MAYER, Teodoro
– Nacque a Trieste, il 17 febbr. 1860, da Ladislao e da Zenobia Ascoli.
Il M. apparteneva a una famiglia ebraica attiva nel commercio e originaria nel ramo paterno dall’Ungheria, in quello materno da Senigallia. Le case commerciali facenti capo ai Mayer nei primi anni Settanta dell’Ottocento si trovarono in cattive acque e subirono un tracollo.
Nel 1873 il M. – costretto ad abbandonare gli studi – si mise alla ricerca di un impiego, dimostrando un precoce interesse per l’editoria: un campo che il progressivo allargamento del pubblico dei lettori, grazie alla crescente alfabetizzazione, apriva a nuove sperimentazioni giornalistico-imprenditoriali anche senza il possesso di elevati capitali d’investimento iniziale.
Nel 1876 rilevò la proprietà di un periodico filatelico a carattere divulgativo, il Corriere dei francobolli, che diresse fino al 1879, quando passò a curare un foglio di pubblicità distribuito gratuitamente, l’Inevitabile. Si indirizzò, quindi, verso la formula di un quotidiano orientato specificamente sulla cronaca locale, Il Piccolo, che esordì il 29 dic. 1881.
In tale veste il giornale ottenne rapidamente il favore di un pubblico di estrazione popolare e di lingua italiana, socialmente maggioritario a Trieste. Una decina di anni dopo, quando la testata si era conquistata uno stabile successo, il M. accettò le offerte di un gruppo di sottoscrittori contigui all’irredentismo. Fu grazie a tali finanziamenti che il M. fu in condizione di pagare la cauzione di 6000 fiorini, richiesta dalla normativa in vigore per i giornali politici, e di acquistare nuovi e più moderni macchinari di stampa. Nel 1893 comparve per la prima volta nelle note tipografiche la dizione Stabilimento editoriale del Piccolo di Teodoro Mayer.
Già negli anni precedenti il M. era entrato a far parte del gruppo dirigente del partito liberalnazionale di F. Venezian espressione della locale borghesia italiana e interprete di una linea di difesa dell’italianità e di valorizzazione dell’ampio statuto di autonomia locale che le leggi austriache riconoscevano alla città. Ai primi anni Novanta, inoltre – auspici personalità come S. Barzilai, giornalista di origine triestina e deputato al Parlamento italiano nelle file repubblicane degli irredentisti, ed E. Nathan – sembra risalire la sua adesione al Grande Oriente d’Italia, al cui interno raggiunse i più alti gradi.
Tra il 1908 e il 1912 fu grande ispettore di rito scozzese, gran tesoriere e membro della giunta esecutiva dell’ordine. Per il tramite dei suoi legami massonici, che avevano ramificazioni anche all’interno della Società Dante Alighieri, il M., in parecchie occasioni, funse da intermediario nel far pervenire a Trieste i finanziamenti che il governo e la Corona italiani destinavano ai liberalnazionali, soprattutto in occasione delle competizioni elettorali.
I continui soggiorni nel Regno d’Italia e le vaste conoscenze acquisite nel mondo del giornalismo e della politica – da A. Bergamini a L. Albertini, da S. Sonnino a G. Giolitti, a L. Luzzatti – consentirono al M., nel 1902, di mettere a segno un’importante operazione editoriale, acquistando la metà del pacchetto azionario dell’Agenzia Stefani, della quale riorganizzò il settore amministrativo e la rete dei corrispondenti.
Portavoce ufficiale del governo italiano, l’agenzia svolgeva una funzione giornalistica non meno importante di quella politica, giacché forniva servizi a una stampa frammentata in molteplici testate locali; all’ingresso nella proprietà della Stefani del M. non dovette dunque mancare l’assenso di alti esponenti governativi, forse dello stesso Giolitti.
Nel 1902 il M. chiese, insieme con la moglie e i due figli, la cancellazione dalla comunità israelitica di Trieste.
Il gesto, cui non seguì la richiesta di aderire a una diversa confessione religiosa, era comune a molti ebrei triestini, che intendevano così anche formalmente segnare il distacco da tempo maturato rispetto alla religione dei padri, nel nome di quegli ideali di liberalismo e di laicismo che essi vedevano attuati non nella cattolica e antisemita Austria, quanto piuttosto nell’Italia nata dal Risorgimento.
I frequenti soggiorni a Roma non interruppero l’attività politica del M. a Trieste. Chiamato dal partito – tra il 1902 e il 1906 – ad alcuni incarichi pubblici fu eletto, inoltre, consigliere comunale tra il 1906 e il 1909 e dal 1913 fino allo scoppio della prima guerra mondiale.
