LEVI, Teodoro (detto Doro)
Nacque a Trieste il 1° giugno 1898 da Edoardo e da Eugenia Tivoli. Effettuò gli studi inferiori nella città natale e poi al liceo Galilei di Firenze, partecipando diciannovenne, come volontario, al primo conflitto mondiale. Gli anni universitari, presso la facoltà di lettere dell'allora R. Istituto di studi superiori di Firenze, furono determinanti per la sua formazione, con un'originaria vocazione di antichista orientato per il mondo greco, piuttosto che di archeologo.
Nella facoltà fiorentina insegnavano il grecista G. Pasquali, il latinista F. Ramorino e lo storico antichista L. Pareti; il L. seguì anche corsi di paleografia classica con E. Rostagno, e di lingua greca e latina con lo scolopio E. Pistelli.
Con Pistelli discusse la tesi di laurea su "Il concetto di kairòs nel pensiero dei Greci", nel dicembre del 1920. Il deus ex machina dei classicisti - non solo fiorentini - era allora D. Comparetti, che fece probabilmente da tramite fra il L. e F. Halbherr, primo esploratore italiano di Creta, ordinario di epigrafia e antichità greche a Roma. Effetto di questo incontro fu il trasferimento del L., per il solo secondo anno di corso, all'Università capitolina.
Nel dicembre 1921 il L. iniziò, con A. Della Seta, l'alunnato alla Scuola archeologica italiana di Atene, presso la quale si sarebbe trattenuto, a vario titolo, fino a tutto il 1924.
Sono di questo periodo gli scavi sulla pendice sud dell'Acropoli, nella grotta delle Ninfe a Farsalo, nella necropoli geometrica della Panaghia Kardianì a Tinos, nella grotta di Aspripetra a Kos (tutti pubblicati nell'Annuario della Scuola). Del maggio-giugno del 1924 è l'impresa di Arkades (Creta), espressamente voluta da Halbherr.
Ispettore (dal 1926) e poi direttore (dal 1935) presso la soprintendenza alle Antichità dell'Etruria, scavò a Chiusi, Vetulonia, Volterra, Massa Marittima, Giannutri. Nel 1931 ottenne la libera docenza in archeologia e storia dell'arte greca e romana, e partecipò alla spedizione italiana nel centro neoassiro di Katzu o Kalzu (febbraio-aprile 1933). Contribuì alla raccolta dei materiali della sezione Oriente per la Mostra Augustea della romanità, inaugurata a Roma nel settembre 1937.
Professore straordinario (dal novembre 1935) e ordinario (dal 1938) di archeologia e storia dell'arte greca e romana presso l'Università di Cagliari, fu, nello stesso periodo, soprintendente ad interim della soprintendenza alle Opere d'arte e di antichità della Sardegna.
Scavò, fra l'altro, la necropoli preistorica di Anghelu Ruju, il nuraghe di Cabu Abbas, le necropoli puniche di Olbia, il villaggio nuragico di Serra Orrios (Dorgali); curò i restauri dell'ipogeo tardoromano di S. Salvatore in Cabras.
Alla fine del 1938, dispensato dal servizio a seguito delle leggi razziali, emigrò negli Stati Uniti, accolto dall'Institute for advanced studies di Princeton, dove si trattenne fino al 1945.
Dallo scorcio del 1945 reintegrato nella cattedra di Cagliari, non riprese servizio ma fu impegnato a Roma. Creò la direzione generale dell'Ufficio per le relazioni culturali con l'Estero presso il ministero della Pubblica Istruzione; recuperò le biblioteche dell'Istituto archeologico germanico e la Hertziana di Roma, occultate a Salisburgo; contribuì alla fondazione dell'Istituto centrale del restauro.
Nominato direttore della Scuola di Atene dal 1947, ne riaprì i corsi dal 1950, quando riprese anche lo scavo di Festòs (fino al 1967), dando anche impulso all'organizzazione delle missioni italiane in Oriente; propiziò inoltre la pubblicazione dello scavo di Poliochni. Del 1960 è l'inizio dello scavo di Iasos, in Caria. Nel dicembre del 1975 fu inaugurata la nuova sede della Scuola, della quale rimase direttore fino agli inizi del 1977, a limiti di età largamente superati.
