NUVOLARI, Tazio Giorgio
NUVOLARI, Tazio Giorgio. – Nacque a Castel d’Ario (Mantova) il 16 novembre 1892, quarto dei cinque figli di Arturo (1863-1938) e di Emma Elisa Zorzi (1864-1943), benestanti proprietari terrieri. Tra i membri della famiglia, Giuseppe Nuvolari (1820-1897), cugino dell’omonimo nonno di Nuvolari, era stato uno dei principali finanziatori della spedizione garibaldina dei Mille.
Studiò con scarso impegno ma crebbe in un ambito familiare in cui lo spirito della competizione regnava sovrano. Il padre e il fratello minore di questi, Giuseppe (1871-1962), si affermarono nelle prime gare di ciclismo su pista; Giuseppe fu più volte campione d’Italia e vittorioso anche all’estero, a Parigi, Amburgo, Londra, nella velocità e nel mezzofondo dietro motori. Il piccolo Nuvolari era particolarmente affezionato allo zio Giuseppe, che ammirava molto e le cui gesta sognava di emulare. Da lui ebbe in regalo, a sei anni, una piccola bicicletta, e da lui apprese, a tredici, a guidare la moto. Un anno prima, il 5 settembre 1904, con il padre e lo zio, aveva assistito per la prima volta a una corsa di auto, il Circuito di Brescia, disputata su un tracciato che toccava anche Cremona e Mantova, e aveva visto in azione campioni come Felice Nazzaro, Vincenzo Lancia, Alessandro Cagno, restando affascinato dallo spettacolo della velocità.
Adolescenza e prima giovinezza di Nuvolari furono costellate di episodi rocamboleschi che contribuirono a creare attorno al personaggio l’alone mitico di un predestinato del rischio e dell’avventura: la fuga notturna con l’auto di famiglia; il volo dal tetto di casa con l’improbabile rottame di un aereo Blériot, atterraggio su un pagliaio e frattura di una clavicola; la sfida con il padre, che lanciò tra le zampe di un cavallo una moneta: il ragazzo la raccolse e ricevette un calcio che gli fratturò una gamba, lasciandogli in eredità per tutta la vita la traccia di un impercettibile claudicare.
Due anni dopo il servizio militare, prestato nel 1913, fu richiamato alle armi allo scoppio della prima guerra mondiale. Impiegato come autiere sul fronte orientale, guidò autolettighe della Croce rossa, autocarri e automobili per il trasporto degli ufficiali. Congedato nel 1917, dopo che gli era stato diagnosticato un focolaio di tubercolosi, tornò a Castel d’Ario, dove ‘rapì’ consensualmente una ragazza di due anni più giovane di lui, Carolina Perina (1894-1981) e la sposò a Milano con rito civile. L’anno successivo nacque il primogenito, Giorgio.
Dopo la guerra non volle occuparsi dell’azienda agricola del padre, affiancando invece lo zio nel commercio di auto e moto. Nel 1920 ottenne dal Moto Club d’Italia la licenza di corridore motociclista e il 20 giugno, iscritto come Giorgio Nuvolari, esordì nel Circuito di Cremona, in sella a una Della Ferrera 600, ma si ritirò per un guasto. Si convinse presto, soprattutto per ragioni economiche, a puntare principalmente sulle due ruote e nel 1923 fece delle corse la sua principale attività. Iniziò a collezionare successi, dando prova di grande audacia e di straordinaria capacità di adattarsi a qualunque tipo di gara, mezzo, percorso, clima. Nel 1924 colse la sua prima vittoria assoluta in auto (Circuito del Tigullio, su Bianchi) ma soprattutto dominò la scena motociclistica conquistando con la Norton il titolo italiano della classe 500. Dal 1925 al 1930 si esibì solo in sella alla Bianchi 350, la ‘Freccia celeste’, che ebbe in lui un interprete irresistibile. La sua popolarità era straripante. La stampa lo definiva ‘il campionissimo’ della moto, come aveva fatto con Costante Girardengo per il ciclismo.
Nel settembre 1925 l’Alfa Romeo, che in vista del Gran Premio d’Italia di automobilismo cercava un pilota per sostituire Antonio Ascari, uccisosi nel luglio precedente a Montlhéry, lo invitò a un test sulla pista di Monza. Alla guida della formidabile P2, Nuvolari fece registrare subito tempi interessanti ma uscì di strada danneggiando la vettura e ferendosi seriamente. Per quattro anni l’Alfa Romeo non lo prese più in considerazione. Lui non batté ciglio: dopo dodici giorni, ancora dolorante, tornò a Monza, si fece imbottire di feltro e bendare con una fasciatura rigida, e con la ‘Freccia celeste’ dominò il Gran Premio d’Europa di motociclismo.
