SUPERANZIO (Esuperantius) da Cingoli
Giurista e vescovo operante fra il secondo e il quarto decennio del Trecento, le sue attività sono documentate nel ventennio tra il 1317, quando compare come uno degli studenti che collaborarono col canonista Giovanni d’Andrea nella redazione degli statuti universitari bolognesi, e il 1337, anno della morte occorsagli mentre sedeva sulla cattedra episcopale di Cervia. Verso le sue origini siamo guidati dal toponimo che costantemente accompagna il suo nome: Cingoli, città marchigiana situata nella diocesi di Osimo. La nascita di Superanzio potrebbe quindi collocarsi intorno agli anni 1278-80.
Infatti in un documento cingolano del 1297, pervenuto nella trascrizione del conte Niccolò Vannucci (1642-1715), Esuperantius Jacobi Actonis Lambertutii compare quale sindicus della canonica dei SS. Quattro Coronati in un atto di costituzione di enfiteusi (Condorelli, 1994, pp. 248 s.). Tanto il nome del padre, Jacopo, quanto il cognome o patronimico (tranne che per la variante Lambertutii invece che Lanbertatii), corrispondono con quelli inscritti in una lapide cingolana posta a memoria di un episodio che sicuramente si riferisce al Superanzio che fu vescovo di Cervia (Avarucci-Salvi, 1986, pp. 95-99).
Se si accetta la data del 1278-80 circa, occorre concludere che solo tardivamente Superanzio abbia intrapreso gli studi giuridici. Il suo nome è infatti ricordato nel proemio degli statuti universitari bolognesi del 1317 fra quelli dei quattordici studenti (sette citramontani e altrettanti ultramontani) che collaborarono con Giovanni d’Andrea nella redazione del testo statutario. In quegli anni Superanzio compiva gli studi giuridici alla scuola del grande canonista bolognese, che l’allievo menziona come dominus meus nelle sue quaestiones, e che a sua volta avrebbe commemorato l’allievo premorto nello Hieronymianus.
Negli stessi anni Superanzio fu attratto nell’orbita del domenicano Guido da Cappello, vescovo di Ferrara (1304-32), del quale fu vicario generale dal 1318. La restaurazione della signoria estense, nel 1317, fu causa di un lungo periodo di conflitti con la Sede apostolica che si concluse con la concessione del vicariato apostolico agli Estensi (1329). L’attività ecclesiastica di Superanzio si colloca in quel tormentato contesto.
L’ambiente politicamente ostile e le censure spirituali che avevano colpito Ferrara e i suoi abitanti dopo la rivolta del 1317 non permettevano al clero ferrarese di essere stabilmente presenti nella città. Fu da Bologna che l’11 marzo 1318 il vescovo Guido autorizzò Superanzio, suo vicario, a nominare un delegato qualora dovesse assentarsi per motivi suoi o d’ufficio. Sebbene conservasse un canonicato nella Chiesa di Osimo, Superanzio ricevette da Guido ulteriori benefici e fu nominato parroco di S. Giacomo di Porotto. Nel 1324 fu eletto preposito del capitolo cattedrale (Condorelli, 1994, p. 253).
Nell’intento di ricondurre Ferrara sotto il governo diretto della Santa Sede, nel maggio del 1320 Giovanni XXII intimò ai marchesi Rinaldo e Obizzo di far cessare la rebellio e l’usurpatio che duravano ormai da quasi tre anni. Su Ferrara fu lanciato l’interdetto, la scomunica fu comminata a coloro che avrebbero disatteso l’ordine; il clero, tranne poche eccezioni, avrebbe dovuto abbandonare la città; gli Estensi, se non si fossero riconciliati con la Chiesa, sarebbero stati processati per eresia. L’allontanamento degli ecclesiastici dalla città creò seri problemi pastorali, che esigevano sicure risposte giuridiche. Nel 1320, insieme a frate Uberto da Cesena (doctor decretorum e canonico di S. Maria in Porto di Ravenna, sarebbe divenuto vescovo di Concordia nel 1333), Superanzio espresse un parere in favore dell’arciprete della cattedrale, Bonaccorso da Firenze, egli stesso doctor decretorum allievo di Giovanni d’Andrea e allora attivo come docente a Bologna (sarebbe divenuto vescovo di Tricarico nel 1324).
