GRADI (Gradič), Stefano
Nacque a Ragusa in Dalmazia il 6 marzo 1613 da Michele e Maria Benessa, in una famiglia patrizia. Trasferitosi a Roma sotto la protezione dello zio Pietro Benessa (di cui il G. fu poi biografo), alto funzionario della segreteria di Stato, frequentò il Collegio romano e il Collegio Clementino (1629-34) per proseguire poi gli studi presso l'Università di Fermo (1634-36) e quella di Bologna, dove si addottorò in utroque iure nel 1638. Dopo avere ripreso, a Roma, gli studi teologici, rientrò in patria nella primavera del 1642, alla morte dello zio. Qui fu ordinato sacerdote e prese possesso della prebenda dell'abbazia dei Ss. Cosma e Damiano nell'isola di Pasman, di fronte a Zara, che mantenne fino alla morte.
All'inizio del 1653 il G. tornò a Roma per recuperare una pensione dello zio, autorizzato dal capitolo della cattedrale di Ragusa (in cui era nel frattempo entrato) ad assentarsi per un periodo sufficiente a sbrigare anche alcuni affari per la Repubblica, tra i quali erano le trattative per la costituzione di un collegio gesuitico. Nell'agosto di quell'anno aveva già deciso di prolungare il suo soggiorno romano, candidandosi alla successione dello scomparso G. Ricciardi come primo custode della Biblioteca apostolica Vaticana. Un simile tentativo è spiegabile alla luce delle amicizie influenti dei cardinali F. Barberini, protettore della Repubblica ragusina, B. Spada e G. Sacchetti, che il G. aveva ereditato dallo zio e che si era egli stesso guadagnato quando, appena diciottenne, aveva lavorato alla segreteria di Stato. Al G. venne preferito il ben più celebre L. Holste, ma Innocenzo X alla fine del 1653 gli assegnò un posto nel segretariato dei brevi ai principi della segreteria di Stato.
Con l'elezione di Alessandro VII il G., amico del pontefice e membro del circolo poetico chigiano, si trovò ancor più inserito negli ambienti curiali. Il 20 dic. 1655 toccò a lui pronunciare il discorso di saluto per Cristina di Svezia al suo arrivo nella torre dei Venti in Vaticano, mentre dal 1657 assunse le funzioni di segretario ab epistulis Latinis del cardinal nipote F. Chigi. Il 9 dicembre dell'anno precedente, dopo la morte di A. Bogdanovič, l'importanza del ruolo diplomatico del G. era stata riconosciuta con la nomina a rappresentante ufficiale della Repubblica di Ragusa presso la S. Sede. Ormai deciso a risiedere definitivamente a Roma, il G. continuò la carriera curiale, appoggiato dal potente amico cardinale C. Rasponi: consultore della congregazione dell'Indice nel 1658, il G. venne nominato secondo custode della Biblioteca apostolica Vaticana il 13 apr. 1661, quando L. Allacci ne divenne prefetto. Ottenuta una definitiva dispensa dall'obbligo ecclesiastico di residenza a Ragusa, il G. poté dedicarsi tutto all'attività diplomatica e a quella erudita e poetica. I Poemata Stephani Gradii, abbatis Ss. Cosmae et Damiani, patricii Ragusini, et Bibliothecae Vaticanae custodis uscirono una prima volta ad Anversa nel 1660 nei Septem illustrium virorum poemata, insieme con i componimenti, fra gli altri, degli amici A. Favoriti, N. Rondinini, F. von Fürstenberg. Sempre vivo nel G. fu anche l'interesse per i problemi fisico-matematici, che condivise con amici e corrispondenti quali V. Viviani o M. Ricci, il quale nel 1666 gli dedicò l'Exercitatio geometrica de maximis et minimis. Nell'estate 1664 il G. fece parte della legazione che, guidata da F. Chigi, si recò a Parigi per ratificare la pace di Pisa, lasciando del viaggio una relazione manoscritta. In quell'occasione il G. conobbe importanti personaggi dell'erudizione francese, tra cui J.-B. Bossuet, con il quale carteggiò in seguito.
Morto papa Chigi, il G. ebbe il prestigioso incarico di comporre e pronunciare il 2 giugno 1667 in conclave l'Oratio de eligendo summo pontifice, stampata a Roma nello stesso anno. Dopo che il 6 apr. 1667 Ragusa era stata distrutta da un terremoto in cui era perita metà della popolazione insieme con quasi tutto il governo, fu il G. la figura chiave della ricostruzione: oltre a ottenere dalla S. Sede aiuti immediati e a inviare in patria architetti e ingegneri, occupandosi particolarmente della riedificazione della cattedrale, iniziò una frenetica attività diplomatica presso i governi d'Italia e d'Europa al fine di ricevere sostegni economici e appoggi politici contro la doppia minaccia veneziana e turca. Recandosi in missione diplomatica a Venezia, nell'ottobre 1674 sostò a Firenze, dove conobbe A. Magliabechi (che gli fu poi prezioso consigliere per la politica di acquisti della Biblioteca apostolica Vaticana), il cardinale Leopoldo de' Medici e il granduca Cosimo III. La corrispondenza erudita che allacciò con i tre personaggi divenne un proficuo canale per i contatti diplomatici, oltre a permettergli di entrare in rapporto con L. Panciatichi, C.R. Dati, P. Falconieri e F. Marucelli.
