STAGIONI
Le quattro Stagioni, (greco: ὦραι; lat. tempora anni), tema inesauribile della musica, delle arti figurative e della poesia fino all'evo moderno, sono creazioni relativamente tarde dell'arte antica. E questo a ragione del fatto che in Grecia l'anno era originariamente suddiviso, corrispondentemente alle condizioni climatiche, come ad esempio anche in Egitto, in tre parti. È vero che già al poeta arcaico Alcmane (Framm. 56, Diehl) erano note le Quattro S., egli però non le personificò. L'accettazione definitiva della quadripartitura dell'anno va posta in relazione con le osservazioni sul corso solare degli studiosi babilonesi e greci. Il calendario solare ha quattro punti fissi: il solstizio d'estate e quello d'inverno e gli equinozi di primavera e d'autunno. Ognuno di questi punti fissi cade nel mezzo di una stagione. Questa suddivisione dell'anno si è andata imponendo via via in Grecia a partire dal IV sec. a. C. Fu il presupposto per la rappresentazione di quattro Horai (v.) con gli attributi delle S., che si riscontra a partire dall'ellenismo. Precedentemente esistevano soltanto rappresentazioni di, al massimo, tre Horai. Le S. sotto forma di putti o di giovani, al contrario, sono note soltanto a partire dall'arte romana del II sec. d. C., ma recentemente si è posto in discussione se anche queste S. maschili non siano ugualmente derivate dall'arte dell'ellenismo.
1. Periodo arcaico. - Le Horai arcaiche avevano ben poco a che vedere con il tempo come tale. Esse erano essenze divine che provocavano la fioritura e la crescita sia nella vegetazione che nella vita degli uomini e dello stato. Per provenienza, carattere e funzione sono imparentate con le Canti e le Parche e sono vicine pure alle Ninfe. In Omero compaiono al seguito delle divinità dell'Olimpo; lo spirito classificatore di Esiodo vedeva nelle Horai le figlie di Zeus e di Temi (Theog., 901 ss.), con i nomi di Eunomia, Dike, Eirene, che diede loro, le inserì totalmente nell'ambito della vita statale, mentre sui luoghi di culto le Horai erano piuttosto collegate con il crescere della natura. A tale ambito si riferiscono, per esempio, i loro nomi sicuramente antichi in Atene di Thallo e Karpò (Paus., ix, 35, 2) che indicano anche una certa differenziazione: Thallo ha attinenza con il "germogliare", Karpò con il "maturare" della natura (v. karpoi). Ambedue questi aspetti sono contenuti nell'appelativo complesso di ὧρα che veniva spesso usato nel senso di "tempo della fioritura o della maturazione". Si comprende così anche per quale motivo la fantasia dei Greci si sia a lungo opposta alla scissione dell'antica unione a tre delle Horai. Così ad esempio nelle Ciprie (Fr. 4) tutte le Horai recano fiori primaverili.
Nella loro rappresentazione più antica, di quelle conservatesi nell'arte figurativa, e cioè nel corteo delle divinità per le nozze di Teti sul cratere di Kleitias (v.) a Firenze (570-60 a. C.) le tre Horai sono avvolte in un unico mantello, a significare la loro stretta affinità. Invero si è creduto che su di una pisside a figure nere della metà del sec. VI a Berlino le Horai siano per la prima volta differenziate nell'abbigliamento e nei loro attributi. Ma questa raffigurazione priva di iscrizione va invece cancellata dal catalogo delle immagini accertate delle Horai: probabilmente si tratta di Arianna con due ninfe. Sulla coppa di Sosias a Berlino (5oo a. C.) tutte tre le Horai recano i frutti dell'autunno. Qui accompagnano Eracle all'Olimpo, in modo simile introducono Giacinto e sua sorella presso gli dèi (Paus., iii, 19,4) sul Trono di Amicle. Già Omero le conosce come portinaie del cielo (Il., v, 749; viii, 393 ss.) e questa rappresentazione rimane viva fino alla tarda antichità non soltanto nella poesia (Nonnos, Dion., 2, 704) ma anche sui sarcofagi (v. oltre, 5). Mentre le Horai introducono Eracle e Giacinto alla nuova vita dell'Olimpo, le due Horai invece sulla coppa di Fineo di Würzburg, indicate dalla iscrizione, portano a Fineo, dopo la cacciata delle Arpie, fortuna e crescita in questo mondo.
