PARMEGGIANI, Tancredi
– Nacque a Feltre il 25 settembre 1927 da Paolo e Francesca Zallot. Insieme ai fratelli più piccoli Romano e Silvia, trascorse i primi anni di vita a Bologna per poi fare ritorno a Feltre, in seguito alla precoce scomparsa del padre e alla malattia della madre. Il cugino Ettore Pietriboni, avvocato, si fece carico degli interessi della famiglia, decidendo di affidare la formazione di Tancredi e di Romano all’istituto salesiano Sperti di Belluno e la sorella Silvia al collegio delle suore di Nevers a Venezia. Interrotti gli studi al liceo classico per scarso rendimento, fu indirizzato dagli stessi padri salesiani verso una formazione artistica, avendo così modo di assecondare quella vocazione al disegno che sin dall’infanzia si era imposta come un’urgenza (Tancredi, 1984, pp. 19 s.), un esercizio sicuro, senza pentimenti, rapido e dalla linea continua, che in seguito avrebbe motivato accostamenti alla grafica di Picasso, Modigliani, Matisse e Cocteau (Bianchi, 2006). Fu il pittore Romano Conversano a preparare il ragazzo per l’ammissione al liceo artistico di Venezia, frequentato per un solo anno in maniera piuttosto irregolare. Nel 1946 s’iscrisse al corso di pittura di Armando Pizzinato nella scuola libera del nudo dell’Accademia di belle arti di Venezia, dove ebbe occasione di entrare in contatto con Guido Cadorin e Virgilio Guidi e di rinsaldare i rapporti di amicizia con Emilio Vedova, già conosciuto fra i partigiani attivi nel Bellunese negli ultimi anni della seconda guerra mondiale (Salvagnini, 2011).
Nel 1947 intraprese un avventuroso viaggio a piedi attraverso l’Italia del Nord e la Francia, con destinazione Parigi. Senza validi documenti per l’espatrio e ancora minorenne, fu bloccato a Lione e costretto a fare ritorno a casa con foglio di via obbligatorio. Rientrato a Feltre, iniziò a frequentare i circoli artistici e intellettuali della cittadina e partecipò anche, in un piccolo ruolo, alle riprese del film La mascotte dei diavoli blu di Carlo Alberto Baltieri (Tancredi a Feltre, 1988). L’anno successivo, raggiunta finalmente la maggiore età, reclamò la propria parte di eredità ed espose in una prima mostra collettiva, insieme al fratello, all’istituto professionale Rizzarda di Feltre. Insieme agli amici e ai colleghi dell’Accademia di Venezia, visitò la XXIV edizione della Biennale, la prima allestita dopo la fine del secondo conflitto mondiale: per Tancredi, come per molti artisti della sua generazione, fu la prima occasione di confronto diretto con i maestri delle avanguardie storiche, dal cubismo al surrealismo, presenti nelle mostre retrospettive e nella collezione di Peggy Guggenheim, eccezionalmente ospitata nel padiglione greco.
Il 1949 fu l’anno della prima mostra personale, nella galleria Sandri di Venezia, con una presentazione in catalogo di Guidi e un testo dello stesso artista, il quale, rinunciando al cognome, si presentava al pubblico con il solo nome. Così soltanto, del resto, firmò sempre tutti i suoi dipinti e i disegni. Con il testo in catalogo, Tancredi inaugurava una consuetudine che sarebbe rimasta costante negli anni a venire: puntellare la propria attività espositiva di scritti, con riflessioni e dichiarazioni di poetica, che restituiscono nel tempo gli svolgimenti della propria ricerca pittorica (l’edizione critica di tutti gli scritti editi e inediti, a cura di C. Scatturin, in Dalai Emiliani, 1996, I, pp. 73-145).
A queste date la pittura di Tancredi risente delle esperienze che avevano segnato la sua formazione e appare ancora incerta fra il primitivismo di un artista come Gino Rossi, cui la Biennale del 1948 aveva dedicato un’importante retrospettiva, la forte fascinazione per Vincent van Gogh, particolarmente evidente in due dipinti del 1945 e del 1946, entrambi Senza titolo, di collezione privata (catt. 3, 6; per tutti i dipinti citati si fa riferimento a Dalai Emiliani, 1996) e la materia preziosa e bloccata dentro una linea di contorno nera molto marcata (catt. 9-12), quale personale rielaborazione della lezione di Cadorin; fino alla progressiva rarefazione del segno e della materia pittorica di alcune nature morte, ritratti e vedute (catt. 19-33), in cui è possibile riconoscere qualche consonanza con la produzione di Filippo De Pisis, ancorché condotta su un piano di maggiore densità emotiva. I soggetti attingono a un repertorio familiare e i linguaggi a esperienze visive, molto spesso di seconda mano, circoscritte in ambito regionale. Anche i primi timidi segnali di un aggiornamento in chiave contemporanea risentono di questo limite, specie nei picassismi desunti dalle riduzioni operate in tal senso da Pizzinato e dagli esponenti del Fronte nuovo delle arti (catt. 34-45).
