazio e collegato mediante fili di piccola resistenza, r, a un ponte di Wheatstone o altro dispositivo del genere. Dette ordinatamente a, b, c, R + r le resistenze dei lati del ponte, tutte note tranne R, si fa variare c, p. es., spostando un cursore M, in modo che l'indice del galvanometro, o del microamperometro, segni zero: allora è notoriamente ac = b (R + r). Da qui si calcola R e quindi t, conoscendo la loro dipendenza reciproca. Evidentemente i valori t corrispondenti alle diverse posizioni del cursore M si possono segnare vicino, su una scala graduata. Gli strumenti industriali sono appunto muniti di siffatti dispositivi, mediante i quali si legge senz'altro t, appena il galvanometro segna zero. In altri, ancora più comodi, ma meno precisi, non c'è nemmeno cursore e c resta costante; il microamperometro, invece di andare a zero dà una deviazione e sul quadrante si legge t. Nella fig. 2, oltre ai fili di congiunzione se ne vedono altri due f. I primi, nell'andare dalla cassetta in cui si trova il ponte al corpo pirometrico situato, p. es., in un forno, subiscono una variazione di resistenza ε, non bene precisabile, la quale falserebbe la misura di R. Lo stesso percorso seguono anche i fili di compenso f i quali fanno parte della resistenza c; così questa subisce una variazione η proporzionale ad ε e l'errore si può eliminare. Per es., se i fili di compenso e quelli di collegamento sono identici e si sceglie a = b, l'equazione del bilancio, a (c + η) = (R + r0 + ε) • b con ε = η dà per R un valore c − r0, indipendente da ε. Opportuni accorgimenti infine permettono di correggere le variazioni che eventualmente subissero le resistenze allogate nella cassetta, al variare della temperatura ambiente.
Il filo R nei pirometri industriali è avvolto (fig. 3), su un sostegno isolante, p. es., di mica o porcellana, ed è protetto da una canna esterna di ferro. Tra i due s'inserisce un tubo di porcellana verniciata o quarzo, specialmente quando si teme che il ferro raggiungendo temperature elevate divenga permeabile per certi gas che si formano nella combustione. Fra i metalli con cui si costruisce R, merita la maggior fiducia il platino. Esso è anche comodo perché in un ampio intervallo che va da − 40° a + 1200° la sua resistenza segue precisamente una legge quadratica:
Per tarare lo strumento, basta ini questo caso fare tre determinazioni di resistenze: una alla temperatura del ghiaccio fondente che dà R0, le altre due a temperature note, in modo da determinare A, B. Al platino talora si sostituiscono altri metalli, p. es., a temperatura moderata, il nichelio per ragioni di economia. Per temperature molto elevate si usano il molibdeno e specialmente il tungsteno; per basse il piombo, ovvero l'oro che ha un comportamento regolare.
e) Termometri e pirometri termoelettrici. - In un circuito chiuso, formato da due fili di metalli differenti saldati nei punti A, B, se la temperatura è eguale dovunque, non circola corrente, conformemente alla legge di Volta; se invece A, B, hanno temperature t, t′ differenti, circola una corrente (effetto Seebeck) perché si sviluppa una forza elettromotrice e, dipendente dalla natura dei due metalli e dalle temperature t, t′ secondo una legge e = (t − t′) • f (t, t′). Di solito si scelgono metalli tali che nell'ambito in cui si lavora la funzione f si riduca a una costante, il che semplifica l'uso e la taratura. Comunque, conoscendo una delle due temperature, p. es. t′, e misurando la forza elettromotrice e, si può calcolare la temperatura incognita t. L'estremo A della pinza termoelettrica (fig. 4), si può portare giusto nel punto di cui si vuol misurare la t, per ciò questi apparecchi si prestano per gli usi più svariati sia nei laboratorî sia nell'industria. Lo schema della fig. 4 corrisponde a quello più usato, nel quale invece della forza elettromotrice e si misura la corrente i, mediante un galvanometro (o microamperometro) G; sul quadrante si legge la temperatura t. È necessario però tener conto di tre circostanze:
In primo luogo, nel circuito di solito vi sono, in realtà, non due, ma tre (o più) metalli diversi: i due tratti AB1, AB2 che costituiscono propriamente la pinza, e il filo di rame del galvanometro, il quale si prolunga fino B1, B2. Il valore di e cambia: esso viene a dipendere da tre temperature, cioè quelle di A, B1, B2 e dalla natura del filo B1 GB2; a meno che si abbia cura di mantenere tanto B1 quanto B2 alla stessa temperatura t′. A questo scopo, nelle determinazioni correnti ci si contenta di tener vicine le giunture B1, B2; nelle determinazioni precise, esse vengono collocate, p. es., nel ghiaccio fondente o in un bagno di petrolio mantenuto a temperatura t′ fissa.
