Socrate
Il filosofo dell’arte del dialogo
Socrate è uno dei personaggi più affascinanti della storia della filosofia. Il suo insegnamento, fondato sulla ricerca della verità attraverso il dialogo, ha avuto un’immensa eco nella cultura occidentale, anche se egli non lasciò nulla di scritto e affermò di non possedere alcun sapere. Le ragioni di questo successo – oltre che nelle splendide pagine dedicategli da Platone, il suo più grande allievo – stanno nella straordinaria fermezza con cui Socrate affrontò l’ingiusta condanna a morte inflittagli dagli Ateniesi
La biografia. Della vita di Socrate abbiamo poche notizie e le dobbiamo al commediografo Aristofane, allo storico Senofonte, a Platone e ad Aristotele.
Sappiamo che nacque nel 470 o 469 a.C. ad Atene, da cui si allontanò solo per combattere nell’esercito ateniese. Il resto della sua vita lo passò nelle vie, nelle botteghe e nelle piazze di Atene, interrogando i suoi concittadini sulle «cose umane», cioè sul bene e sul male, sul giusto e sull’ingiusto, sulla virtù e sulla politica. A un amico che lo rimproverava di non mettere mai piede fuori delle mura di Atene, Socrate rispose che la sua passione era imparare: e mentre la campagna e gli alberi non erano disposti a insegnargli alcunché, dai suoi concittadini apprendeva molte cose.
Sappiamo anche che i suoi contemporanei lo trovavano strano e inquietante: di corporatura piccola e tozza, con un viso particolare e un naso camuso, egli contraddiceva in pieno i canoni della grecità, perché la profondità del suo spirito non si accompagnava alla bellezza del corpo.
Sappiamo infine – e si tratta probabilmente della notizia più importante – che nel 399 il regime democratico lo processò con l’accusa di non credere negli dei tradizionali e di corrompere i giovani. Socrate si difese con vigore e affermò di aver contribuito a rendere la città più virtuosa, ma fu condannato a morte. Sebbene ne avesse la possibilità, non volle sottrarsi alla condanna per non violare le leggi della città: così, dopo aver rincuorato i suoi discepoli, bevve serenamente la cicuta – il veleno che si usava in quelle circostanze – e morì.
Un processo politico. Quello a Socrate fu un processo politico, dovuto probabilmente al fatto che della sua cerchia facevano parte illustri esponenti della corrente aristocratica. In realtà, Socrate si era sempre tenuto lontano dalla politica attiva: era una di quelle cose che il suo dèmone interiore, una voce divina di cui parlava spesso, gli aveva vietato. Sempre a un intervento divino egli attribuiva il suo modo di vivere: è un dio – disse al processo – ad avermi ordinato di «vivere filosofando e cercando di conoscere me stesso e gli altri».
Come i sofisti (sofistica), Socrate spostò l’attenzione della filosofia dalla ricerca sui principi ultimi del cosmo all’indagine sul mondo umano. Diversamente da loro, però, non si servì del dialogo per insegnare una tecnica retorica – il cui scopo era prevalere nella discussione – ma per raggiungere insieme all’interlocutore la verità.
Il primo passo in questa direzione era la consapevolezza della propria ignoranza: il sapiente, affermava Socrate, è colui che «sa di non sapere». Tale consapevolezza veniva raggiunta nella prima fase del dialogo, attraverso l’ironia (in greco «dissimulazione»). Alla domanda che dava avvio alla discussione – che cos’è il coraggio, per esempio – Socrate confessava di non saper rispondere: «Io non so cosa sia», diceva al suo interlocutore, «ma tu sicuramente sì e quindi puoi aiutarmi a scoprirlo». L’altro rispondeva, sicuro delle proprie conoscenze: a quel punto Socrate faceva un’obiezione, l’altro ribatteva, Socrate sollevava un’altra obiezione, e così via, in un ‘batti e ribatti’ che finiva per distruggere le certezze dell’interlocutore.
Allora questi riconosceva di ‘non sapere’: e da quel momento iniziava la vera ricerca, un’avventura a due verso l’ignoto punteggiata di domande, risposte e nuove domande.
Era la parte maieutica («arte dell’ostetricia») del dialogo: «La mia arte» diceva Socrate «è in tutto simile a quella delle ostetriche, ma ne differisce in questo, che essa aiuta a far partorire le anime e non i corpi. E come le ostetriche sono sterili, anch’io non posso generare (la verità, in questo caso), ma ho la capacità di aiutare gli altri a farlo».
Socrate non ci lasciò quindi nessuna dottrina, anche perché era convinto che soltanto il coinvolgimento personale nel dialogo potesse condurre a un sapere veramente autentico. Non si può scoprire la verità leggendo le opere altrui: e per questa ragione egli non lasciò nulla di scritto.