Trasferitosi a Roma nel 1950, condivise dapprima un appartamento nel quartiere Prati con Milton Gendel, quindi una camera con il pittore Paul Dieu nella pensione gestita dalla madre di Renzo Vespignani. Fu spesso ospite di Giulio Turcato e, per un certo periodo, dello studio degli artisti Fabio Rieti e Gilles Aillaud in via di Monserrato. Tramite Turcato, entrò in contatto con Piero Dorazio e Achille Perilli e l’attività della galleria-libreria Âge d’or oltre che con gli altri aderenti al gruppo Forma. Grazie ai rapporti allacciati con questi artisti, fu invitato a partecipare alla mostra Arte astratta e concreta in Italia, organizzata dall’Âge d’or e dall’Art club, presso la Galleria nazionale d’arte moderna di Roma.
Lasciata Roma per Venezia nella seconda metà del 1951, tramite il pittore americano Bill Congdon conobbe Peggy Guggenheim che, nel 1952, gli offrì un contratto e gli mise a disposizione uno studio nella cantina della Ca’ Venier dei Leoni.
Nella propria autobiografia la collezionista americana definì l’artista un suo «protetto», ricordandone le evoluzioni di stile: dal geometrismo neoplasticista di Theo van Doesburg all’action painting di Jackson Pollock, fino al decisivo passaggio al grande formato su consiglio di James J. Sweeney. Guggenheim ebbe un ruolo strategico nella promozione di Tancredi in Italia e negli Stati Uniti, grazie a una mirata campagna di donazioni a collezionisti privati e a importanti musei americani: fra questi, il Museum of modern art di New York (Primavera, 1951, cat. 184), il Nelson-Atkins Museum of art di Kansas City (Senza titolo (Rouge et noir), 1953, cat. 490; Senza titolo (Daybreak in Venice), [1957], cat. 685), il San Diego Museum of art (Senza titolo, [1955], oggi in coll. priv., cat. 596), il Frances Lehman Loeb Art Center del Vassar College di Poughkeepsie, NY (Senza titolo, [1954], cat. 508), la Wadsworth Atheneum Collection di Hartford (Senza titolo, [1957], cat. 682; Senza titolo, 1958, cat. 763), il Seattle Art Museum (Senza titolo, 1953, cat. 381) e il Phoenix Art Museum (L’universo è incantato come una serra, [1957], cat. 697).
La galleria del Cavallino di Venezia ebbe un ruolo fondamentale nell’avvicinare Tancredi alle ricerche di Lucio Fontana e degli spazialisti milanesi della galleria del Naviglio. Oltre alle sollecitazioni in tal senso dei fratelli Carlo e Renato Cardazzo, titolari delle due gallerie, in questi anni, nelle ricerche dell’artista, si registra una piena sintonia con le proposte di pittori come Gianni Dova, Roberto Crippa e Mario De Luigi (Deluigi), fino alla sottoscrizione nel maggio 1952 del Manifesto del movimento spaziale per la televisione. Il 1952, grazie all’attenta regia dei fratelli Cardazzo, fu un anno di riconoscimenti – acquisti al premio Graziano a Milano (gennaio), al premio Gianni a Venezia (maggio) e primo premio ex aequo alla XL Mostra collettiva dell’Opera Bevilacqua La Masa (dicembre), con il dipinto Aspirazione a New York (cat. 248) – e di partecipazioni alle mostre Artisti spaziali veneziani alla galleria del Cavallino di Venezia e Artisti spaziali alla galleria Casanova di Trieste (il regesto completo delle esposizioni collettive, con le relative indicazioni bibliografiche, in Dalai Emiliani, 1996, I, pp. 301-323).