Il L. morì a Roma il 3 luglio 1991.
Dal novembre 1956 fu socio corrispondente, e dal settembre 1968 nazionale dell'Accademia dei Lincei; dal 1967 socio straniero dell'Accademia di Atene.
Dalla tesi di laurea dipendono direttamente tre lavori del biennio 1923-24: La psicologia dei personaggi sofoclei e l'opportunità, in Atene e Roma, n.s., IV (1923), pp. 18 s.; Il kairòs attraverso la letteratura greca, in Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconti cl. di scienze morali storiche e filosofiche, s. 5, XXXII (1923), pp. 260-269; Ilconcetto di kairòs e la filosofia di Platone, in Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconti, cl. di scienze morali storiche e filosofiche, s. 5, XXXIII (1924), pp. 93-98. Ma i primi contributi in assoluto, specificamente epigrafici, sono da mettere in rapporto con espliciti suggerimenti di Halbherr: Le iscrizioni metriche e le regole di G. Meyer, in Atti della R. Accademia dei Lincei. Rendiconti, cl. di scienze morali storiche e filosofiche, s. 5, XXVIII (1919), pp. 308-311; la Silloge in corsivo delle iscrizioni metriche cretesi, già pronta "per le stampe prima della fine della guerra", vedrà la luce in Studi italiani di filologia classica, n.s., IV (1923), pp. 121 s., senza che il giovane L. potesse apportare le correzioni maturate con la successiva autopsia dei testi; Iscrizione metrica cretese sul culto degli eroi, in Riv. di filologia e d'istruzione classica, n.s., III (1925), pp. 208 s., è già frutto delle esplorazioni nell'isola. La Silloge (quando il L. non aveva ancora iniziato a lavorare alla tesi) era preceduta da una corposa introduzione, nella quale era inevitabile "la soverchia dipendenza di fronte ai primi editori" dei testi.
La ricca produzione degli esordi palesa due distinti e affini filoni di interessi per il mondo greco, che impronteranno, debitamente trasfigurati, gli anni della maturità: quello epigrafico direttamente ispirato da Halbherr, e quello più storico-culturale, condizionato dai classicisti fiorentini, Pistelli in primis. L'indagine sul concetto di kairòs, nei suoi aspetti letterari e filosofici, si prefigura anzi come una sorta di ideale "iconografia", il cui punto di arrivo possono essere considerati i "mosaici pavimentali antiocheni". La decisiva scelta ateniese, ispirata da Halbherr, propone una sintomatica somiglianza nelle tappe iniziali del cammino scientifico di entrambi, trasformati dalle circostanze (pur con esiti assai differenti) in esploratori e archeologi di campo.
Gli interessi più squisitamente filologici trovano ancora modo di manifestarsi nei primi lavori del L. ad Atene: Il Pritaneo e la Tholos di Atene, in Annuario della Scuola archeologica d'Atene, VI-VII (1923-24), pp. 1-25; i contributi su Le cretule di Haghia Triada, ibid., VIII-IX (1925-26), pp. 71-156 e su Le cretuledi Zakro, ibid., pp. 157-201, lungo quella linea "iconografica" già in nuce nelle ricerche fiorentine, dovevano invece costituire il preludio di un monumentale corpus sulla glittica minoica (assegnatogli dallo Halbherr già prima del periodo di alunnato), che non vide mai la luce. Il fatto più notevole del periodo ateniese rimane, comunque, il magistero di Della Seta, raffinatissimo e sensibile esegeta della scultura classica, ma anche convinto assertore della ricerca sul terreno. In questo contesto il L., convertitosi definitivamente allo scavo, avrebbe maturato uno specifico interesse per due distinti ambiti cronologici: il periodo geometrico e protoarcaico da un lato, le età preistoriche dall'altro. La ponderosa monografia Arkades, una città cretese all'alba della civiltà ellenica, in Annuario della Scuola archeologica d'Atene, X-XII (1927-29), pp. 5-723, ripropone, attraverso il riconoscimento di una "civiltà di Arkades", il problema della nascita dell'arte greca.