Negli anni successivi faticò per imporsi con l’auto, alla quale continuava ad alternare la moto, che gli garantiva ingaggi e premi con cui poteva finanziare l’altra, preferita e più costosa attività. Nell’inverno del 1927-28 fondò a Mantova la Scuderia Nuvolari, acquistò quattro vetture Bugatti e ne rivendette due, una delle quali ad Achille Varzi, già suo grande rivale in moto e destinato a essere anche in auto un suo irriducibile antagonista. Nel 1928, anno in cui nacque il secondogenito, Alberto, colse la prima vittoria internazionale nel Gran Premio di Tripoli. Il 1929 fu forse l’anno più difficile, poiché in auto collezionò quasi solo ritiri, ma per buona sorte continuò a dominare in moto, imponendosi in sette gare su undici.
La svolta decisiva nella carriera fu nel 1930: l’Alfa Romeo decise di concedergli una seconda possibilità e lo iscrisse alla Mille Miglia con una 6C 1750 che Nuvolari condusse a un sensazionale trionfo, superando per primo nella storia della gara i 100 km di media oraria, su un percorso di oltre 1600 km, in gran parte sterrati e con tratti montagnosi.
Secondo al traguardo fu Varzi, su una vettura identica. Di quel duello si tramanda ancora l’episodio dei fari che Nuvolari avrebbe spento per non rivelare all’avversario che gli si stava avvicinando, episodio autorevolmente smentito ma rimasto nell’immaginario come una delle strutture portanti della leggenda del campione.
Entrato in quello stesso anno a far parte della Scuderia Ferrari – fondata alla fine del 1929 da Enzo Ferrari (1898-1988) per gestire l’attività sportiva dell’Alfa Romeo – vinse subito la corsa in salita Trieste-Opicina, dando al sodalizio la prima vittoria di un albo d’oro che non trova paragoni al mondo.
Nel 1930 ispirò un libro (Nuvolari. Ricordi di vita rapida, di Renato Tassinari), il primo di una lunga serie e probabilmente il primo dedicato a uno sportivo. Nel 1932 Gabriele D’Annunzio lo ricevette al Vittoriale e gli donò una piccola tartaruga d’oro, con la dedica «all’uomo più veloce del mondo l’animale più lento sulla Terra», che Nuvolari avrebbe considerato come un amuleto ma anche come un simbolo, appuntandola sulla maglia gialla in corsa, facendola stampare sulla carta da lettere, dipingere sulla fiancata del suo aereo personale. Qualche mese più tardi, Mussolini non volle essere da meno e invitò Nuvolari a Villa Torlonia, non sottraendosi alla tentazione di farsi fotografare nell’abitacolo della vittoriosa Alfa Romeo.
Tra il 1930 e il 1939 la stella di Nuvolari brillò più di ogni altra nel firmamento delle corse. Il ‘mantovano volante’, come era chiamato, svettava ovunque, nei gran premi non meno che nelle grandi corse di durata come la Mille Miglia (1930 e 1933) e la Targa Florio (1931 e 1932), a dimostrazione di una resistenza fisica stupefacente. Era alto 1,64 m e pesava 65 kg: una statura da fantino ma con muscoli d’acciaio e nervi a prova di ogni stress.
La sua guida focosa trasmetteva emozioni che entusiasmavano gli appassionati e poteva trarre in inganno, facendo pensare a un approccio approssimativo, mentre testimonianze, dati cronometrici e soprattutto fotografie documentano eloquentemente la sua eccezionale precisione, in qualunque curva, sorpasso o situazione di gara.
Nel 1933, al culmine di una serie di grandi affermazioni, ‘divorziò’ clamorosamente dalla Scuderia Ferrari, convinto che mettendosi in proprio avrebbe potuto disporre di vetture migliori e guadagnare di più. Acquistò una Maserati e continuò a vincere, ma affrontando costi forse sottovalutati e soffrendo di più di un incidente, il più grave dei quali lo tenne bloccato e menomato per buona parte del 1934.
Frattanto, l’entrata in scena dei costruttori tedeschi Mercedes-Benz e Auto Union modificava i rapporti di forze in campo. Nuvolari ebbe un’offerta dalla Auto Union che cadde per l’opposizione di qualche pilota della squadra, e tornò così a correre con le Alfa Romeo gestite da Ferrari e dalla sua Scuderia, vetture meno potenti e progredite delle concorrenti germaniche, avviate a stabilire una forte egemonia. Fino a tutto il 1936, a spezzare di quando in quando la continuità di quel dominio fu soltanto Nuvolari. Fra le sconfitte imposte alle ‘Frecce d’argento’, come erano chiamate le auto tedesche da corsa, memorabile il Gran Premio di Germania del 1935 ma anche, seppure meno celebrati, quelli della Penya Rhin e d’Ungheria del 1936. Dal 1937 nemmeno Nuvolari riuscì più a competere e nel 1938, dopo un incidente a Pau, in Francia, e l’annuncio di voler lasciare le corse, passò alla Auto Union, adattandosi rapidamente alla guida, per lui sconosciuta, di una monoposto a motore posteriore: tre gare per familiarizzare e, alla quarta, un nuovo superlativo trionfo a Monza. Con la Auto Union vinse ancora a Donington, in Gran Bretagna, e nel 1939 a Belgrado, due giorni dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale.