Il 1953 si aprì con la mostra personale alla galleria del Cavallino, con testi di presentazione di Guggeheim e Guidi, seguita dalla partecipazione alla collettiva Sei artisti spaziali, in trasferta a Lugano e a Vicenza, e alla più articolata rassegna ordinata da Anton Giulio Ambrosino a Ca’ Giustinian, in occasione della quale venne redatto il manifesto Lo spazialismo e la pittura italiana nel XX secolo, sottoscritto anche da Tancredi. Chiuse l’anno la partecipazione, con il dipinto La serra (cat. 404), alla mostra Pittori d’oggi. Francia-Italia al Palazzo delle Belle arti di Torino.
Nel 1954 partecipò alla mostra 16 artisti veneziani a Firenze, nella galleria Numero di Fiamma Vigo, e alla doppia mostra personale Tancredi-Pegeen allestita alla Ca’ Venier dei Leoni, dopo il clamoroso rifiuto delle opere inviate alla Biennale di Venezia (Salvagnini, 2011). L’infatuazione di Tancredi per Pegeen Vail, figlia di Peggy Guggenheim, e le burrascose relazioni economiche con quest’ultima portarono alla rottura di ogni rapporto diretto alla fine del 1955 (contatti fra i due a distanza, negli anni successivi, sono documentati dallo scambio di alcune lettere e dall’interessamento costante di Guggenheim per l’opera dell’artista: Tancredi Feltre, 2011, pp. 58 s.).
Nello stesso anno la partecipazione a Tendances actuelles III alla Kunsthalle di Berna fu seguita dalla conquista della terza edizione del premio di pittura ESSO, patrocinato dalla Biennale di Venezia, con l’opera Soggiorno a Venezia, entrata nelle collezioni della Galleria internazionale d’arte moderna di Ca’ Pesaro. Alle mostre collettive nelle gallerie Stadler e Paul Facchetti di Parigi fecero il paio, nell’anno successivo, le due personali alla galleria del Cavallino di Venezia e alla galleria Selecta di Roma.
Al 1957 datano due importanti mostre a New York: Italy. The new vision alle World House galleries e Trends in watercolors Today nel Brooklyn Museum, con una presentazione di Lionello Venturi. A queste seguirono, l’anno dopo, le personali alla Saidenberg gallery di New York e alla Hanover gallery di Londra.
A queste date il percorso dell’artista è ormai saldamente ancorato a una radicale astrazione, affidata ora alla gestualità convulsa di una scrittura di segni rapidi e infinitesimali, irradianti nello spazio dipinto cosmogonie, costellazioni, contrazioni, deflagrazioni, espansioni (catt. 170-237), ora alla tessitura di orditi più o meno regolari saturanti la superficie della tela, in cui la traccia di fondo va individuata nell’interesse dell’artista per le ‘griglie’ di Piet Mondrian (catt. 352-363): composizioni dinamiche, animate da una stesura convulsa e accidentata e dal ricorso a cromie primarie (catt. 123-169) o a una materia pastosa affastellata in tarsie rettangolari (catt. 732-737), su cui sembra innestarsi una doppia memoria, quella delle tessere dei mosaici veneziani e quella dei neoimpressionisti francesi e dei divisionisti italiani (Dalai Emiliani, 1996, I, p. 51).
Al 1958 data la commissione di Arturo Deana per la decorazione del soffitto della trattoria La Colomba di Venezia (cat. 785), staccata fra il 1962 e il 1963 e oggi nelle collezioni del MART di Rovereto. Il 15 novembre dello stesso anno Tancredi sposò la pittrice norvegese Tove Dietrichson, da cui ebbe due figli, Elisabet (1959), e Alessandro (1963).
Nella primavera del 1959 la galleria del Cavallino organizzò un congedo in forma di omaggio alle ‘ultime pitture’ veneziane di Tancredi (Venezia saluta Tancredi), che aveva deciso di andare a vivere a Parigi. Ai colori e alla luce di Venezia è ancora ispirata la personale tenuta presso la galleria dell’Ariete di Beatrice Monti della Corte, a Milano, dove Tancredi si trattenne per un breve periodo con la moglie prima del trasferimento in Francia. Dopo l’estate trascorsa in Svezia e in Norvegia (a Oslo visitò il Museo Munch, rimanendone molto colpito), il trasloco a Parigi: le convulse giornate della guerra d’Algeria suggerirono all’artista le ‘facezie’ e gli ‘arabeschi’, traduzioni grafiche del tormentato dibattito di quella stagione e delle difficoltà del vivere quotidiano. Nella capitale francese entrò in contatto con i surrealisti Victor Brauner, Jean-Jacques Lebel e Alain Jouffroy, conobbe Alberto Giacometti e vide le mostre del gruppo CoBrA e di Yves Klein. In Italia, invece, espose tre opere alla Quadriennale di Roma: Svezia (cat. 808), Norvegia (cat. 809) e Omaggio ai Vichinghi (ubicazione sconosciuta).