Fino dall'antichità le Horai erano accomunate nel mito e nel culto a talune divinità, così a Zeus loro padre, a Demetra e Kore in qualità di elargitrici della benedizione delle messi, a Dioniso apportatore della cultura della vite, ad Afrodite nella quale anche la natura delle Horai è potenziata. Anche nell'arte romana le S. si trovano al seguito di tali divinità, alle quali più tardi si aggiunge anche il dio del sole. Invece pare essere specificamente greco il collegamento di Hera con le Horai. Secondo un'antica tradizione Hera era stata allevata da esse (Paus., ii, 13, 3). Pausania vide ancora nell'Heraion di Olimpia (v, 17, i) le vecchie statue sedute delle Horai, opera dello scultore arcaico egineta Smilis. Se si pensa che dal pòlos della statua di culto di Hera ad Olimpia fuoruscivano dei tralci e che la Hera di Samo aveva dei tralci di vite nei capelli (Kallim., Fr. 101, Pfeiffer), che Alceo poteva invocare Hera come compagna di culto di Dioniso e "madre di ogni vita", non ci si stupisce affatto della stretta correlazione fra Hera e le Horai.
2. V-IV secolo a. C. - Rare sono le immagini delle Horai tramandateci dai due secoli della classicità. Ricorrono però in due grandi statue di culto, lo Zeus di Fidia in Olimpia (Paus., v, ii, 7) e la corona della Hera in Argo, opera di Policleto (Paus., ii, 17, 4) ambedue le volte unitamente alle Canti, a loro strettamente imparentate. Queste due opere classiche, delle quali purtroppo non possiamo farci idea alcuna, hanno certamente influenzato le raffigurazioni delle Horai di epoca posteriore. Probabilmente più di un tipo di Horai dell'indirizzo neo-attico del tardo ellenismo e dell'età imperiale si rifanno in definitiva a tali prototipi. Naturalmente si deve contare sulla esistenza di versioni intermedie. Così W. Fuchs ha potuto ricondurre la composizione neoattica delle tre Horai con le tre Agraulidi ad un modello attico del tardo IV sec. a. C. (op. cit. in bibl., p. 63 ss.).
Vasi àpuli della seconda metà del IV sec. ci mostrano le Horai durante la missione di Trittolemo voluta da Demetra. Su di un cratere di Leningrado sono accertate in questa connessione dalla iscrizione. Si tratta solo di due Horai, una seduta, l'altra stante, ed ambedue recano una spiga nella mano, indicano cioè il successo della missione che è in loro potere. Compare così un tema che ricorrerà sempre nuovamente nelle rappresentazioni ellenistiche (v. oltre, 3) e romane (v. oltre, 4) di Trittolemo. In questa connessione compare ulteriormente anche in epoca posteriore la dualità delle Horai.
3. Ellenismo. - Questa epoca porta una evoluzione decisiva. Al posto della vecchia unione a tre, diventano ora usuali le quattro Horai. Al posto della eguaglianza, compare un'artistica differenziazione nell'abbigliamento e negli attributi, che indicano ogni volta una stagione precisa. Le antiche venerabili dee si trasformano in allegorie della primavera, dell'estate, dell'autunno e dell'inverno. Nel noto festoso corteo dionisiaco di Tolomeo Filadelfo (285-242) le S. ci sono per la prima volta testimoniate nel modo seguente: al seguito della personificazione dell'anno (Eniautos) incedevano quattro fanciulle leggiadramente vestite che impersonavano le Stagioni. Ognuna recava i frutti di sua pertinenza (Athen., 5, 198 B). Nell'arte figurativa non conosciamo alcuna raffigurazione sicura delle quattro S. che sia di epoca anteriore, dato che la composizione arcaistica del rilievo con Dioniso e le quattro Horai, il cui modello era stato collocato da E. Schmidt e G.M.A. Hanfmann intorno al 300 a. C., è invece databile, secondo W. Fuchs (op. cit., p. 51) intorno alla metà del ii sec. a. C. Circa intorno al 100 a. C. è nato il corteo neoattico delle Horai che mostra le quattro S. come individualità