Vengono riaffermati il ruolo centrale dell'isola nella mediazione delle influenze orientalizzanti e l'ipotesi di continuità culturale dall'epoca micenea all'età arcaica, capisaldi delle ricostruzioni storiche del Levi. In questa corposa opera giovanile (dove si avverte una specifica attenzione "filologico-antiquaria" a "gli Arcadi di Creta", con un epidermico riferimento conclusivo a Dedalo e ai Dedalidi), c'è già l'editore di scavo della maturità: vi si trovano, in particolare, le lunghe e minuziose descrizioni di ruderi e materiali, in un discorso continuo che esclude il catalogo tradizionale; vi si apprezzano la vastità dei confronti, l'attenzione per il dettaglio a prima vista insignificante, la conoscenza delle fonti letterarie.
Il posto al Museo di Firenze apre per il L. il capitolo degli interessi etruschi; una serie di fortunati scavi (soprattutto a Chiusi) trova rapida pubblicazione, e vengono anche portati a conclusione alcuni dei lavori avviati ad Atene: Abitazioni preistoriche sulle pendici meridionali dell'Acropoli di Atene, ibid., XIII-XIV (1930-31), pp. 411-491 e I bronzi di Axòs, ibid., pp. 43-146.
Ne L'arte etrusca e il ritratto, in Dedalo, XIII (1933), pp. 193 s., in diretta polemica con C. Anti, si rivendica agli Etruschi "la creazione e la diffusione del ritratto realistico", con affermazioni teoriche (in un momento di definizioni a effetto per le manifestazioni artistiche dei Tursenoi), quali "un'immanenza della forma nella materia organicamente individuata e vivificata", oppure "un'unità assoluta, quasi quella del fenomeno e del noumeno".
Dei numerosi lavori sul campo effettuati in Sardegna i due più notevoli sono L'ipogeo di San Salvatore in Cabras (Roma 1949) e La necropoli di Anghelu Ruju e la civiltà eneolitica della Sardegna, in Studi sardi, X-XI (1952), pp. 5-51. Una serie di contributi parziali preludono ai due monumentali tomi del 1947 Antioch mosaic pavements.
L'accurata descrizione e le felici e dotte interpretazioni delle scene figurate rappresentano, assai più delle considerazioni stilistiche, un vero e proprio modello. "I mosaici pavimentali antiocheni" ci consegnano uno studioso ormai nel pieno della maturità, a suo agio nei meandri dell'iconografia antica, sostenuto da una spessa cultura filologico-letteraria (retaggio degli anni universitari): vi si sentono gli esiti più raffinati della grande tradizione "positiva" dell'antiquaria, fondamento stesso della scienza dell'Antichità. Diverso è il problema delle osservazioni storico-artistiche, per le quali il L. non nutrì forse mai un autentico interesse; il positivismo di E. Loewy, o la lettura "anatomica" del discepolo Della Seta, per tacere delle costruzioni teoriche dell'idealismo crociano, mal si prestavano, fra l'altro, alla decodificazione dell'arte romana. Il confronto fra mondo greco e romano (e il L. fa chiaramente capire da che parte stia), il "dualismo perenne" nell'arte romana, che "porta a compimento le conquiste iniziate dalla greca", oppure "l'abbraccio di Roma e dell'Oriente che ha portato alla formazione dell'arte medievale", sono fra le chiavi di lettura proposte ne L'arte romana. Schizzo della sua evoluzione e sua posizione nella storia dell'arte antica, in Annuario della Scuola archeologica d'Atene, n.s., VIII-X (1946-48), pp. 229-303, concepito come appendice ai volumi sui mosaici antiocheni.