In secondo luogo, se la temperatura è diversa da quella alla quale il galvanometro fu graduato (di solito t′ = 20°), occorre una piccola correzione. In taluni strumenti essa vien fatta spostando di poco il quadrante graduato; in qualche altro, recente, provvede lo stesso galvanometro che è "autocompensante".
In terzo luogo, secondo la legge di Ohm, la corrente:
dipende dalla resistenza complessiva r del circuito. Se varia questa, o se la sensibilità del galvanometro, che dipende dalla molla e dai magneti, si altera, la graduazione è inesatta e bisogna ritarare. Nelle determinazioni precise, l'inconveniente si elimina misurando addirittura la e; si ricorre a un metodo potenziometrico, che ha uno schema leggermente più complicato di quello della figura e richiede come termine di confronto una pila di forza elettromotrice costante, conosciuta.
L'uso delle coppie termoelettriche era prima un po' dubbio, specialmente nei pirometri, perché la forza elettromotrice e dipende molto dalla purezza e dalla struttura dei metalli: in uno stesso filo possono nascere lievi forze elettromotrici a causa di eterogeneità; una pinza, dopo che è stata esposta a temperature troppo alte, può dare indicazioni un po' diverse. Le Chatelier ebbe il merito di fare scomparire quasi del tutto questi inconvenienti ricorrendo a una coppia in cui un metallo è platino puro, l'altro platino rodiato o iridiato (1o% di rodio o iridio). La saldatura, senza acidi, deve essere o all'argento o meglio autogena. I fili della pinza allogati in tubicini isolanti e refrattarî, ad es., di quarzo, vengono protetti da una canna di ferro.
Per temperature elevatissime (2000 °C) si ricorre al tungsteno accoppiandolo con un filo di tungsteno legato a molibdeno. Per economia quando si tratta di temperature medie, si possono usare altre coppie che hanno anche il vantaggio di dare forze elettromotrici maggiori. Sono molto adoperate: rame-costantana, ferro-costantana, argento-costantana e, in tempi recenti, cromel (10% cromo, 90% nichelio) - alumel (2% alluminio, 98% nichelio).
Mediante accorgimenti speciali si può usare eventualmente la coppia bismuto-antimonio, la quale è poco maneggevole, ma dà la massima forza elettromotrice. Spesso le coppie termoelettriche vengono, a preferenza di altri strumenti, adoperate in corpi nei quali regnano differenze di temperature e si ha un flusso di calore: è necessario in tal caso che i fili nel loro tratto finale corrano parallelamente alla superficie isoterma t = cost.
Se, ad es., il flusso ha il senso della freccia, la disposizione della fig. 5-a è sbagliata perché lungo i fili della pinza si trasmette calore e viene falsata la temperatura che dovrebbe regnare in A; corretta è la disposizione della fig. 5-b.