singole nettamente differenziate fra loro con i propri attributi. Questi tipi si incontrano per la prima volta su una base neoattica nella Villa Albani, che secondo W. Fuchs fu lavorata ancora prima del trasferimento degli artisti neoattici a Roma (88-86 a. C.). Qui si trovano uniti alla dea della luna con la fiaccola, mentre probabilmente il vero "originale" neoattico era rappresentato dal corteo delle nozze di Teti, così come si è conservato nelle copie di età romana (v. oltre, 4 e 5). Al contrario di precedenti immagini greche delle Horai, in queste rappresentazioni classicistiche le figure non sono fuse a costituire un vero e proprio gruppo. Ognuna è rappresentata di profilo e vuole essere vista come figura singola. La Primavera, che secondo la dimostrazione di O. Brendel compare come ancella del sacrificio dionisiaco (Röm. Mitt., xlviii, 1933, p. 173 ss.), è vestita di tunica e mantello. Sul capo porta un fazzoletto e nelle mani un vassoio e un capretto; l'Estate regge fiori, frutti di papavero e spighe; l'Autunno regge frutti in una piega della sua tunica; l'Inverno in lunga veste e spesso mantello porta un bastone sopra la spalla con appesa la cacciagione (uccelli e lepri) e nella destra un verro. Questa rappresentazione delle quattro S., così fortemente carica di significati, probabilmente non ha affatto la sua origine nell'arte figurativa, bensì nelle "mascherate" del genere del fastoso corteo di Tolomeo ii. Invece un'altra completamente diversa concezione delle Horai deve essere probabilmente vista come una creazione originale della così multiforme arte figurativa ellenistica. Essa presenta le sorelle a guisa di creature simili alle ninfe, alcune parzialmente nude. Due Horai di questo tipo sono raffigurate sulla alessandrina Tazza Farnese (v. allegoria). Numeroso seguito ebbero queste S. ellenistiche in forma di ninfe nella pittura murale pompeiana e romana e nell'arte funeraria romana.
4. 50 a. C. - 100 d. C. - Il corteo neoattico delle Horai alle nozze di Teti ci è conservato nell'arte romana anzitutto su un puteale tardo-repubblicano di Copenaghen. Tipi identici si sono trasmessi alle fabbriche di terracotte: essi compaiono sia su lastre Campana che sulla ceramica aretina, per esempio sul calice del vasaio Cn. Ateius di Londra, che può essere datato nel 10-5 a. C. Le Horai ellenistiche del "tipo Ninfa", compaiono nell'arte romana anzitutto sul vassoio d'argento di Vienna proveniente da Aquileia, la cui figura principale è stata interpretata recentemente da H. Möbius, come Marco Antonio-Trittolemo. Le Horai dell'Autunno è dell'Inverno, una seminuda, l'altra completamente ammantata e con ghirlanda di canne, sono intente ai serpenti del carro di Trittolemo. Esse sono le stagioni più direttamente collegate con la semina del frumento. La Primavera e l'Estate guardano da lontano. Le due coppie delle Horai formano deliziosi e vivaci gruppi in contrasto con le S. neoattiche. Due di esse compaiono sul vaso di onice da Mantova a Braunschweig, davanti al carro di Trittolemo, che personifica probabilmente Nerone all'inizio del suo impero nel 54 d. C. Nella pittura pompeiana le Horai compaiono come fanciulle che volano, completamente o parzialmente nude ad eccezione dell'Inverno, recando i loro attributi. La stagione invernale si avvolge con civetteria nel suo man tello, quasi fosse una danzatrice neoattica nel suo velo. Nella domus aurea di Nerone le quattro S. erano rappresentate su uno dei soffitti, in atto di volare. Nel quadro di Fetonte della stessa domus esse circondano il trono del Sole a somiglianza della descrizione di Ovidio (Met., ii, 26 ss.). Se portassero degli attributi, e quali, non è più possibile distinguere nella copia disegnata. L'Estate era raffigurata col busto nudo.