Il cantiere di Festòs, come ogni grande scavo, finì per irretire, o comunque per limitare fortemente, la libertà di ricerca del L., il quale procedette subito su un doppio binario obbligato: quello delle tempestive, ponderose, complicate relazioni preliminari; e quello degli articoli in difesa delle sue tesi rivoluzionarie e delle contestazioni del metodo altrui.
Sulla base della sua interpretazione dello scavo di Festòs (di lettura tutt'altro che facile), il L. ridisegna il quadro cronologico (con un'"immensa contrazione") dell'intera civiltà minoica, contrastando soprattutto le opinioni di A.J. Evans, fino a essere tacciato (e se ne gloriava con i collaboratori e gli amici), di autentica eresia.
I tanti corsi di topografia ateniese gli dettano l'Enneakrounos, in Annuario della Scuola archeologica d'Atene, n.s., XXIII-XXIV (1961-62), che costituisce una delle rare sortite dalla problematica preistorica, come Il Cabirio di Lemno (1966), basato su scavi inediti della Scuola.
Una delle grande intuizioni del L., la ricerca in loco dei legami fra mondo minoico e anatolico, riannodava le fila di un discorso giovanile: quello dei saggi a Giokciallar presso Bodrum voluti da Della Seta, che aveva tentato invano di ottenere una concessione di scavo in Caria. La felice scelta di Iasos, nel 1960, consentirà al L. di gettare le basi di una seconda storia di lungo periodo, in qualche misura più articolata di quella di Festòs, e certamente di maggior peso per i periodi recenti.
La fatica più consistente dell'ultimo periodo è rappresentata dalla pubblicazione definitiva, a Roma, dello scavo festio (Festòs e la civiltà minoica), con un preciso piano dell'opera, lasciato in parte in retaggio ai collaboratori di quell'esaltante impresa.
Due tomi di testo e due di tavole costituiscono il primo volume (1976), nel quale il L. ha ripreso, in maniera analitica e con ampio corredo grafico e fotografico, la descrizione delle strutture e degli strati relativi ai periodi più antichi (fino alla distruzione del primo palazzo): la qualità e la quantità dei dati, qualche volta appena offuscata da uno stile niente affatto semplice ("asburgico", sosteneva con civetteria), ne fanno uno strumento di lavoro indispensabile; l'abbondanza delle descrizioni e dell'apparato documentario avrebbe consentito, inoltre, una puntuale verifica dell'interpretazione stessa delle strutture. Il primo fascicolo del secondo volume costituisce invece, come introduzione allo studio dei materiali, la summa delle critiche alle proposte stratigrafiche e cronologiche dei diversi autori per le varie località di Creta; e rappresenta anche il compendio della ricostruzione da lui proposta per le singole fasi della civiltà minoica (La civiltà minoico-micenea a un secolo dalla sua scoperta, 1981). Il secondo fascicolo (in collab. con l'allievo F. Carinci) è dedicato, infine, ai ritrovamenti di età medio-minoica, per i quali il L., ormai alla soglia dei novant'anni, volle coinvolgere, ma solo programmaticamente, la categoria storico-artistica, forse a riprova del suo anomalo rapporto con tale tipo di interessi (L'arte festia nell'età protopalaziale. Ceramica e altri materiali, 1988): a un'elaborata e documentata classificazione tipologica delle numerosissime forme, si accompagna una stringata e succosa conclusione di carattere storico, in un'opera atipica, sprovvista ancora una volta di catalogo, ma fornita delle preziose associazioni dei vari depositi ceramici.
Lo scavo e la ricerca militante (quello degli anni ateniesi e del magistero di Della Seta), in accordo con precise tendenze dell'archeologia nazionale, rappresentano certamente il fulcro degli interessi scientifici del L., ma pari dignità egli riconobbe alla tradizione letteraria e alle indagini iconografiche, risalenti agli anni universitari. Conditi, entrambi gli ambiti, da una grande voglia di fare e da un innato gusto per la polemica; sorretti da un sano eclettismo che tollerava "risvegli" e "ristagni" dell'arte e considerava "il buon senso" categoria ultima nella ricostruzione della "storia della civiltà". Le grandi idee di carattere generale (spesso intuite piuttosto che argomentate nel dettaglio), ma anche le tante argomentazioni disperse in mille rivoli, hanno trovato modo di esplicarsi per un arco di tempo che va dal neolitico al bizantino, con coperture di campo oggi impensabili.