Secondo i due consulenti l’arciprete poteva, in tempo d’interdetto, risiedere in città per amministrare la cura d’anime, nonostante la condanna pontificia prevedesse che in cattedrale non potessero restare che dei conversi. Inoltre Bonaccorso avrebbe potuto, col consenso del vescovo, nominare un sostituto che risiedesse in Ferrara ed esercitasse la cura d’anime in sua vece (Condorelli, 1998, pp. 251-254).
In quegli anni Superanzio ebbe parte nel processo per eresia contro gli Estensi, messo in moto nell’estate del 1321 e condotto da Guido, vescovo di Ferrara, e frate Bartolomeo, inquisitore della provincia di Lombardia (Bock, 1937).
L’esame dei testimoni si concluse con la formulazione di otto articuli d’eresia. Il 24 e 25 settembre 1321 Rinaldo e Obizzo si presentarono di fronte agli inquisitori protestando la loro innocenza. Agli atti del processo è allegata una serie di consilia che gli inquisitori richiesero a vari sapientes, fra i quali compaiono alcuni dei più rinomati professori bolognesi del tempo. Essi furono chiamati a pronunciarsi su vari punti: se gli articuli su cui i marchesi erano stati esaminati contenessero hereticam pravitatem, e se fossero stati sufficientemente provati; se dovessero essere ammesse le eccezioni prodotte dagli accusati; se bisognasse pronunciare la sentenza e a quale pena gli accusati dovessero essere condannati.
La lista dei giureconsulti comprende personaggi molto noti, alcuni di prima grandezza: accanto a Superanzio troviamo i canonisti Uberto da Cesena, Bonandrea e Giovanni d’Andrea, e i civilisti Pietro dei Cerniti e Iacopo Bottrigari. Quasi tutti i sapientes si pronunciarono in senso sfavorevole agli Estensi. Anche Superanzio, pur con qualche cautela, ritenne che gli articuli per la maggior parte contenessero hereticam pravitatem, e che tutti eccetto uno fossero provati (ibid., p. 90).
L’unico che produsse un parere apertamente difforme dagli altri fu Giovanni d’Andrea, le cui obiezioni furono pertanto sottoposte alla puntuale confutazione degli inquisitori. Le valenze politiche del processo non sfuggivano né ai sapientes né agli inquisitori. Dalle parole di questi ultimi apprendiamo che i consiliarii, in particolar modo i giuristi secolari, avevano mostrato una notevole ritrosia nel rilasciare i loro pareri, poiché temevano che un giudizio sfavorevole agli Estensi avrebbe potuto trasformarli in martiri. Alcuni sapientes, dei quali non conosciamo i nomi, si erano rifiutati di dare i consilia.
Superanzio assistette Guido da Cappello anche negli atti conseguenti alla condanna degli Estensi e dei loro fautori: la sentenza fu notificata al doge veneziano, affinché le vie di comunicazione fra Venezia e Ferrara fossero chiuse al commercio e la Repubblica si astenesse da atti che favorissero i condannati (I Libri Commemoriali, I, 1876, pp. 241 s., 245, maggio settembre-1322).
Superanzio e Uberto da Cesena furono ancora chiamati a pronunciarsi su un quesito sollevato dal clero ferrarese con cura d’anime. Il consilium – che raccolse anche la sottoscrizione per adesione di Giovanni d’Andrea – concerne l’interpretazione dei provvedimenti papali emanati a conclusione dei processi per eresia instaurati contro i Visconti e gli Estensi (ediz. in Condorelli, 2006, pp. 693-697).
Le lettere di Giovanni XXII avevano riservato al romano pontefice l’assoluzione dalla scomunica e dalle altre pene spirituali e temporali già inflitte contro varî esponenti della famiglia dei Visconti, i marchesi d’Este Rinaldo e Obizzo, nonché i loro fautori e complici. Il consilium (non datato, ma posteriore all’aprile 1324) mirava a provare che la riserva di assoluzione dovesse essere interpretata secondo il diritto comune: pertanto essa incontrava il limite costituito dal pericolo di morte imminente, circostanza che, come casus necessitatis, doveva intendersi come clausola limitativa implicitamente prevista dalla volontà papale. Chi si fosse trovato in imminente pericolo di vita avrebbe perciò potuto ricevere l’assoluzione da un qualsiasi sacerdote. Cessando il pericolo o l’impedimento, tuttavia, la persona assolta avrebbe dovuto presentarsi al cospetto del papa per adempiere il precetto contenuto nella sentenza di condanna. È evidente l’intento di circoscrivere, con l’ausilio di una corretta interpretatio iuridica, le terribili conseguenze dei provvedimenti papali sulla cura animarum dei fedeli ferraresi.