Le S. si incontrano nell'arte funeraria romana anzitutto su due monumenti provinciali di liberti, dalla metà del I sec. d. C. Su ambedue, le Horai si volgono verso l'osservatore. Il rilievo di Boretto, meno pregevole, mostra fra esse Amore. Per stile e tipo non possono essere assegnate nè alle Horai nel tipo della ninfa nè a quelle neoattiche. Si tratta piuttosto di pasticci di tipo popolaresco che sul rilievo in calcare di Clodia a Roccagiovine (presso Tivoli) appaiono freschi e originali. Così, ad esempio, l'Estate seminuda, reca un fascio di spighe e di papaveri ed in aggiunta una piccola brocca (di rugiada?). Il suo capo è adorno di spighe disposte a guisa di una corona di raggi. Qui le S. sono affiancate da una iscrizione che parla esplicitamente dei tempora cuncta che lo hospes starebbe vedendo. Con l'enfatico appello rivolto all'osservatore si spiega anche la rappresentazione frontale. Le S. simbolizzano, sulla base della iscrizione due cose: la transitorietà, ma anche i doni belli della vita, che erano enumerati nelle ultime due righe scritte in greco. Sono ancora leggibili le parole: allegria, amore, vino, sonno (si confrontino i frutti di papavero della stagione estiva), la ricchezza senza le pene di Tantalo. L'osservatore dovrebbe godersi quei doni perché presto anche egli andrà sotto terra. Questi carpe diem e memento mori dovrebbero aver influenzato molte raffigurazioni di S. sui sarcofagi dei secoli seguenti.
5. II-IV sec. d. C. - Il II sec. d. C., nel quale compaiono ex novo tanti temi e forme, portò la seconda decisiva trasformazione per le Stagioni. Al posto delle S. femminili compaiono ora S. maschili, da prima sotto forma di putti, a partire dal III sec. anche come giovani. I putti dapprima ci sono trasmessi in una posizione del tutto subordinata, su un rilievo del Laterano proveniente dalla tomba degli Haterii (intorno al 100 d. C.; v. haterij). Circondano la porta della tomba, mentre sui sarcofagi del III sec. adornano spesso la porta medesima dell'aldilà (v. sopra, I). Così, ad esempio, si sono conservati sotto forma di tranquilli adolescenti stanti sull'arco di Traiano a Benevento, sugli archi di Settimio Severo e di Costantino a Roma. F. Matz ha recentemente tentato di dimostrare che le S. in forma di putti derivano dall'ellenismo. È vero che questa teoria è stata in genere avversata, ma rimane da accertare se non siano esistite composizioni ellenistiche in cui i putti abbiano aiutato le Horai femminili, a sorreggere gli attributi similmente a quanto avviene sui coperchi di alcuni sarcofagi romani (vol. iv, p. 955, fig. 1139) e in due rilievi da giardino con S. femminili distese, del Museo Chiaramonti. Un esempio particolarmente bello di precoci putti raffiguranti S. è dato da un'ara circolare adrianea, ora dispersa, proveniente dagli Horti di Sallustio che per F. Matz costituisce un importante esempio dimostrativo. L'Inverno, abbigliato con la tunica, regge in una mano un'oca e nell'altra una lòutrophòros per il bagno della sposa (l'inverno era considerato stagione propizia per contrarre matrimonio). Primavera ed Estate sono nudi, uno reca fiori, l'altro falce e papaveri. L'Autunno ha una nebris intorno alla spalla, porta un bastone da pastore e appoggia la sinistra su un cesto pieno di uva. Nelle forme evolute posteriori Primavera ed Estate portano i loro attributi, fiori e spighe, entro un simile cesto. Talora anche bambini di alto lignaggio vennero raffigurati con gli attributi delle S., come in due rilievi del Palazzo Rondinini a Roma. Non è che i putti delle stagioni abbiano completamente sostituito le S. femminili. Su di un sarcofago di Fetonte da Ostia compaiono ancora secondo la vecchia tradizione le quattro Horai, su altri sono sostituite da putti. Anche sui mosaici compaiono i putti, ma qui le S. femminili godono di maggior favore sia a figura intera come su di un bel mosaico di Antiochia, sia come busti. Quasi sempre sono alate e ci si dovrebbe chiedere se le Horai abbiano preso le ali dai putti delle Stagioni. Su un mosaico del Vaticano con l'Artemide efesia le quattro S. sono simboleggiate da differenti alberi, un esempio molto raro in età precristiana.
