SPINELLI
(Spinegli). – La famiglia degli Spinelli, che dettero il nome a una compagnia bancaria molto attiva nella seconda metà del XV secolo, era originaria di Pontassieve (nel contado fiorentino, sulla destra dell’Arno alla confluenza con il fiume Sieve; circa 14 chilometri dalla città).
Emigrarono in città nel Duecento; secondo le genealogie settecentesche (redatte dall’antiquario Giovanni Fantoni, 1730), primi a comparire furono nel 1225 Piccialdino e Bisarnese. Il cognome Spinelli («Spinegli») appare per la prima volta nel Trecento nelle matricole dei vaiai e pellicciai e dell’Arte di Por Santa Maria (della seta). In particolare Spinello di Bonsignore si iscrisse nell’Arte dei vaiai e servì in seguito come priore nel 1326 e nel 1330. Quando morì nel 1381, fu seppellito nella chiesa di Santa Croce, dove si vede ancora la sua lapide monumentale: gli Spinelli avevano infatti concentrato le loro case lungo borgo Santa Croce vicino alla famosa chiesa francescana, nel gonfalone del Lion Nero, luogo storicamente dominato da famiglie potenti come gli Alberti e i Peruzzi. Due fratelli di Spinello, Cione e More, furono agenti nella società bancaria degli Alberti del Giudice.
Giovanni Cavalcanti, nella sua storia di Firenze composta negli anni Trenta del Quattrocento, attribuisce la loro cittadinanza al regime tirannico di Gualtieri di Brienne, duca d’Atene (1342-43). Fa menzione denigratoria di «un Spinello» (G. Cavalcanti, Nuova Opera, a cura di A. Monti, Paris 1989, p. 94) che faceva il vaiaio, la cui madre era lavandaia alla corte ducale. L’ultima affermazione è quasi certamente falsa. Lo Spinelli a cui si riferisce Cavalcanti fu probabilmente Spinello di Bonsignore, che fece con i suoi fratelli giuramento di fedeltà al duca.
Il membro più ricco della famiglia nel Trecento fu Lorenzo, figlio di Spinello. Prese parte alle operazioni bancarie degli Alberti come agente in Francia e nelle Fiandre. Nel 1375 si associò con Cipriano di Duccio Alberti in una società che si occupava principalmente del trasferimento di rendite ecclesiastiche tra l’Inghilterra e Roma. Quando rientrò a Firenze intorno al 1370 si iscrisse nell’arte di Calimala; successivamente, nominato ufficiale della zecca nel 1376. Altro figlio di Spinello fu Francesco, che imitò il padre nell’iscrizione all’Arte dei vaiai, fu eletto priore quattro volte, e fu politicamente vicino a Salvestro di Alamanno Medici, gonfaloniere di giustizia, che appoggiò i Ciompi. A questi ambienti Francesco era vicino: nel 1371 aveva sposato suo figlio Lionardo a Bice Strozzi, una figlia di Tommaso di Marco Strozzi, che fu poi un personaggio importante nella rivolta dei Ciompi.
All’inizio del Quattrocento, gli Spinelli – sempre iscritti alle arti citate – occupavano comunque una posizione di modesta importanza nella vita sociale ed economica della città. L’ascesa decisiva della famiglia fu dovuta alla carriera di Tommaso Spinelli, uno dei dodici figli di Lionardo di Francesco Spinelli e di Bice Strozzi, ricordato come «il grande» e uomo «di prudenza e virtù» nella genealogia di Fantoni.
Nelle sue Ricordanze, Tommaso (allora diciannovenne) annotò «Ricordo come fino al 13 agosto 1419 io presi il conto della Cassa al bancho d’Aldighieri di Francesco che faceva lo traffico in Corte di Roma [...] perchè gli Alberti in quei tempi non potevano trafficare a Firenze, diceva lo nome in detto Aldighieri» (Beinecke rare book and manuscript Library, Archivio Spinelli, Vagante IX). Compare dunque come cassiere di Aldighiero di Francesco Biliotti, prestanome degli Alberti del Giudice (una grande società bancaria, con filiali in tutta Europa), cui dopo il tumulto dei Ciompi era vietato operare a Firenze. Proprio in quell’anno Martino V e la Curia si erano temporaneamente stabiliti a Firenze.
