CICONI, Teobaldo
Nacque a San Daniele del Friuli (Udine) il 20 dic. 1824, figlio dell'avv. Pietro e Teresa Perusini. Nel 1835-42 compì gli studi ginnasiali al collegio civico di Udine, sotto la guida di G. F. Cassetti e di don L. Candotti. Nel 1843 si iscrisse alla facoltà giuridica dell'università di Padova, seguendo le esortazioni del padre. Qui conobbe giovani letterati, che divennero suoi amici, A. Aleardi, L. Fortis, G. Prati, e collaborò al Caffè Pedrocchi e al Giornale Euganeo diretti da G. Stefani.
A San Daniele, il C. aveva fatto rappresentare ancora adolescente due lavori drammatici: Il mussulmano e Rondello e il califfo; a Padova egli presentò nel '45 la Speronella, una tragedia in versi di scarso effetto scenico; compose puxe malinconici versi, pubblicandone alcuni in opuscoli d'occasione; abbozzò inoltre un poema eroicomico dal titolo La presa di Tricesimo. Nel 1846 compì un viaggio di istruzione a Firenze, Roma e Napoli, soggiornando più a lungo in Toscana; al ritorno, nell'entusiasmo sollevato dall'elezione di Pio IX, compose e pubblicò a Padova il canto La fratellanza cristiana. Egli trascurava i suoi studi per le lettere, prediligeva Dante e la visione romantica del Medioevo; molto religioso, subì l'influsso del Manzoni e della sua poetica.
Nella primavera del 1848, allo scoppio dei moti rivoluzionari, il C. era in Friuli. Ad Udine collaborò con fervore ai giornali patriottici, compose i versi della Ronda della Civica che ebbero larga diffusione, poi quelli per i caduti di Milano e sull'Eroismo femminile. Qualche mese dopo, passando per Treviso dove incitò il popolo alla difesa, raggiunse Venezia, dove fu ufficiale addetto allo Stato Maggiore e segretario di G. B.Cavedalis e si adoperò per la formazione del corpo dei volontari della legione friulana. Nel dicembre dello stesso anno pubblicò a Venezia il canto Papa e Re, in cui deplorava la condotta politica del pontefice. Poi, al principio del '49, si recò a Roffia, dove svolse opera di propaganda unitaria e di conciliazione fra i partiti, collaborò all'Epoca e conobbe A. Ristori e T. Salvini.
Caduta la Repubblica romana, il C. attraverso la Lombardia rientrò in patria, riprese gli studi a Padova e vi si laureò nel 1850. Compiuto il tirocinio professionale ad Udine presso l'avv. G. De Nardo, per breve tempo lavorò nello studio del padre a San Daniele. Ma, dopo la scomparsa della madre, i rapporti col padre erano difficili, mentre la carriera forense gli veniva preclusa dagli ostacoli governativi nei confronti dei sospetti politici. Stabilitosi ad Udine, collaborò più intensamente a giornali e a riviste: al Friuli, alla sua Giunta domenicale (1851), poi all'Annotatore friulano, in cui erano operosi P. Valussi, P. Zorutti e C. Percoto; alle Letture di famiglia di Trieste, dirette con larghezza di vedute da O. Occioni; a Quel che si vede e quel che non sivede di Venezia, diretto da L. Fortis.
Il C., che usava firmarsi "Cicony" e "Baldoria", vi pubblicò versi e novelle, trafiletti polemici e le "scene contemporanee" contro l'oppressione straniera; con gli stessi intenti scriveva pure su Il Pungolo, Il Panorama, L'Età presente e L'Alkanza di Milano. Egli raccolse i suoi versi nel volume Canti lirici (Venezia 1853), ma le critiche - specie quella de Il Crepuscolo - gli furono sfavorevoli, rilevando vari difetti stilistici, manierismo e monotonia. Maggiore accuratezza egli conseguì ne Il ferito della Crimea (1855) e in alcune liriche per nozze, Alle giovani madri (Udine 1856)e Indirizzo poetico alle donne svizzere (Rovigo 1857) dove sono presenti insieme due temi cari al C.: l'esaltazione ideale della donna e l'intento educativo e civile.
L'inquieta sensibilità del poeta era acuita dalla tisi e dagli stretti rapporti con colti amici, come i coniugi A. ed E. Fusinato ed I. Nievo, che egli ospitò a San Daniele. Per il Fusinato egli compose commossi versi e molto lodata fu una sua barcarola AVenezia. Nello stesso '56 a Milano, nel salotto Maffei, egli conobbe il Manzoni; poco dopo, per nozze, pubblicò la prima traduzione italiana di alcuni Lieder di H. Heine (Rovigo 1857).