f) Pirometri ottici. - L'emissione di luce per via termica comincia sopra 450° circa (Draper): quando si tratta di un corpo "nero", come noi supponiamo, essa ha un andamento ben definito (legge di Planck). Dapprima si avvertono solo i raggi rossi, poi anche quelli gialli, ecc., cosicché nelle officine in cui si richiedono solo indicazioni approssimative basta spesso il giudizio, ad occhio, di una persona pratica: rosso nascente, visibile solo in semioscurità 500 °C, rosso cupo 700° ÷ 900°, arancione 1100° ÷ 1200°, bianco da 1300° in su. Questo concetto che riguarda il colore della luce è applicato anche in modo quantitativo in taluni strumenti, come il piroscopio di Shore per l'acciaio. Più usati però sono quelli nei quali la luce emessa si esamina fotometricamente cioè si gradua in intensità in modo da bilanciare quella di una sorgente campione. Il confronto si circoscrive a un determinato colore (di solito si scelgono i raggi rossi) per rendere il bilancio più sicuro e aumentare la precisione. Nel pirometro di Wanner, più adatto per ricerche scientifiche, la selezione dei raggi è ottenuta scomponendo la luce mediante prismi, la graduazione dell'intensità mediante polarizzatore e analizzatore. Negli strumenti industriali, si ricorre a dispositivi più semplici; per la selezione, basta un filtro: un vetrino che lascia passare solo raggi rossi (λ = 0,66 μ).
Se il pirometro si mette distante, diminuisce il flusso luminoso che arriva all'immagine geometrica S′ del corpo incandescente S, ma diminuisce in pari tempo l'estensione di S′ e la sua luminosità resta immutata, come si dimostra. Le indicazioni dunque sono indipendenti dalla distanza, a patto che l'immagine S′ si "metta a fuoco" correttamente; per altro, non mancano apparecchi più correnti nei quali non occorre questa operazione giacché il cono di raggi luminosi è delimitato opportunamente.
Descriveremo sommariamente i tipi principali dai quali discendono, con varianti più o meno significativi, tutti gli altri apparecchi.
Il pirometro ottico di Fery (fig. 6) porta nel cannocchiale, che si punta verso l'oggetto - per es., un forno - una striscia verticale s di vetro argentato la quale riflette la luce di una lampada campione L. Il campo visivo appare così diviso in una striscia centrale illuminata da L e due zone laterali più splendenti. Esso si rende uniforme attenuando la luce che viene dal forno mediante i due prismi di vetro affumicato collocati sul fronte dell'obiettivo i quali si possono fare scorrere più o meno l'uno sull'altro, in modo da costituire una lamina a facce piane e parallele, di spessore x variabile con continuità. La lampadina L è collocata in un tubo laterale B snodato rispetto al cannocchiale, di cui non impedisce così il movimento; obiettivo A ed oculare C sono spostabili ai fini della messa a fuoco corretta; vicino all'oculare è il vetrino rosso f che fa da filtro.
Ottenuto il bilancio fotometrico, dalla x si ha la temperatura t. La taratura viene eseguita dalla casa costruttrice in base alla legge dell'assorbimento e a quella di Planck. Per la prima, detta I0 l'intensità incidente sul doppio cuneo, quella che ne esce ha il valore di I = m I0 e-nx, dove m tien conto anche delle riflessioni; per la seconda, che fino a 3000° può essere sostituita da quella di Wien più semplice, si ha I0 = α e-β/T, dove T ≅ 273,2 + t è la temperatura assoluta. Segue m α e-β/T • e-nx = I e poiché nel bilancio la I è costante, perché eguaglia quella dovuta alla lampadina campione, si deduce facilmente 1/T = A − Bx, con A, B costanti. La taratura dunque richiede solo la conoscenza di due temperature. Il pirometro descritto discende da quello di Le Chatelier poco diverso concettualmente: la graduazione dell'intensità è ottenuta non mediante assorbimento, ma mediante un diaframma a iride che si colloca di fronte all'obiettivo e restringe più o meno il fascio proveniente dal corpo incandescente.
Finalmente nel pirometro di Holbom e Kurlbaum, a sparizione di filamento, dentro il cannocchiale, nel piano dove si forma l'immagine S′ del corpo incandescente S, si trova il filamento di una lampadina che appare scuro su fondo chiaro, o viceversa, secondo l'intensità della corrente i che vi si manda. Si regola i finché il filamento scompare e sul quadrante del microamperometro si legge la temperatura t. Questo strumento, la cui prima idea è dovuta a Morse, si può rendere molto maneggevole e di piccolo volume.
g) Pirometri a irraggiamento integrale. - A differenza di quelli della categoria precedente, qui si utilizzano tutti i raggi, visibili e invisibili, la cui energia complessiva è proporzionale alla quarta potenza della temperatura assoluta T (legge di Stefan e Boltzmann).
