ORLANDI, Stefano
ORLANDI, Stefano. – Nacque a Bologna nel 1681 da Odoardo, allievo di Lorenzo Pasinelli e «sufficiente plasticatore» (Zanotti, 1739, p. 259).
Dal padre, fu avviato all’arte dello stucco; dopo l’apprendistato, passò, quattordicenne, alla scuola di Antonio Rizzini, il quale, «debolissimo» e «poco buon pittore» (Crespi, 1769, p. 287), si rivelò inadeguato. Così, «scarabocchiando coi colori quanto in capriccio gli venia» (Zanotti , 1739), compensò quell’insegnamento, e integrò la sua formazione con lo studio dei disegni di Agostino Mitelli, dei quali possedeva una collezione. La grafica entrò, da allora, nella sua pratica di lavoro, e ne segnò durevolmente la produzione (Mauceri, 1934,p. 7; Gaeta Bertelà, 1976, p. 37; Landi, 1980, pp. 21 s.).
Tra il 1712 e il 1713, entrò nella più prestigiosa scuola del prospettico e quadraturista bolognese Pompeo Aldrovandini, che seguì a Roma. Qui, col maestro e con il figurista Antonio Gambarini, prese parte al cantiere pittorico della chiesa dei Ss. Giovanni e Petronio, detta dei Bolognesi, e affiancò Aldrovandini nell’attività scenografica per il teatro Capranica (Publio Cornelio Scipione, 1713; Amleto, Astarto, 1715), dove già lavorava Filippo Juvarra. In quel soggiorno Orlandi acquisì autorevolezza nella scenotecnica, nella grande decorazione a fresco, e nella pittura di prospettive, un genere per il quale ebbe il riconoscimento della critica del suo tempo. Ebbeinizio in quell’occasione, la pratica di cavalletto, con la produzione di «bellissime» vedute e finte architetture «in tela, degne di qualunque più nobile galleria» (Zanotti, 1739, p. 262).
La scarsità delle notizie sul periodo romano dell’artista non consente di documentarne la reale incidenza sui pittori prospettici impegnati in quegli anni nella capitale. Complice la dispersione dei dipinti da stanza, la pittura su tela rimase secondaria negli interessi della storiografia, nonostante la testimonianza delle fonti(ibid.) e gli approfondimenti di Buscaroli (1935) e di Zucchini (1947). Tuttavia, come ha osservato Ferdinando Arisi (1986, p.77; Id., 1993), quelle opere non rimasero senza conseguenze per l’immaginario del giovane piacentino Giovanni Paolo Panini, giunto a Roma nel 1711 con un’educazione sui modelli di Ferdinando Galli Bibiena. In effetti, si scorgono, nella produzione di Panini, prestiti da Orlandi, desuntiin particolare dal dipinto raffigurante le Terme imperiali della Pinacoteca di Brera, attribuita al bolognese per via di confronto con affini soluzioni decorative, collaudate nell’affresco (Ricci, 1930, tav. 82; Landi, 1991B, n. 113; 2000, p. 423, n. 134). L’opera fu riconosciuta a Orlandi da Ricci (1930), che ebbe il merito di formare, con quel quadro e con altri tre esemplari (Aula regale, già Venezia, coll. Martini Donati, ripr. in Ricci, 1930, tav. 79); Atrio e scalone, Terme imperiali (già Milano, coll. Foresti, ripr. ibid., tavv. 80 s.), un primo catalogo di dipinti, integrato da Landi con un gruppo ulteriore e omogeneo di prospettive inedite fino al 1991 (Landi, 1991A, pp. 121-134, tavv. 62, 66 s.).
Lo «staffage architettonico» esibito da Orlandi (Arisi, 1986, p. 77) e la quinta prospettica che si ripete in questo nucleo di tele, di qualità elevata (Landi 1991A, p. 128), ricorrono in alcune opere di Panini (Arisi, 1993). Rispetto alla scenografia emiliana, le invenzioni del bolognese segnavano una continuità e innestavano, su quella tradizione, il fascino «delle fabbriche, e antichità di Roma» (Crespi, 1769, p. 287); ma si trattava di un repertorio intrinsecamente bolognese, filtrato al vaglio delle «fantasie classicheggianti di Giuseppe Bibiena» (Viale Ferrero, 1963A, p. 12), invenzioni «più quadraturistiche che archeologiche» (Id., 1962, p. 61).
L’attività scenografica di Orlandi proseguì al rientro a Bologna, questa volta in sodalizio con lo scenografo Giuseppe Orsoni (Oretti,ms.B. 130,c. 395), altro allievo di Aldrovandini. Risalgono agli anni tra il secondo e il terzo decennio del XVIII secolo gli apparati scenici per alcune opere rappresentate al teatro Formagliari: Lucio Papirio (1718), Farasmane (1720), Marco Attilio Regolo (1724).