Nel 1857 il C. colse i primi successi teatrali con il dramma storico Eleonora di Toledo, rappresentata ad Udine, e seguito poco dopo da Le pecorelle smarrite (da Ostrovskij), disinvolta commedia di ambiente borghese, in cui hanno gran parte l'amore e la gelosia. Poi, nell'imminenza della guerra del '59, lo scrittore lasciò il Friuli e, dopo un breve soggiorno in Toscana dove conobbe G. Cappord e G. B. Niccolini, si recò in Piemonte. A Torino, al teatro Carignano, la compagnia Trivella mise in scena alla vigilia del conflitto la sua commedia Troppo tardi (o Antichi e moderni), allegoria patriottica molto applaudita. Nello stesso tono, vibrante dell'entusiasmo dell'ora, egli compose i versi per la consegna della bandiera ricamata dalle donne istriane e friulane alla brigata Ravenna, e nel '60 I garibaldini (in versi martelliani).
In quell'anno il C. si era stabilito a Milano come emigrato politico, per dedicarsi completamente al giornalismo e al teatro. Con A. Ghislanzoni fondò Il Lombardo con gli "spiritelli" - articoli satirici contro prepotenze e malcostume - collaborò allo Spirito folletto. Tradusse allora drammi e romanzi francesi alla moda, di Dumas figlio, Barrière, Feuillet, Augier e Sardou, dai quali trasse insegnamento per i suoi lavori, che si succedettero a breve distanza. Dopo i convenzionali Peccati vecchi e penitenza nuova, apparvero fra il '60 e il '61 Le mosche bianche, storia movimentata di due ragazze che malgrado tutto rimangono oneste, e La rivincita, poi con enorme successo La statua di carne (1862), dramma romanzo che a forti tinte narra la vicenda d'una mondana redenta dall'amore. La commedia si legava alla vita stessa dell'autore, che la scrisse ispirato da un'attrice (i biografi sono incerti fra C. De Martini e F. Sadowski). Legato alla compagnia Bellotti Bon e al commediografo P. Ferrari, il C. ottenne in questi anni successi in tutta Italia e febbrilmente compose nuovi lavori, bruciando la sua gracile esistenza. La figlia unica, dramma familiare di forte naturalezza, dato al teatro Gerbino di Torino alla fine del '62, riscosse consensi in tutta Italia, mentre le condizioni di salute dell'autore rapidamente peggioravano.
Il suo era un teatro popolare, ma mai triviale poiché sorretto da vigile senso di responsabilità e da intento morale. Già nelle lettere aperte indirizzate ad A. Ristori in Letture di famiglia (1853), il C. aveva chiarito il proprio pensiero sull'arte drammatica, che egli voleva emancipata dalla censura e dall'imitazione francese, ispirata dallo studio dell'ambiente e da propositi di rinnovamento. Anche nei lavori di grande effetto, ultraromantici, egli restò fedele ai suoi ideali, e ciò spiega gli applausi del pubblico, che amava il suo autore per i dialoghi spigliati, i caratteri rilevati e l'azione, mentre ne scusava le assurdità e lo stile frettoloso e sciatto. Alcune commedie durarono ed ebbero qualche ripresa (specie La statua di carne, Figlia unica, Peccati vecchi e penitenza nuova). Nella svolta, che la letteratura mostrava con il compimento dell'Unità nazionale, il C. ebbe parte: egli mosse dai temi storici e dagli intenti patriottici al teatro romanzesco e d'impegno sociale, oscillando fra il sentimentalismo romantico e l'imitazione francese. Diede lavori modesti e per lo più effimeri, sulla linea meglio realizzata da P. Giacometti e da P. Ferrari.
Negli ultimi mesi, assistito dal prof. Gola e da, numerosi amici, quali F. Verzegnassi, E. Sonzogno, e l'attore C. Marchi, il C. abbozzò due lavori teatrali, La primogenitura e La gelosia (da Jókai), destinati a rimanere incompiuti. Aggravatosi il male, egli morì a Milano il 29 apr. 1863. La sua scomparsa suscitò largo compianto, scritti in prosa ed in versi, discorsi. Dopo le solenni esequie a Milano, la salma fu traslata in maggio ad Udine.
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