Il significato delle stagioni nell'ambito statale è chiaramente indicato su monete e medaglie a partire da Adriano: felicitas temporum ovvero saeculi felicitas, εὐτυχεῖς καιροῖ e anche tempora felicia, naturalmente dovuti all'imperatore. Le S. sono prevalentemente raffigurate sotto forma di putti danzanti. Sono collegate a volte con lo Zodiaco, a volte con Tellus, a volte con ambedue. La madre terra potrebbe essere considerata in questa connessione come Tellus Stabilita che sui conî di Commodo è raffigurata accomunata alla temporum felicitas. L'immagine di Tellus distesa con i quattro putti raffiguranti le S. è frequentemente ripetuta su sarcofagi, mosaici, via via fino alla patera di Parabiago di Milano (v. vol. 1, p. 263, s. v. allegoria).
Nella tarda età imperiale i sarcofagi soprattutto diventano, accanto ai mosaici, campo prediletto per la rappresentazione delle s., che incontrammo già nel sec. I (v. sopra, 4) in un nesso sepolcrale. Nel ii sec., quando sui sarcofagi si preferivano i temi mitologici, si torna a rappresentare da capo le quattro Horai neoattiche nel corteo nuziale di Teti. Il III sec. ci porta le S. in forma di tranquilli putti stanti o di giovani, che spesso a due a due incorniciano un motivo centrale, che può essere un gruppo di divinità o una porta dell'aldilà o il ritratto del defunto chiuso nel sarcofago. L'esempio più grandioso del genere è il sarcofago delle S. Badminton-New York (220-30 d. C.). In questo monumento gli efebi dai lunghi boccoli che rappresentano le S. non si possono spiegare soltanto con la accresciuta altezza del cassone del sarcofago. Si è invece teso ad una raffigurazione delle S. che fosse maggiormente dignitosa dei putti. Essi sono probabilmente assimilati all'Aion mitraico, così come compare per la prima volta nell'arte romana sullo zoccolo della colonna di Antonino Pio (v. vol. i, p. 494, s. v. apoteosi). Che nella tarda età imperiale le religioni dei misteri orientali abbiano influito sulla raffigurazione delle S., lo testimonia ad esempio anche la figura dell'Inverno. A volte non porta mantello e tunica ma la veste a pantaloni di Attis, come ad esempio sul sarcofago delle S. di Dumbarton Oaks, dove le S. circondano lo zodiaco con i busti di una coppia di sposi. Non esiste quasi religione misterica della tarda antichità che non si sia servita in qualche modo del simbolismo delle Stagioni. Il loro significato era talmente complesso da poter essere interpretato in diversi modi, con la partecipazione di persone colte e non: le quattro età della vita, la transitorietà e la rinascita, i doni belli della vita terrena e la felicità attesa nell'altro mondo, l'offerta di frutti stagionali presso la tomba (ὡραῖα), ecc. F. Cumont ha seguito in modo particolare le convinzioni delle persone colte quando collega con le S. raffigurate sui sarcofagi le dottrine pitagoriche e neoplatoniche dei cicli della nascita e del tramonto delle anime. In genere però interpretazioni di tipo popolare dovrebbero essere state più vicine. Neppure il cristianesimo interruppe la rappresentazione largamente diffusa delle Stagioni. I loro attributi acquistano nuovo significato, come simboli del paradiso cristiano, perdendo via via i caratteri più tipicamente pagani. Pertanto nel celebre mosaico della cupola dell'Oratorio di S. Giovanni Evangelista nel Battistero del Laterano l'agnello di Dio è circondato solamente da un serto che è intrecciato con i doni delle Quattro Stagioni.