Gli affari di Tommaso con gli Alberti durarono fino al 1433, quando lasciò l’azienda dopo una disputa per il pagamento di stipendi arretrati. Tommaso formò un banco a Roma con Galeazzo Borromei (uno dei principali concorrenti degli Alberti a Bruges, Londra e Venezia; originari di S. Miniato al Tedesco, i Borromei erano stati esiliati da Firenze nel 1369), operando verosimilmente – l’accordo non ci è pervenuto – come amministratore. Nel 1435, Tommaso rappresentò papa Eugenio IV e il banco Borromei/Spinelli al Concilio di Basilea. Secondo i bilanci esistenti, i clienti di Tommaso furono principalmente dei sostenitori del papa: Giovanni Berardi, arcivescovo di Taranto e Pietro Donà, vescovo di Padova. Gli affari del banco non andarono bene. Lamentò lo Spinelli che «non aveva fatto altro che spendere» (ibid.).
Negli anni dopo Basilea, Tommaso ebbe più successo, allargando i suoi affari con i cardinali della corte papale. Quando morì Galeazzo Borromei nel 1436, Tommaso creò una nuova società con Antonio Borromei, fratello di Galeazzo. Tra il 1437 e il 1440, il banco produsse profitti per circa 986 fiorini l’anno. A Tommaso venne affidato da Eugenio IV l’incarico di raccogliere le annualità (primi frutti dei benefici ecclesiastici), pagate da vescovi e abati quando ricevevano la loro nomina. Il Liber taxarum, con annotazioni personali ai margini, fu gelosamente custodito da Tommaso per tutta la sua vita. Nel 1441-42, i profitti del banco che era pur sempre di taglia alquanto modesta, rispetto ad esempio al banco papale dei Medici, ammontavano a 1997 fiorini l’anno. In contrasto con i Medici, Spinelli utilizzava capitale operativo («un corpo») che funzionò in tutta la loro lunga carriera. Tommaso svolse una considerevole quantità di affari in Spagna, concedendo prestiti al potente arcivescovo di Toledo, Alfonso Carillo.
Una svolta nella carriera di Tommaso si verificò nel 1443, quando Eugenio IV gli diede la direzione del deposito generale, l’ufficio più alto nella gerarchia finanziaria papale. Spinelli fu scelto anche per ragioni politiche, essendosi poco prima (1442) il papa accostato politicamente ad Alfonso d’Aragona (che aveva cacciato gli Angioini sino ad allora sostenuti dal papa) e a Filippo Maria Visconti, ostile ai Medici. Il banco Medici fu dunque avvicendato dal banco Spinelli/ Borromei (tanto più che questi ultimi avevano storicamente legami finanziari con il Ducato di Milano). In quanto depositario Tommaso allargò la sua rete di clienti a molti cardinali, vescovi, preti, canonici di tutta Europa. Il banco aveva corrispondenti ad Avignone, Montpellier, Ginevra, Perpignan, Lisbona, Valenza e Barcellona. Tommaso prestò al papa 19.061 fiorini per iniziare una guerra contro Francesco Sforza e per i preparativi per una crociata a Varna. Questa posizione di favore finì presto, perché il nuovo papa Niccolò V (1447) ritornò a una politica favorevole ai Medici assegnando il posto di depositario generale a Roberto Martelli, amministratore della filiale romana del banco dei Medici.
Nella nuova situazione, Spinelli rilevò la quota del socio Borromei e intraprese un’attività indipendente, con una sola filiale a Roma, consapevole di rinunciare al possibile ruolo di depositario (i papi favorivano banchieri con filiali internazionali) ma fiducioso di raggiungere ugualmente il successo, grazie anche all’apertura di un fondaco per il commercio di tessuti di lana, seta e altri merci per sfruttare il mercato di articoli di lusso alla corte papale.
Nel frattempo, Spinelli (che già dal 1440 aveva finanziato lavori per l’infermeria di Santa Croce, proseguendo poi con donazioni alla chiesa e al convento per tutta la sua carriera seguendo l’esempio dei suoi antenati) iniziò a investire in beni di rappresentanza e in iniziative mecenatesche. A Roma, acquistò una cappella nella chiesa di S. Celso, dove vivevano i banchieri e i colleghi fiorentini, e fece costruire una villa fuori dalla porta di Monte Mario; stando alle sue memorie, spese circa 5804 fiorini in opere pie a Roma. Comprò anche due poderi poco fuori Firenze, a Rignalla e Compiobbe, e diverse case in borgo Santa Croce in preparazione per la costruzione di un palazzo, cominciato in realtà nel 1456 con l’aiuto del famoso artista Michelozzo impiegato come tagliatore.
