Vedi TAVOLOZZA dell'anno: 1966 - 1997
TAVOLOZZA (v. vol. vii, p. 630)
Gli ultimi studi sulle t. per cosmetico egiziane hanno portato a ipotizzare un collegamento con il culto del sole, almeno per quanto riguarda la produzione più recente. Le t. si possono dividere in tre gruppi: il primo, più antico, si presenta per lo più con forme geometriche, romboidali o rettangolari, e costituisce un oggetto della vita quotidiana, con tracce dell'uso che ne veniva fatto, cioè quello di frantumare e impastare la polvere colorata del cosmetico per dipingere gli occhi. Il secondo e il terzo gruppo di t., a forma di animale le prime e con complicate scene di caccia o di conquista dei nemici da parte del faraone le più recenti, mostrano invece molto raramente le tracce dell'uso: era stato acquisito infatti da questa categoria di oggetti un valore ormai essenzialmente magico-terapeutico e cultuale.
Poco si conosce delle credenze e pratiche religiose nella preistoria egiziana; è probabile però che già esistesse un particolare culto del sole, identificato con l'occhio di un dio supremo. Come l'occhio del dio ogni giorno risorgeva raggiante, così anche gli occhi dell'uomo dovevano essere preservati dal pericolo e dalla malattia; da questa credenza deriverebbero dunque l'uso di dipingere gli occhi (uso che si perpetua anche in epoca storica) con pittura medicamentosa e la funzione magico-cultuale delle t. di epoca più recente.
Secondo le ultime ipotesi l'improvvisa scomparsa delle t. all'inizio dell'epoca storica è dovuta probabilmente a un cambiamento nella concezione del culto del sole: come è noto infatti il sole diventa una divinità a sé stante e non è più parte (cioè l'occhio) di un dio supremo.
Bibl.: H. Asselberghs, Chaos en Beheersing, Leida 1961; W. M. F. Petrie, Prehistoric Egypt with Corpus of Prehistoric Pottery and Palettes, Londra 1974 (rist.); W. Westendorf, in LÄ, IV, 1982, cc. 654-656, s.v.; T. Viola, M. T. Navale, Il profilo della tavolozza di Narmer, in Memorie dell'Accademia delle Scienze di Torino, s. V, X, 1987, pp. 3-27.
(M. C. Guidotti)