In seguito all’exploit romano e bolognese, Orlandi venne chiamato a Lucca, e di qui a Torino, «forse per interessamento di Filippo Juvarra» (Roli, 1977, p. 84), impegnato, in quegli stessi anni, nelle due città (Viale Ferrero, 1963A). Nel 1727 andarono in scena al teatro Regio di Torino due opere con scenografie di Orlandi, Didone abbandonata e Antigone, quest’ultima musicata da Giuseppe Maria Orlandini e dedicata all’ «altezza Reale Polisena d’Hassia…Principessa di Piemonte» (Id., 1963B, p. 24).
Nel frattempo, in qualità di quadraturista, Orlandi aveva stretto dal 1722 un sodalizio con il figurista Vittorio Maria Bigari, che gli fu a fianco in numerose imprese: dal cantiere degli affreschi di palazzo Aldrovandi (Mercurio e Astrea, 1722, scalone; Apollo conduce le Virtù al tempio della Gloria, 1728, atrio), che gli valsero la nomina ad accademico clementino e la direzione d’architettura nel 1723 (Atti…, cc. 48 s.; Zanotti, 1739, p. 69), agli incarichi per palazzo Ranuzzi (Allegoria delle acque della Porretta, 1724-25), per la cappella dell’Istituto delle scienze, voluta dal cardinale Prospero Lambertini (opera perduta, 1725), e per il palazzo pubblico di Faenza, giàManfredi (affreschi con Fatti della storia romana,affreschi nelle sale delle Rose, delle Stelle, del Sole, 1726-28; Borsieri, ms. 48; Landi 1981A).
Nel 1731, insieme a Bigari, si trasferì a Milano, per dipingere una finta cupola in palazzo Dugnani e decorare alcune stanze di palazzo Archinto (opere perdute), mentre vi lavorava Giambattista Tiepolo (Zanotti, 1739, pp. 261, 290). Di qui, si trasferì a Verona, in palazzo Pellegrini (1735; ibid., p. 261), e successivamente a Brescia (1736), dove affrescò, in compagnia di Francesco Monti, «una gran sala» in palazzo Martinengo (ibid.). Rientrato in patria (1737; Atti..., c. 100), proseguì nell’attività di quadraturista e di pittore di scenografie. Riconosciuto protagonista della decorazione prospettica bolognese, nel 1742 fu eletto principe dell’Accademia Clementina (ibid.…,c. 108), ricevendo, nel tempo, commissioni prestigiose, affrontate in compagnia di Bigari: per gli Aldrovandi, l’affresco con L’Assunta nella cappella gentilizia nella basilica di S. Petronio (1746) dove decorò più tardi, con ornati, il S. Vincenzo Ferrer dipinto da Bigari (Crespi, 1769, p. 288; Oretti, ms. B. 130,c. 395); nuovamente per gli Aldrovandi e in particolare per il cardinal Pompeo, i grandi affreschi del palazzo senatorio con i cicli pittorici del salone (Aurora e Titone) e della Grande galleria (I fasti Aldrovandi), avviati nel 1748. A queste imprese tennero dietro, nel 1754 e in quello stesso edificio, le decorazioni della galleria delle Statue (Storie romane), realizzate con il figlio Francesco, e la regia di Alfonso Torreggiani (Zanotti, ms. B. 12; Crespi, 1769, p. 287). Sempre al 1748 risale il cantiere delle pitture da eseguirsi nella villa del marchese Luigi Albergati Capacelli a Zola Predosa (Ratto di Ganimede, Bacco e Arianna; Mauceri, 1930); nel 1753, un nuovo incontro tra Orlandi, Bigari e Torreggiani ribadì il trionfo del barocchetto bolognese nella cappella del Carmine nella basilica di S. Martino Maggiore. Fu, questo, uno degli ultimi lavori dell’artista. Nel 1755 l’apoplessia pose fine alla sua attività.
Morì a Bolognail 29 luglio del 1760 (Zanotti, ms. B. 12; Crespi, 1769, p. 288).
Tra i suoi allievi si ricordano: il figlio Francesco, autore a sua volta di prospettive su tela; Giovanni Zanardi, collaboratore nel cantiere di palazzo Aldrovandi (1748), e il senese Nicola Nasoni, il quale, emigrato in Portogallo e a Malta, esportò in quei paesi la lezione prospettica del maestro (Samoggia, 1985).