Secondo gli inventari esistenti, Tommaso comprò anche molti libri, anche se non sappiamo precisamente quando. Aveva copie della Fiammetta e del Decameron di Giovanni Boccaccio, il Canzoniere e i Trionfi di Francesco Petrarca, il Roman de Troie, le Epistole di san Paolo, la Vulgata di san Gerolamo, le lettere di Ovidio, un libretto de’ pensieri di Christo, un codice della Biblioteca Vaticana contenente le ciceroniane Epistulae ad Atticum, altri testi ciceroniani, e una Bibbia rilegata in cuoio bianco. Nonostante la crescente ricchezza, la vita fuori da Firenze permise a Spinelli di nascondere i suoi profitti allo Stato. Nella portata del catasto del 1430, dichiarò di non avere nessun patrimonio, e nella sua dichiarazione del 1446 disse che «non mi trovo di sostanze nulla» (Archivio Spinelli, box 8, folder 95).
Nel 1452, Tommaso, sposato con tre figli – «il più vecchio mercante» (ibid.) alla corte papale, come si definisce – decise di tornare a Firenze, dopo trentatré anni a Roma. Oltre che al settore bancario, egli si dedicò all’imprenditoria tessile. Fu un successo l’apertura di una bottega di seta (1454) con Niccolò di Piero Buonacorso e Goro di Matteo di Gori, che durò con diversi soci sino al 1472 con un corpo di 6000 fiorini e profitti pari al 20 per cento almeno inizialmente; la produzione (broccati, velluti in raso ecc.) era per lo più indirizzata alla corte papale. Secondo i saldi del 1459 e del 1460, il numero totale dei dipendenti si aggirava intorno al centinaio. Oltre che a Roma Spinelli vendeva la sua merce su diversi mercati, a Ginevra e Lubecca (nonostante le restrizioni di questa città anseatica). Nell’ottobre del 1458, aprì una bottega di lana nel convento di San Martino con suo nipote Lorenzo di Ranieri Spinelli, che aveva esperienza nel settore commerciale. L’impresa continuò con diversi soci fino alla morte di Tommaso.
Ma la banca restò il fulcro della sua attività e negli anni Cinquanta Spinelli cominciò a fungere da depositario per l’arcivescovo di Firenze Antonino Pierozzi, per il quale riscosse le decime e raccolse finanziamenti per la crociata, stringendo anche rapporti personali con lui, tanto da pagarne parzialmente il funerale (2 maggio 1459) e da farsi poi seppellire con le lettere ricevute dall’arcivescovo fiorentino. Anche durante il pontificato di Callisto III, il banco Spinelli partecipò alla raccolta di denaro per la progettata crociata contro i turchi, prestando al papa 19.000 fiorini (su garanzia delle entrate decimali della Lombardia e Romagna) e ricevendo in pegno persino la mitra papale; ma la crisi finanziaria e fiscale del papato di Callisto mise in difficoltà il banco Spinelli, come Tommaso ricorda in una lettera del 7 ottobre 1457 («so che non posseggo beni temporali ma posso preservare il mio onore», Archivio Spinelli, Vagante IX). Neppure l’elezione di Pio II – che scelse come depositario il concittadino Spannocchi, senese – migliorò le prospettive per lo Spinelli, che allora si ritirò dal banco affidandone la gestione a Leonardo Spinelli e Alessandro Bardi, che avevano lavorato prima con i Medici. Restarono comunque fedeli al banco Spinelli importanti ecclesiastici, come i cardinali francesi e spagnoli (Estouteville, de Coëtivy, de Torquemada, cardinale di San Sisto) e il banco mantenne anche una rete internazionale, in Francia e Germania settentrionale.
Ma i tempi d’oro erano già passati. Nel 1469, l’azienda ebbe una serie di crisi complicate dalla morte nel 1468 del suo socio e futuro erede Leonardo Spinelli. Ci furono difficoltà interne nel Regno di Aragona (già dal 1462) e una guerra breve ma distruttiva fra Firenze e Venezia nel 1467. Il bilancio del 1469 mostrava numerosi debitori con la parola «perduto», scritta nei margini. Tommaso si ammalò e fu costretto a scegliere come erede il nipote Guasparre, figlio del fratello Nicodemo, che aveva poca esperienza di attività mercantile. Tommaso formò la sua ultima società con Jacopo di Scolaio Spini e Simone di Mariano di Vanni Filipepi, il fratello di Sandro Botticelli. Gli statuti della società mostrano come il banco romano aveva una base totale di 4000 fiorini: Tommaso ne investì 2000 e lo Spini l’altra metà. L’accordo doveva durare tre anni e portare il sigillo di Tommaso con il nome di Spinelli.