Entro una consolidata e ben reputata cerchia di giuristi, accanto al solito Uberto da Cesena e a Bonandrea, Superanzio compare anche quale consulente di Francesco da Rimini, inquisitore della provincia di Romagna, nella vicenda di un usuraio di Verucchio (ante 1327: ediz. in Piana, 1970, pp. 368-371).
Le buone doti di giurista e amministratore ecclesiastico, fedele alla politica antighibellina di Giovanni XXII, favorirono l’ascesa di Superanzio all’episcopato. Era ancora diacono quando, il 17 febbraio 1327, fu nominato vescovo di Comacchio, città posta nella provincia ecclesiastica ravennate che nel 1325 aveva eletto gli Estensi a perpetui signori (Jean XXII… Lettres Communes, VI, 1912, n. 27919). Le vicende successive alla nomina non sono chiare: poco più di un mese dopo, dai registri di Giovanni XXII un altro ecclesiastico risulta designato alla sede comacchiese, e Superanzio non era stato ancora consacrato vescovo quando, nel novembre successivo, fu trasferito sulla cattedra episcopale di Adria (ibid., VII, 1919, n. 30931).
Della permanenza nelle due sedi le fonti non ricordano avvenimenti di rilievo. L’11 ottobre 1329 Superanzio fu trasferito a Cervia, città doppiamente legata con Ravenna, sede metropolitana e centro dei dominî dei da Polenta, ai quali Cervia si era consegnata nel 1313 (ibid., IX, 1923, n. 46923). Come vescovo di Cervia Superanzio intervenne a Bologna, il 21 giugno 1330, all’atto solenne con cui tre inquisitori domenicani, incaricati dal legato papale Bertrando del Poggetto, scomunicarono la cittadinanza e il clero di Modena, condannati quali fautori di Ludovico il Bavaro (Condorelli, 1994, p. 265).
Alla scuola di Giovanni d’Andrea era maturata in Superanzio la devozione per s. Girolamo, ciò che consente di riconoscergli un posto non marginale nel processo di diffusione del culto del santo dottore in Italia. Il 30 settembre 1336, nella città natale di Cingoli, Superanzio pose solennemente la prima pietra della chiesa di S. Girolamo, che egli stesso aveva fondato e dotato con il proprio patrimonio, riservandosene il patronato. L’evento è primariamente documentato da un’epigrafe, tuttora esistente nella chiesa di S. Girolamo di Cingoli, fatta apporre ad perpetuam rei memoriam da un erede di Superanzio, tale Mattiolo (Compagnoni, 1782, pp. 86 s.; Avarucci-Salvi, 1986, p. 95-99 e tav. XLI).
La notizia fu comunicata a Giovanni d’Andrea che, completando lo Hieronymianus (1346), ricordò l’episodio che aveva visto protagonista l’antico discepolo. Nelle parole di Giovanni d’Andrea il racconto della fondazione della chiesa cingolana assume il tono del doloroso compianto per l’allievo premorto, che aveva seguito le orme del maestro nella devota propagazione del culto di s. Girolamo (Lanzoni, 1920, pp. 36 s.; Clausi, 2011, p. 549; Condorelli, 2015-16, p. 58). I lavori della chiesa furono portati a termine, dopo la sua morte, dall’erede Mattiolo.
Contrariamente a quanto è stato a lungo sostenuto, Superanzio non morì nel 1342, anno dell’intronizzazione del successore, ma prima del 30 agosto del 1337. In questa data, infatti, il capitolo dei canonici di Cervia procedette alla nomina degli amministratori della diocesi vacante per la morte di Superanzio (Zattoni, 1903, pp. 40 s.).
Se la perizia giuridica di Superanzio è testimoniata da una diffusa attività consiliare, tre quaestiones disputatae, due delle quali datate, documentano la sua attività quale professore di diritto canonico a Bologna: una risale al 1322, un’altra fu da lui disputata, quale doctor in actu legens, nel gennaio 1323.