Il L. ha vissuto con esemplare coerenza l'avvento della New Archaeology, proponendosi come campione di un'archeologia "positiva" e "umanistica", che il lungo periodo della sua produzione scientifica rischia di far apparire riduttiva. Ha tenacemente perseguito l'interpretazione e la storicizzazione dei dati di scavo, assumendosi il compito del distruttore di ipotesi consolidate. Le rovine e i depositi ceramici protopalaziali di Festòs continueranno a far discutere, le ulteriori scoperte di Iasos confermeranno l'importanza strategica di quell'approdo, la novella di Nino e Semiramide e le tante felici proposte dei "mosaici di Antiochia" saranno ancora citate, assicurando al L. un posto preciso nella storia degli studi archeologici.
La bibliografia degli scritti del L. fino al 1973 è in Antichità cretesi. Studi in onore di Doro L., I, Catania 1977, pp. XI-XIX; quella successiva, a cura di F. Carinci, è in Eumeneia, Omaggio a Doro L., Roma 1990, pp. 190 s.; vedi anche Doro L., in Biografie e bibliografie degli accademici lincei, Roma 1976, pp. 1013-1019. Da ultimo E. Gerlini, Scritti di Doro L., in Mnemeion.Ricordo triestino di Doro L. Atti della giornata di studio, Trieste… 1992, a cura di P. Cassola Guida - E. Floreano, Roma 1995, pp. 183-197; si aggiunga ancora una recensione del L. a E. Hallager, The Mycenaean Palace at Knossos, Stockholm 1987, in Studi micenei ed egeo-anatolici, XIX (1978), pp. 256-259.
Fonti e Bibl.: Per i numerosi necrologi apparsi nella stampa quotidiana, italiana e greca, vedi E. Gerlini, Doro L. Nota biografica, in Mnemeion…, cit., pp. 169-178.
V. La Rosa, Gli scavi e le ricerche di età minoica, in Creta antica, Cento anni di archeologia italiana (1884-1984), Roma 1984, pp. 38 s.; Ch. Kritzas, Epitymvio ston Ntoro L. 1898-1991, in Kritikà Chronikà, s. 3, 1990, n. 20, pp. 162-164; A. Di Vita, A Doro L.: in memoriam, in Annuario della Scuola archeologica italiana di Atene, LXVIII-LXIX (1990-91) pp. 7-11; V. La Rosa, T. L., ibid., pp. 13-15; V. La Rosa, Ricordo di Doro L., in Sileno, XVII (1991), pp. 349-358; J. Triantaphyllopoulos, Doro L., in Riv. storica dell'antichità, XXI (1991), pp. 243-246; G. Pavan, L'ultimo saluto a Doro L., in Archeografo triestino, s. 4, LI (1991), pp. 499-503; B. Conticello, Ricordo di Doro L., maestro di scienza e di vita, in Riv. di studi pompeiani, V (1991-92), pp. 7-12; Gh. Korres, Parousiasi tou ergou tou timomenou, in Episimoi Logoi, 29, 1986-88, (Ethnikòn Kapodistriakòn Panepistìmion Athinòn), Atene 1992, pp. 653-657; C. Laviosa, Doro L. (1898-1991), in American Journal of archeology, 1993, n. 97, pp. 165 s.; Omaggio a Doro L., a cura di F. Lo Schiavo (Quaderni della Soprintendenza archeologica di Sassari e Nuoro, n. 19), Ozieri 1995; Giornata lincea in ricordo di Doro L., Roma 7 marzo 1995 [ma 6 febbr. 1996], in Atti dell'Accademia naz. dei Lincei. Rendiconti, cl. di scienze morali, storiche e filologiche, s. 9, IX (1998), 2; Per i cento anni dello scavo di Festòs, in Creta antica, 2000, n. 1, pp. 13-39 passim.