Lo strumento più tipico è il pirometro Fery ad irradiazione totale (fig. 1).
L'immagine del corpo incandescente ottenuta mediante una lente, o uno specchio concavo S (fig. ia), viene a formarsi nel posto dove si trova la saldatura di una pinza termoelettrica P; questa si riscalda e dà origine a una corrente. Sul quadrante del microamperometro A, si legge la temperatura t. Lo specchio S è mobile perché anche qui occorre "mettere a fuoco" l'immagine del corpo incandescente. A tale scopo si guarda P attraverso un foro praticato nello specchio concavo: un particolare ingegnoso di questo pirometro è che l'immagine del corpo incandescente appare spezzata quando la messa a fuoco non è esatta.
È da notare che nei pirometri a irraggiamento integrale agiscono soprattutto i raggi infrarossi e rossi; nelle officine in cui si formano fumi e vapori capaci di assorbirli, sono preferibili i pirometri della categoria precedente.
h) Pirometri fotoelettrici. - La luce di un corpo incandescente colpendo certe sostanze libera elettroni, i quali possono dar luogo a correnti misurabili. Da poco si costruiscono pirometri fondati su questo principio, destinati a quelle applicazioni nelle quali si richiede uno strumento prontissimo atto a seguire rapidissime oscillazioni di temperatura.
Passati in rassegna i diversi tipi di strumenti, vediamo per sommi capi alcuni casi speciali e alcuni problemi, i quali richiedono accorgimenti e apparecchi idonei. Premettiamo, raccolti nelle seguenti tre regole, i criterî generali che si devono tener presenti: 1a. l'introduzione del corpo termometrico deve disturbare il meno possibile la distribuzione della temperatura nell'oggetto; 2a. si deve favorire la trasmissione del calore fra l'oggetto e il corpo termometrico; 3a. si deve contrastare quella fra il corpo termometrico e gli oggetti estranei.
Capita spesso nelle applicazioni di dover misurare temperature di superficie che scambiano calore con un fluido; per es., stufe ad acqua o a vapore.
A parte i ripieghi, come le sentinelle fusibili, si costruiscono per questo scopo termometri a mercurio col bulbo appiattito, p. es., a forma di spirale in modo da aumentare il contatto con la superficie, giusta la regola 2a. L'errore che si commette può essere assai grossolano, specialmente perché si va contro la regola 3a; si può ridurre a qualche grado, se il bulbo si circonda con un cappuccio semisferico di protezione purché questo non alteri notevolmente la propagazione del calore, da cui dipende la distribuzione delle temperature (regola 1a). I termometri elettrici a resistenza si prestano bene quando è possibile applicare contro la superficie il filo e proteggerli dalle dispersioni, ma i più indicati sono generalmente i termometri a coppia termoelettrica. Se però ci si limita ad appoggiare sulla superficie la saldatura della pinza e premere, p. es., con un'asticciola di legno, non è difficile commettere un errore di 10°. Occorre anche qui rispettare diligentemente le tre regole e ricordare quanto si è detto sulla giusta collocazione della pinza. Se la superficie non è metallica, si applica su di essa una lastrina di rame piccola e sottile, sulla quale sia stata saldata la giuntura della coppia e i fili, isolati elettricamente e termicamente, si fanno correre per un buon tratto parallelamente alla superficie; se questa è metallica, il meglio è saldarvi addirittura la coppia. Vi sono poi dispositivi pratici, nei quali questa è costituita da un nastrino teso come un archetto di violino (Cambridge). Per potere esplorare anche superficie concave si aggiunge (fig. 7, Siemens) una forchetta isolante f che si può spingere avanti e indietro: la giuntura termoelettrica è nel centro del nastrino ABCD, teso fra le ganasce articolate g1, g2. Speciali difficoltà presenta la misura della temperatura d'una superficie rotante, p. es., di un rullo di ferro: la coppia termoelettrica, del tipo ad archetto, deve essere poggiata leggermente per diminuire il calore di attrito ed eventualmente si può lubrificare un poco. Comunque, è bene valutare l'errore che si può commettere. Occorrerà confrontare il dispositivo in laboratorio con altro più preciso, nel quale i fili della coppia siano assicurati alla superficie e ruotino solidalmente con essa e con due dischi metallici; questi si fanno pescare in due pozzetti a mercurio e così i fili della coppia si mettono in comunicazione col galvanometro. Va da sé che quando si tratta di superficie roventi, tutte le difficoltà spariscono, perché si può ricorrere a un pirometro a radiazione.