All'amico e corrispondente G.B. Nani, il G. indirizzò il suo De laudibus serenissimae Reipublicae Venetae et cladibus patriae suae carmen, pubblicato a Venezia nel 1675, espressione poetica dei suoi sforzi diplomatici presso il governo della Serenissima. Nel 1673 la missione russa di P. Menzies a Roma trovò nel G. (che era fra i consulenti del papa per le questioni orientali) un interlocutore attento, convinto dell'opportunità di riconoscere il titolo imperiale al sovrano moscovita e di stringere più stretti legami politici ed ecclesiali con la Russia in funzione antiottomana (fu infatti promotore dell'unione di vari monasteri ortodossi balcanici alla comunione romana).
Già membro dell'Accademia dei Ricovrati di Padova, nel 1674 il G. entrò anche nell'accademia della regina Cristina, dove partecipò alle sedute a cui intervenivano, fra gli altri, G.G. Ciampini, L. Magalotti e l'amico M. Ricci. Alla sovrana il G. dedicò la sua più importante opera scientifica, le Dissertationes physico-mathematicae quattuor, impregnate di spirito galileiano, edite ad Amsterdam nel 1680.
Dal 22 settembre al 7 nov. 1679 il G. fu per la seconda volta a Parigi, per persuadere Luigi XIV ad allentare l'alleanza con il Turco, in vista della guerra nel Levante che il G. perseguiva, in linea con l'interesse di Ragusa e con la politica di Innocenzo XI, ma la missione si rivelò un completo insuccesso. Il G. aveva del resto dedicato varie opere, che circolavano manoscritte e che sono tuttora quasi del tutto inedite, al problema turco (fra le quali nel 1658 il De bello Cretensi, una lettera indirizzata all'amico G. Barbarigo, e il De praesenti statu Ottomani Imperii, scritto nel 1661 per F. von Fürstenberg), persuaso della pericolosità dell'Impero ottomano, ma anche della possibilità di batterlo attraverso un'alleanza dei principi cattolici e ortodossi.
Dopo che Lorenzo Brancati di Lauria, primo custode della Biblioteca apostolica Vaticana, fu elevato alla porpora, ai primi di gennaio del 1682 il papa chiamò a sostituirlo il G., che da trent'anni aspirava a quel ruolo. La direzione del G., che compilò il primo catalogo dei manoscritti di Urbino (Bibl. apost. Vaticana, Urb. lat., 1388), fu caratterizzata da una serrata campagna di acquisti di opere a stampa contemporanee, segnalate spesso al G. dai suoi corrispondenti eruditi di tutta Europa: per sua iniziativa, per esempio, furono acquistati i libri degli Altemps. Il G. ricevette con liberalità più tardi rimpianta i savants che giungevano in Vaticano, tra i quali J.F. Gronovius nel 1680. Lasciò alla Vaticana i codici Vat. Graeci 1950 e 1953, buona parte dei manoscritti contenenti la sua opera letteraria ed erudita, nonché i suoi copialettere.
Il G. morì a Roma il 2 maggio 1683 e fu sepolto in S. Girolamo degli Illirici.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. Capitolino, Arch. Urbano, XLIV, 29, 2 maggio 1683 (testamento del G., rogato il 27 nov. 1676); XLIV, 25, 2 maggio 1683 (inventario dei beni del G.); Arch. di Stato di Firenze, Mediceo del principato, 1084, 3940, 3947 (corrispondenza con Cosimo III); 5543 (corrispondenza del cardinale Leopoldo de' Medici, contenente notizie sulla carriera del G.); Firenze, Bibl. nazionale, Baldovinetti, 258, vol. V (dieci lettere del G. a C.R. Dati, 1667-71); Galileiani, 163, 247, 252, 254 (carteggio del G. con V. Viviani); Lettere dettate dal card. Sforza Pallavicino…, a cura di G.B. Galli Pavarelli, Roma 1668, passim; Sylloges epistolarum a viris illustribus scriptarum tomi quinque, collecti…, Leideae 1727, passim; Iscrizioni delle chiese e d'altri edificii di Roma…, a cura di Vincenzo Forcella, III, Roma 1875, p. 340 n. 768; Cristina di Svezia. Mostra di documenti vaticani, Città del Vaticano 1966, pp. 23, 29 s.; S. Krasič, S. Gradič (1613-1683) diplomatico e prefetto della Biblioteca apostolica Vaticana, Roma 1987 (alle pp. 11-20, 218-233 elenchi delle opere del G. a stampa e manoscritte, delle fonti edite e inedite, nonché una ricca bibliografia); G. Panizza, Studi sui primordi del giornalismo letterario in Italia, I, Francesco Nazari, estensore del primo giornale romano, in Studi secenteschi, XXIV (1983), pp. 161 s.; E. Paratore, La poesia latina di Giunio Palmotta e S. G., in Barocco in Italia e nei paesi slavi del Sud, a cura di V. Branca - S. Graciotti, Firenze 1983, pp. 1-12; J.-M. Gardair, Le "Giornale de' letterati" de Rome (1668-1681), Firenze 1984, p. 76; S. Krasič, Un precursore dell'unità europea: S. Gradič di Dubrovnik, in Angelicum, LXIV (1987), pp. 476-525; A. Robinet, G.W. Leibniz, Iter Italicum. La dynamique de la république des lettres, Firenze 1988, passim; S. Rotta, L'Accademia fisico-matematica ciampiniana: un'iniziativa di Cristina, in Cristina di Svezia. Scienza ed alchimia nella Roma barocca, Bari 1990, p. 109; P.O. Kristeller, Iter Italicum, Index voll. I-VI, ad nomen (sono segnalate lettere e opere del G.).