Considerato che Superanzio era ancora studente nel 1317, si può pensare che il suo insegnamento nello studio bolognese sia stato molto breve, limitandosi forse agli anni 1321-23, in coincidenza con la crisi che nel 1321 causò una consistente migrazione studentesca verso Siena. È verosimile che gli impegni ecclesiastici, inizialmente quale vicario del vescovo di Ferrara, e dopo il 1324 quale preposito del capitolo ferrarese, abbiano impedito a Superanzio di proseguire l’attività didattica. Le tre quaestiones, vertenti su temi canonistici, ebbero diffusione attraverso raccolte manoscritte miscellanee (ediz. parziale in Condorelli, 1994, p. 275-290). Una fu destinata a più ampia notorietà, anche in età moderna, perché rielaborata e inclusa da Giovanni d’Andrea nella Novella in titulum de regulis iuris (Venetiis 1581, cc. 94v-95r).
I Libri Commemoriali della Repubblica di Venezia. Regesti, I, Venezia 1876, pp. 241 s. n. 320, 323, p. 245, n. 336; Jean XXII… Lettres Communes, a cura di G. Mollat, VI, Paris 1912, n. 27919; VII, 1919, n. 30931; IX, 1923, n. 46923; C. Piana, Chartularium Studii Bononiensis S. Francisci…, Florentiae 1970, p. 368-371. P. Compagnoni, Memorie istorico-critiche della Chiesa e de’ Vescovi di Osimo, III, Roma 1782, pp. 86 s.; H. Denifle, Die Statuten der Juristen-Universität Bologna…, in Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters, III (1887), pp. 196-397 (in partic. pp. 254 s.). G. Zattoni, La Cronotassi dei Vescovi di Cervia…, Ravenna 1903, p. 40 s.; F. Lanzoni, La leggenda di S. Girolamo, in Miscellanea geronimiana, Roma 1920, pp. 19-42 (in partic. pp. 36 s.); F. Bock, Der Este-Prozess von 1321, in Archivum Fratrum Praedicatorum, VII (1937), pp. 41-111; A. Samaritani, La cura animarum e la religiosità popolare nella vita ecclesiale di Ferrara…, in Analecta Pomposiana, IX, (1984), pp. 1-269 (in partic. pp. 30 s., 79, 81, 88 s., 122 s., 188, 215-17); G. Avarucci-A. Salvi, Le iscrizioni medioevali di Cingoli, Padova 1986, pp. 95-99; M. Bertram, Kanonistische Quaestionensammlungen…, in Proceedings of the VIIth International Congress of Medieval Canon Law, Cambridge 1984, a cura di P. Linehan, Città del Vaticano 1988, pp. 265-281 (in partic. pp. 272, 274 s.); O. Condorelli, Un giurista dimenticato dello Studio bolognese: Superanzio da Cingoli, in Rivista Internazionale di Diritto Comune, V (1994), pp. 247-290; Id., Giuristi vescovi nell’Italia del Trecento…, ibid., IX, 1998, pp. 197-261 (in partic pp. 207-209, 251-254); Id., Cura pastorale in tempo di interdetto…, in Proceedings of the XIth Int. Congress of Medieval Canon Law, Catania 2000, a cura di M. Bellomo - O. Condorelli, Città del Vaticano, 2006, pp. 683-697; M. Bellomo, I fatti e il diritto…, Roma 2000, ad. ind.; Id., “Quaestiones in iure civili disputatae”…, Roma 2008, pp. 750 s. ; M. Vallerani, Modelli di verità…, in L’enquête au Moyen Âge, a cura di C. Gauvard, Rome 2008, pp. 123-142 (in partic. pp. 140-142); R. Parmeggiani, Studium domenicano e inquisizione, in Praedicatores/doctores. Lo Studium Generale dei frati Predicatori…, Firenze 2009, pp. 117-141 (in partic. pp. 134-136); B. Clausi, Questione di modelli. Petrarca, Gerolamo e lo Hieronymianus di Giovanni d’Andrea, in Aevum, LXXXV, 2, (2011), pp. 527-566 (in partic. p. 549); O. Condorelli, Giovanni d’Andrea e dintorni…, in Petrarca e il diritto. Atti… Padova… 2011, Roma-Padova 2015-2016, pp. 29-73 (in partic. pp. 40, 49, 58).