Dopo il conflitto Nuvolari era l’ombra di se stesso, provato soprattutto dalla morte dei figli, entrambi giovanissimi, a nove anni di distanza l’uno dall’altro: Giorgio per miocardite nel 1937 e Alberto per nefrite nel 1946. Nondimeno riprese a correre, accettò di guidare macchine raramente competitive, riuscì ad aggiungere al suo mirabolante albo d’oro qualche altro successo di categoria (circuiti di Mantova e Forlì) e qualche ‘assoluto’ (Albi, Parma). Furono tuttavia due corse che non vinse a dargli la prova di quanto fosse ancora amato dal pubblico: le Mille Miglia del 1947 e del 1948.
A entrambe prese parte senza allenamento, con il peso dei suoi 55 e 56 anni di una vita consumata al limite e a tratti oltre. Nella prima, al volante di una minuscola Cisitalia 1100, andò irresistibilmente in testa alla corsa, che quell’anno aveva un tracciato di 1800 km anziché 1600. Resistette alla fatica immane, ai conati di vomito, rimediò a un guasto all’accensione, ma un nubifragio riempì letteralmente d’acqua l’abitacolo della piccola spider. Si fermò, ripartì ma ormai la berlinetta Alfa Romeo 2900 di Clemente Biondetti lo aveva superato e lo precedette al traguardo di Brescia. L’anno seguente partì alla guida di una Ferrari 2000, andando ancora al comando e accumulando un vantaggio che aumentò via via fino a superare la mezz’ora al controllo di Firenze. Ma la macchina stava cedendo: perdette un parafango, poi il cofano, gli attacchi dei sedili erano compromessi e infine la rottura del perno di una balestra negò il lieto fine a una fiaba che aveva fatto sognare.
Anche Nuvolari accarezzò un sogno, destinato a restare tale. Nel 1950 fu ritratto al volante di un prototipo avveniristico, la Cisitalia-Porsche, una grand prix a motore centrale-posteriore, quattro ruote motrici e tante altre soluzioni d’avanguardia. Questa vettura, la cui guida gli era stata promessa, lo indusse a fantasticare sull’ultima delle sue imprese ‘impossibili’, quella del ritorno alle corse. A impedirglielo non furono soltanto i suoi 58 anni ma soprattutto il fatto che la monoposto, molto costosa da realizzare e da sviluppare e sorretta da scarsi finanziamenti, non scese in gara.
Disputò la sua ultima corsa – la Salita al Monte Pellegrino – il 10 aprile 1950, conducendo una Cisitalia-Abarth alla vittoria nella categoria Sport, classe 1100. Non annunciò mai il suo ritiro dallo sport attivo. Morì a Mantova l’11 agosto 1953 per crisi cardiaca.
Fonti e Bibl.: R. Tassinari, N.: ricordi di vita rapida, Milano 1930; N., l’asso della velocità, in suppl. a Il Secolo illustrato, I (1933), 4 ; V. Baggioli, T. N., il mantovano volante, Milano 1933; F. Carli, N., I campioni del giorno, in suppl. a La Gazzetta dello sport, 15 maggio 1933; L. Artioli, N., in Galleria dei Campioni, Milano 1953; G. Canestrini, Uomini e motori, Monza 1957; L. Marinatto, Il romanzo di N., Milano 1957; G. Canestrini, Una vita con le corse, Bologna 1962; E. Ferrari, Le mie gioie terribili, Bologna 1962; R. Steinemann, N., München 1967; C. De Agostini, L’antileggenda di N., Milano 1972; G. Cancellieri - C. De Agostini, Le leggendarie Auto Union, Anzola Emilia 1979 (e 1998); A. Santini, N.: il mantovano volante, Milano 1983; C. De Agostini, Tazio vivo, San Lazzaro di Savena 1987; V. Moretti, Quando corre N. …, Roma 1992; F. Zagari, T. N., Milano 1992; T. N.: antologia, a cura di M. Marchianò, Milano 2003; G. Cancellieri - M. Marchianò, T. N., il più grande di tutti i tempi, Rozzano 2003; C. De Agostini, N.: la leggenda rivive, Vimodrone 2003; C. Hilton, N., Derby 2003; G. Cancellieri, T. N.: un’esistenza al limite, Mantova 2011; www.nivola.org.