Monumenti considerati. - (Hanfmann = G.M.A. Hanfmann, The Season Sarcophagus in Dumbarton Oaks, II, Cambridge Mass., 1951). Cratere di Kleitias: Hanfmann, n. i. Pyxis, Berlino 3989: Hanfmann, n. 4, fig. 79. Coppa di Sosias, Berlino 2278; Hanfmann, n. 6. Coppa di Fineo, Würzburg: Hanfmann, n. 5. Horai e Agraulidai neoattiche: Hanfmann, nn. 40-43; W. Fuchs, op. cit. in bibl., p. 63 ss., tav. 13 s. Cratere àpulo, Leningrado: Hanfmann, n. 10. Rilievo, arcaistico con Dioniso e Quattro S.: Hanfmann, nn. 23-24, fig. 80; W. Fuchs, op. cit., p. 51 ss., tav. II b. Base rotonda della villa Albani: Hanfmann, n. 63; W. Fuchs, op. cit., pp. 158, 167. Tazza Farnese: Hanfmann, n. 13; J. Charbonneaux, in Mon. Piot, 50, 1958, p. 88 ss. Puteale tardo repubblicano: E. Simon, in Röm. Mitt., LX-LXI, 1953-54, tav. 91 s. Rilievi Campana: Hanfmann, nn. 69-70. Ceramica aretina: Hanfmann, nn. 57-60. Argento da Aquileia, Vienna: Hanfmann, n. 15; H. Möbius, in Festschrift Matz, Magonza 1962, p. 80 ss. vaso di onice da Mantova, Braunschweig: Hanfmann, n. 14; E. Simon, Die Portlandvase, Magonza 1957, p. 58 ss. Horai pompeiane: Hanfmann, nn. 88-101, fig. 87-98. Soffitto della Domus Aurea: Hanfmann, n. 102, fig. 105. Pittura con Fetonte, ivi; Hanfmann, n. 18, fig. 82. Monumento di Boretto: Hanfmann, fl. 115, fig. 85. Monumento funerario, Roccagiovane: Hanfmann, n. 116, figg. 83-84. Rilievo degli Haterii, Roma, Laterano: Hanfmann, n. 323, fig. 130. Sarcofagi con le S. su porte dell'Aldilà: Hanfmann, nn. 315-316, fig. 65; n. 336, fig. 33. S. su archi: Hanfmann, nn. 307, 311, 317, fig. 21 ss. Coperchio di sarcofago con Horai e putti: Hanfmann, n. 385 ss., fig. 107. Sculture da giardino, Vaticano, Museo Chiaramonti: Hanfmann, n. 399. Ara adrianea ora perduta: Hanfmann, n. 308; F. Matz, op. cit., p. 41 ss., in bibl., tav. 6, 7 a. Fanciulli principeschi con attributi delle stagioni: Horai su sarcofago di Fetonte da Ostia, Copenaghen: Hanfmann, n. 17, fig. 104. Putti su sarcofago con Fetonte: Hanfmann, nn. 433-434. Statue maschili su mosaici: Hanfmann, nn. 319, 334-335, 338 ss., fig. 132 ss. Mosaico con s. alata da Antiochia, Louvre: Hanfmann, n. 123, fig. 99 ss. Busti femminili di s.: Hanfmann, n. 131 ss., fig. iii ss. Mosaico del Vaticano: W. Helbig, Führer, 4, n. 441 (K. Parlasca). S. su monete e medaglioni con iscrizioni: Hanfmann, nn. 318, 324 ss., fig. 127 s. S. con Tellus: Hanfmann, n. 425 ss., fig. 1o8 ss. Patera di Parabiago, Milano: Hanfmann, n. 449. Sarcofago con Horai neoattiche, Villa Albani: Hanfmann, n. 65; E. Simon, in Röm. Mitt., xl-xli, 1953-54, p. 212 ss. Sarcofago Badminton-New York: F. Matz, op. cit., tav. A-H, tav. i. Sarcofago di Dumbarton Oaks: Hanfmann, passim, tav. i ss. Mosaico del Laterano: Berchem-Clouzot, Mosaïques Chretiennes, Ginevra 1924, fig. 104, fig. 117.
Bibl.: Rapp, in Roscher, I, 2, 1889-90, c. 2712 ss., s. v. Horai; F. Cumont, Recherches sur le symbolisme funéraire, Parigi 1942, p. 490 ss. e passim; G. M. A. Hanfmann, The Season Sarcophagus in Dumbarton Oaks, I-II, Cambridge Mass., 1951 (cfr. la recensione di R. Horn, in Gnomon, XXVII, 1955, p. 351 ss.); F. Matz, Ein römisches Meisterwerk, Der Jahreszeitensarkophag Badminton - New York, in Jahrbuch, XIX, 1958 (cfr. la recensione di G. M. A. Hanfmann, in Gnomon, XXXI, 1959, p. 533 ss.); W. Fuchs, Die Vorbilder der neuattischen Reliefs, in Jahrbuch, Ergänzbd., XX, 1959, pp. 51 ss., 63 ss.