La sera del 23 maggio 1915 Il Piccolo fu distrutto nell’incendio appiccato da un gruppo di filoaustriaci che manifestavano alla notizia della dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria. Il M. si era nel frattempo rifugiato a Roma dove, nel periodo che precedette l’entrata in guerra dell’Italia contro gli Imperi centrali, svolse un’intensa attività interventista, utilizzando la fitta rete di relazioni che da tempo lo collegava ai più importanti politici dell’epoca e, in particolare, a Sonnino. Verso la conclusione della guerra assunse, insieme con altri qualificati rappresentanti dell’emigrazione triestina, una posizione contraria al cosiddetto «patto di Roma» e a qualsivoglia forma di riconoscimento delle esigenze del nuovo Stato jugoslavo, considerando irrinunciabili le richieste italiane su Fiume e sulla Dalmazia; firmò, inoltre, la dichiarazione di solidarietà espressa dalla massoneria alla delegazione italiana che aveva abbandonato il tavolo della conferenza di pace a Versailles. Nello stesso 1919, in un clima di crescente tensione internazionale e interna, mentre il passaggio dall’Austria all’Italia vedeva l’economia triestina dibattersi in una gravissima stagnazione, il M. si apprestava a rifondare Il Piccolo, che fece ritorno nelle edicole il 20 novembre di quell’anno.
Gli furono accanto, nel conferimento dei capitali necessari all’iniziativa, il ceto imprenditoriale cittadino tutto, raccolto intorno alla Banca commerciale triestina, C. Ara e O. Sinigaglia, l’industriale siderurgico che nel 1926 avrebbe sposato la figlia del M., Marcella. In particolare la presenza di quest’ultimo, esponente nazionalista e uno fra i primi aderenti ai Fasci di combattimento (rimasto nel consiglio di amministrazione della società editrice fino al 1927), fa comprendere come ormai i gruppi dirigenti triestini avessero riconosciuto nelle prospettive offerte da uno Stato forte lo strumento per difendere e rilanciare i loro interessi economici nell’area danubiana e balcanica. Si trattava tuttavia di un’alleanza e non di una compiuta identificazione, come nel caso del M., fin dall’anteguerra notabile organico alla cerchia più elevata del potere politico, il quale, compiuto il passaggio dal liberalismo al fascismo attraverso una densa rete di rapporti sapientemente coltivata nel tempo, fu tuttavia sempre attento a salvaguardare la propria autonomia e indipendenza nei confronti del regime (in effetti, solo nell’aprile 1929 fu iscritto al Partito nazionale fascista [PNF], per disposizione del segretario federale). Nell’aprile 1926, quando non vi era più speranza di mantenere in vita la massoneria, da cui peraltro si era già allontanato, il M. firmò nel Corriere della sera un articolo che, elogiando l’opera di Sonnino nel sostenere le rivendicazioni adriatiche, di fatto ricordava – nel momento della soppressione decretata dal fascismo – i meriti dell’associazione nel lungo cammino per l’annessione di Trieste all’Italia.
Nel 1920, dopo aver venduto la sua quota proprietaria nella Stefani a G. Volpi, il M. fu cooptato nel consiglio di amministrazione delle Assicurazioni generali. Nello stesso anno (il 30 settembre) fu nominato senatore e in tale veste assunse più tardi alcuni compiti istituzionali, come la presidenza della Commissione centrale delle imposte dirette, la vicepresidenza della commissione censuaria e l’incarico di relatore del bilancio ufficiale dello Stato.
Snodo importante per l’ulteriore ascesa del M. nel mondo politico-economico fu, nel 1929, l’ingresso della Banca commerciale italiana (Comit) nel sistema industriale-finanziario triestino, il quale – nonostante il declino definitivamente consumatosi nella «grande crisi» e il successivo rapido collasso della Comit – restava tuttavia tanto forte da poter schierare alcuni suoi uomini nei nascenti organismi dell’economia dirigista. Fra questi il M., il quale, nel novembre 1931, con il consenso di Mussolini (e anche di A. Beneduce), fu nominato presidente dell’Istituto mobiliare italiano (IMI).
Sorto da un consorzio di imprese finanziarie pubbliche e private come strumento di erogazione di emissioni obbligazionarie con garanzia dello Stato a favore di aziende in crisi, le scelte economiche che l’Istituto era chiamato a compiere dipendevano pur sempre dalla sede politica che ne aveva deciso le funzioni. Ciò non impedì al M. di ricoprire il suo ruolo con intransigenza, efficienza e rigore, fino a quando, nel giugno 1936, nell’ambito di una più ampia ristrutturazione del sistema industriale e bancario, la presidenza dell’ente fu affidata per statuto al governatore della Banca d’Italia.