Ad aprile 1960 data la partecipazione di Tancredi alla prima manifestazione dell’Anti-procès, organizzata da Lebel e Jouffroy presso la galerie des Quatres Saisons a Parigi, contro il processo celebrato a Città del Capo nel 1959 contro alcuni attivisti antiapartheid, fra i quali Nelson Mandela. La replica della manifestazione a Venezia in giugno, presso la galleria Il Canale, assunse un carattere di aperta polemica nei confronti della Biennale. Pochi giorni dopo, nella stessa galleria, s’inaugurava un’importante personale dell’artista, che per l’occasione realizzò alcune opere provocatorie, quale atto di contestazione radicale del sistema dell’arte e della cultura: Arte formale e Arte informale erano due grossi rotoli di carta igienica dipinta che i visitatori potevano strappare a proprio piacimento.
L’estate trascorsa a Serle nel Bresciano e le visite ai graffiti preistorici in Val Camonica lasciarono un segno importante nella figurazione sui generis dell’ultima produzione dell’artista, quale naturale evoluzione del bioformismo della precedente stagione parigina, sollecitata dall’interesse per psicografie e scritture automatiche sperimentate in ambito surrealista. A queste esperienze è legata anche la serie dei ‘matti’ (Dalai Emiliani, 1973). Nel 1961 Arturo Schwarz pubblicò a Milano le Tredici facezie di Tancredi. A marzo dello stesso anno si tennero, sempre nel capoluogo lombardo, una mostra personale alla galleria dell’Ariete, con presentazione di Jouffroy, e a giugno l’ultima manifestazione dell’Anti-procès contro gli orrori della guerra in Algeria, alla galleria Brera, alla quale però Tancredi decise di non partecipare poco prima dell’inaugurazione. Alla fine dell’anno nacquero i Diari paesani, in cui l’artista sperimentò la tecnica del collage su sollecitazione dei combine-paintings di Robert Rauschenberg visti alla galleria dell’Ariete.
Il 1962 fu l’anno dell’ultima mostra personale dell’artista alla galleria Il Canale. Il titolo Fiori dipinti da me e altri al 101% fu scelto in polemica con la contraffazione, più volte denunciata dall’artista, di suoi dipinti e più in generale con il cinismo del sistema dell’arte, del mercato e della critica.
La divaricazione fra sensibilità privata e sfera pubblica divenne sempre più irriducibile. Nel 1963, provato da dolorose crisi nervose e da uno stato d’animo ormai compromesso, venne ricoverato per due mesi nella casa di cura Villa Tigli di Monza. Grazie soprattutto all’iniziativa dei suoi galleristi milanesi, sue opere furono presentate in diverse esposizioni collettive e il dipinto Hiroshima 2. Baldoria a Hiroshima (cat. 1117) si aggiudicò il VII Premio di pittura e scultura internazionale Amedeo Modigliani Città di Livorno.
All’inizio del 1964 venne internato nell’ospedale psichiatrico di San Servolo, dove rimase fino a giugno. Invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia, espose i dipinti Omaggio a Gauguin (cat. 991), Composizione (identificato con Giornali senza parole, cat. 1070) e Matti (identificato con Dalle origini al carnevale: cat. 1121), per i quali indicò provocatoriamente un valore assicurativo di un miliardo di lire.
Dopo l’estate trascorsa con la famiglia in Norvegia, ad agosto fece ritorno da solo a Roma, ospite dapprima del fratello Romano e poi, per pochi giorni, di una modesta pensione a Campo de’ Fiori. Nonostante le apparenze di una ritrovata serenità, l’interesse per la natura, l’esercizio costante del disegno e le dichiarazioni registrate sul suo diario, a fine settembre la situazione precipitò: il malessere e il disagio psichico presero il sopravvento e la decisione di una fine volontaria sembrò essere l’unica opzione possibile.
La data ufficiale della morte è il 1° ottobre 1964, giorno del rinvenimento del cadavere dell’artista nelle acque del Tevere, nei pressi di ponte Sisto.
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