La carriera bancaria di Spinelli sottolinea l’importanza dei legami familiari negli affari commerciali. Nel periodo in cui Tommaso operò come banchiere indipendente, praticamente tutti i principali collaboratori provenivano dalla sua famiglia, dalla linea patrilineare e anche da quella matrilineare. I nipoti Leonardo Doffi, figlio della sorella Isabella, e Luigi Belforte, figlio della sorella Fiammetta, condussero importanti transazioni. Tommaso impiegò suo cognato Giovanni di Luigi di Ranieri Peruzzi per recuperare crediti in Spagna, suo fratello Rubaconte lo aiutò con una negoziazione importante quando era depositario, fece affari con l’azienda bancaria dei fratelli Cipriano e Bonsignore a Mantova e mantenne un rapporto molto stretto con il fratello Niccodemo, che gestiva una bottega di speziale a Venezia.
La carriera di Tommaso è testimonianza anche del successo che si poteva conseguire fuori dal ceto dirigente fiorentino: lui, infatti, aveva poco a che fare con la politica. Fu eletto al priorato solo nel 1460, quando aveva sessant’anni. Durante la maggior parte della sua carriera, rimase ai margini della vita politica, cominciando la sua carriera con gli Alberti, quando erano esiliati, e con i Borromei tornati da poco al Comune, ma che non erano politicamente attivi.
La carriera di Spinelli prova, inoltre, che non erano necessari stretti legami con il ceto dirigente di Firenze per l’attività di un mercante internazionale. Questi doveva stabilire le giuste alleanze all’interno del mercato in cui intendeva operare. Infine, Tommaso fu sempre un uomo di grande pietà: nonostante le sue difficoltà finanziarie del 1457, donò la sua villa a Monte Mario fuori Roma ai frati agostiniani e per tutta la vita mostrò grande generosità verso i poveri.
Tommaso morì nel gennaio del 1472. Il suo corpo fu seppellito nella cappella della famiglia (ora cappella Sloane) in Santa Croce a sinistra dell’altare maggiore, come aveva chiesto nel suo testamento. Suo nipote Guasparre di Nicodemo (1442-1501), cresciuto a Venezia, ereditò il palazzo di Firenze e assunse il controllo della banca e degli affari mercantili dello zio.
Il testamento di Tommaso lasciò le sue tre figlie scontente. Le figlie e Guasparre acconsentirono all’arbitrato di Lorenzo il Magnifico, che cominciò la sua disanima il 21 novembre 1472. Il 15 febbraio 1473 si arrivò a una decisione: Guasparre divenne l’erede ufficiale, e alle figlie fu concesso un solo pagamento di 600 fiorini ciascuna, più altri 500 dal Monte delle doti. Intervenne ancora il Magnifico nel matrimonio della figlia minore di Tommaso, Lisabetta, con Paolantonio di Tommaso Soderini. Soderini invocava il consiglio dei Medici per rappresentare i suoi interessi e poco dopo la morte di Lisabetta Spinelli nel 1477 chiese a Lorenzo di prendere in considerazione la scelta di una seconda moglie.
Sotto Guasparre di Niccodemo crollò la fortuna della famiglia Spinelli: egli fu incapace di mantenere le ricchezze che lo zio aveva accumulato. Il suo secondogenito Leonardo divenne arcidiacono di Firenze e infine ciambellano presso la Curia di Giulio II. I fratelli di Guasparre furono ridotti a una esistenza misera, con l’eccezione di Benedetto di Guasparre (1483-1547) che trattava affari nel campo della seta.
Negli anni del Principato, nel 1530, membri della famiglia furono eletti a diverse cariche pubbliche. Ma Cosimo I incriminò Niccolò di Antonio Spinelli con l’accusa di tradimento e confiscò il palazzo della famiglia in borgo Santa Croce. In seguito il duca concesse la casa degli Spinelli all’artista di corte Giorgio Vasari e successivamente gli ordinò di sopprimere la cappella Spinelli in Santa Croce, come parte di una ristrutturazione sistematica del transetto.
La fonte più ricca di informazione sulla famiglia è l’Archivio Spinelli, conservato negli Stati Uniti presso la Beinecke Rare Book and Manuscript Library della Yale University. Acquistato in Svizzera nel 1988, l’archivio contiene documenti finanziari e legali, tra cui bilanci, inventari, lettere, ricevute, lettere di cambio, testamenti e ricordi relativi alle attività mercantili di Tommaso Spinelli e dei suoi discendenti fino al Seicento. L’archivio contiene anche i documenti della famiglia Vasari, donati agli Spinelli nel 1687, dopo la morte dell’ultimo erede, Francesco Maria Vasari, frate domenicano di Santa Maria Novella.
Fonti e Bibl.: New Haven, Yale University, Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Archivio Spinelli, Miscellaneous Material, GEN MSS 109.
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