Nel 1938 le leggi razziali, nonostante fosse a lui riconosciuta la qualifica di «ebreo discriminato per benemerenze eccezionali», allontanarono il M. da ogni incarico pubblico e lo privarono della proprietà del Piccolo.
Con l’esplicito patrocinio di Mussolini, l’avallo di G. Ciano e del ministro della Cultura popolare, D. Alfieri, il giornale fu venduto a un prezzo di gran lunga inferiore al suo valore di mercato a Rino Alessi, il direttore che lo stesso M. aveva designato a quell’incarico fin dal 1919. L’operazione si configurava non solo come un’espropriazione condotta con la forza di una legge moralmente iniqua, ma anche come il passaggio nelle mani di un personaggio assai più malleabile di un quotidiano che fino ad allora era stato espressione del ceto capitalistico triestino, non interamente appiattito sulle posizioni fasciste, ridimensionato dalle conseguenze della crisi economica e ora anche colpito in una sua fondamentale componente dalle leggi razziali.
Il M. morì a Roma il 7 dic. 1942.
Fonti e Bibl.: Notizie dettagliate sulle ditte commerciali della famiglia Mayer si possono reperire in Arch. di Stato di Trieste, Tribunale commerciale e marittimo in Trieste (1761-1923), bb. 1293, f. 285 (Mayer Ladislao); 1297, f. 507 (Mayer Theodor); Registro ditte, VII.B, Mayer Giuseppe Leonardo. Per la richiesta di cancellazione dalla comunità ebraica e la successiva pratica di «discriminazione» si veda: Roma, Arch. centr. dello Stato, Ministero dell’Interno, Dir. generale Pubblica Sicurezza, Div. Affari generali e riservati, cat. G 1, b. 205: Cancellazioni fino al 1935 comunicate dalla Unione israelitica di Roma, ad nomina; Dir. generale per la demografia e la razza, Affari diversi (1938-45), b. 5, f. 17: Ebrei discriminati, Ebrei discriminati per benemerenze eccezionali, ad nomen; Arch. di Stato di Trieste, Prefettura di Trieste, Gabinetto (1923-52), 077, 1938, b. 397, sottofascicolo M. T. Discriminazione. Per l’attività editoriale del M. si veda: S. Benco, «Il Piccolo» di Trieste. Mezzo secolo di giornalismo, Milano-Roma 1931; S. Monti Orel, I giornali triestini dal 1863 al 1902, Trieste 1976, pp. 232, 301 s., 591-594. Per il ruolo nella Stefani: S. Lepri - F. Arbitrio - G. Cultrera, Informazione e potere in un secolo di storia italiana. L’agenzia Stefani da Cavour a Mussolini, Firenze 1999, pp. 110-116. Le vicende relative all’espropriazione del Piccolo sono in Arch. di Stato di Trieste, Prefettura di Trieste, Gabinetto (1923-52), 0318, 1938, b. 363, f. Il Piccolo. Cambio gestione; 080, 1939, b. 400, f. Aziende ebraiche. Società editrice del Piccolo. Costituzione; tendenziosa e autoassolutoria, a tale riguardo, la ricostruzione di R. Alessi, Trieste viva. Fatti, uomini, pensieri, Roma 1954, pp. 60-82, 166-168. Per l’operato all’interno della massoneria in favore dell’irredentismo e i rapporti con Salandra e Sonnino prima dell’intervento, cfr. T. Mayer, Le speranze di Trieste e l’opera di Sonnino, in Corriere della sera, 14 apr. 1926 (poi anche in Riv. massonica, maggio 1926, pp. 45-51). Per un’interpretazione più generale sui rapporti tra irredentismo e massoneria si rinvia ad A. Millo, L’élite del potere a Trieste. Una biografia collettiva, Milano 1989, pp. 109-113; più in particolare, abbondante documentazione sui rapporti del M. con la Dante Alighieri in B. Pisa, Nazione e politica nella Società Dante Alighieri, Roma s.d. [ma 1995], pp. 118 n., 121, 123 n., 129, 130 n., 142 n., 191 n., 255 n. Sui rapporti con L. Luzzatti in relazione alla sua attività di pubblico amministratore a Trieste: A. Millo, Storia di una borghesia. La famiglia Vivante a Trieste dall’emporio alla guerra mondiale, Gorizia 1998, pp. 129 s., 162, 263 n. La posizione del M. sul problema adriatico in R. Monteleone, La politica dei fuorusciti irredenti nella guerra mondiale, Udine 1972, pp. 78, 171, 195. La presidenza all’IMI è ampiamente analizzata in G. Lombardo, L’Istituto mobiliare italiano. Modello istituzionale e indirizzi operativi: 1931-1936, Bologna 1998, specialmente pp. 43-49, 273-291.