Speciali cure richiede la misura della temperatura di un fluido, quando questo è circondato da pareti a temperatura diversa. Un termometro da stanza, situato in un punto dove l'aria abbia la temperatura 20°, può segnare anche 30° e più, se poco discosto si trova un radiatore, il quale irradii verso il bulbo. L'errore si accresce annerendo il bulbo perché cresce la quantità di calore assorbito; diminuisce usando un bulbo dorato speculare, che riflette i raggi. Il metodo più spiccio per determinare correttamente la temperatura del fluido è quello di provocare un moto relativo fra esso e il corpo termometrico in modo da attivare lo scambio di calore (regola 2a); per il che basta spesso fare oscillare un comune termometro, o rotarlo come una fionda. Comodo e preciso è il dispositivo detto termometro ad aspirazione, usato in meteorologia: il corpo termometrico è circondato da un cilindro verticale lucente, che fa da schermo contro le radiazioni e attraverso esso si aspira l'aria mediante un ventilatore. Analoghe precauzioni sono da prendersi quando il fluido scorra in un tubo: un termometro o una coppia termoelettrica, allogati nel tubicino della fig. 8-a darebbero indicazioni erronee, specialmente quando il fluido è un gas; corretta è invece la disposizione della fig. 8-b; ovvero quella della fig. 8-c quando si usa una coppia termoelettrica.
Conviene notare che la misura della temperatura di un fluido in moto per mezzo di un termometro fisso si può fare con buona approssimazione solo per velocità del fluido moderate. Invero, il fluido che investe il corpo termometrico vi subisce un ristagno e si riscalda (per trasformazione di energia cinetica in calore), per cui la temperatura indicata dallo strumento è maggiore di quella del fluido in moto.
L'effetto è piccolo per basse velocità, ma diviene assai grande per alte velocità, tanto da rendere. da un certo punto in poi totalmente illusoria la misura diretta della temperatura.
Nei processi industriali occorre molte volte registrare l'andamento della temperatura. Si può impiegare qualunque strumento in cui le variazioni della temperatura facciano muovere un indice. Questo si munisce di una puntina scrivente e davanti ad essa si fa muovere con moto uniforme un foglio di carta, di solito avvolto su un tamburo, provvisto di un congegno di orologeria. Siffatti dispositivi portano il nome di termometri registratori o termografi. Anche un termometro a mercurio può servire allo scopo, fotografando il capillare su un film mobile. Vi sono poi termometri avvisatori nei quali quando si raggiungono certe temperature, il filetto di mercurio, o l'indice mobile, chiudono circuiti elettrici che dànno segnali; e termometri regolatori o termoregolatori, nei quali dispositivi analoghi agiscono su valvole da gas o interruttori di corrente, modificando le somministrazioni di calore per mantenere quasi costante la temperatura. Quanto al problema della termometria a distanza non si incontra nessuna difficoltà se si ricorre ai termometri elettrici; stando, p. es., in un ufficio, si può conoscere la temperatura di una caldaia. Se poi si tratta di piccole distanze, si può ricorrere ad altri tipi, p. es. al termometro a tensione di mercurio; per alte temperature, se la visuale è libera, sono indicati i pirometri a radiazione.