Fonti e Bibl.: Bologna, Biblioteca dell’Accademia di belle arti, Atti dell’Accademia Clementina dal Anno 1710 a tutto l’Anno 1764, I, cc. 48 s., 100, 108, 268; Ibid., Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms. B. 12: G.P. Zanotti, Postille manoscritte alla Storia dell’Accademia Clementina (1739), II, c. 292; Ibid., ms. B. 130: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno cioè pittori, scultori e architetti bolognesi e forestieri di sua scuola (seconda metà sec. XVIII), cc. 394-400, 400 bis-400 ter.; Ibid., ms. B. 104: Id., Le pitture che si ammirano nelli palagi e case de’ nobili della città di Bologna, I, c. 44; Ibid., ms. B. 109: Id., Descrizione delle pitture che ornano le case de’ cittadini della città di Bologna, I, cc. 44, 53, 101-102; Faenza, Biblioteca comunale, ms. 48: G.B. Borsieri, Annali della città di Faenza (sec. XVIII), I, c. 223; G.P. Zanotti, Storia dell’Accademia Clementina, Bologna 1739, I, p. 69; II, pp. 259-262; L. Crespi, Vite de’ pittori bolognesi non descritte nella Felsina pittrice, III, Roma 1769, pp. 262, 287 s.; C. Ricci, La scenografia italiana, Milano 1930, tavv. 79-82, nn. LXII-LXV; E. Mauceri, Vittorio Maria Bigari. Un profilo e un documento, in Il Comune di Bologna, XVII (1930), 9, pp. 5-8; Id., Disegni di quadraturisti, prospettici ed ornatisti bolognesi, ibid., XXI (1934), 11, pp. 7, 62 s.; R. Buscaroli, La pittura di paesaggio in Italia, Bologna 1935, pp. 376 s.; Mostra del Settecento Bolognese (catal.), a cura di G. Zucchini - R. Longhi, Bologna 1935, p. 153, n. 4, tav. XLVII; G. Zucchini, Paesaggi e rovine nella pittura bolognese del Settecento, Bologna 1947, pp. 6-9, 11 s., 16, 67 s.; R. Bossaglia, Riflessioni sui quadraturisti del Settecento lombardo, in Critica d’arte, s. 3, VII (1960), 41, p. 394; M. Viale Ferrero, Spunti classicistici del primo Settecento, in Antichità viva, I (1962), p. 61; Id., La scenografia del ’700 e i fratelli Galliari, Torino 1963A, p. 12; Id., Scenografia, in Mostra del barocco Piemontese (catal.), a cura di V. Viale, I, Torino 1963B, p. 24; G. Gaeta Bertelà, Artisti italiani dal XVI al XIX secolo. Mostra di 200 disegni dalla raccolta della Pinacoteca nazionale di Bologna… (catal.), Bologna 1976, p. 37, nn. 75 s.; R. Roli, Pittura bolognese 1650-1800. Dal Cignani ai Gandolfi, Bologna 1977, pp. 84 s., 209, 283; E. Landi, S. O., in L’Arte del Settecento emiliano. L’arredo sacro e profano a Bologna e nelle Legazioni pontificie. La raccolta Zambeccari (catal.), Bologna 1979, p. 55, n. 27; p. 56, n. 33; p. 59, nn. 42-44; Id., S. O., in L’Arte del Settecento emiliano. Architettura, Scenografia, Pittura di paesaggio (catal.), Bologna 1980, pp. 21 s., 276 s., nn. 11-14; Id., S. O. (1681-1760), tesi di laurea, Università degli studi di Bologna, a.a. 1980-81; Id., Palazzo Manfredi a Faenza: un museo vivo, in Risparmio e territorio, V (1981A), 1, pp. 42-47; Id., S. O. (1681-1760), in il Carrobbio, VII (1981B), pp. 208-217; L. Samoggia, Nicola Nasoni nuovi contributi sulla sua formazione artistica alla scuola di S. O. in Bologna, in Belas Artes, s. 3., 1985, n. 7, pp. 45-50; F. Arisi, Gian Paolo Panini e i fasti della Roma del ’700, Roma 1986, p. 77; E. Landi, Quadrature agli affreschi di Vittorio Maria Bigari raffiguranti «Bacco e Arianna», e «Il Ratto di Ganimede», in J. Bentini - A. Mazza, Disegni emiliani del Sei-Settecento. I grandi cicli di affreschi, Cinisello Balsamo 1990, pp. 264-269; C. Casali Pedrielli, Vittorio Maria Bigari: affreschi, dipinti, disegni, Bologna 1991, passim; E. Landi, Per l’attività prospettica di S. O. Dipinti inediti e nuove aggiunte alle Terme imperiali di Brera, in Accademia Clementina. Atti e Memorie, n.s., 1991A, nn. 28-29, pp. 121-134, tavv. 59-63, 65-67; Id., S. O. (1681-1760). Terme imperiali, in Pinacoteca di Brera. Scuola emiliana, Milano 1991B, pp. 230-232, n. 113; Id., S. O. Bologna, 1681-1760, in A.M. Matteucci - A. Stanzani, Architetture dell’inganno… (catal.), Bologna 1991C, pp. 188-190, nn. 15 s.; F. Arisi, Giovanni Paolo Panini 1691-1765 (catal., Piacenza), Milano 1993, p. 20, n. 39; E. Landi, S. O. Terme imperiali, in D. Lenzi - J. Bentini, I Bibiena una famiglia europea (catal., Bologna), Venezia 2000, pp. 423 s., n. 134; A.M. Matteucci, Gli studi degli anni trenta sull'architettura bolognese costruita e disegnata, in Bologna e le Collezioni Comunali d'Arte. Dalla Mostra del Settecento bolognese alla nascita del museo (1935-1936), a cura di C. Bernardini, Milano 2006, p. 157.