Snow White and the Seven Dwarfs
(USA 1937, Biancaneve e i sette nani, colore, 83m); regia: David Hand; produzione: Walt Disney; soggetto: dalla fiaba di Jacob Ludwig Carl Grimm e Wilhelm Carl Grimm; sceneggiatura: Ted Sears, Otto Englander, Earl Hurd, Dorothy Ann Blank, Richard Creedon, Dick Rickard, Merrill De Maris, Webb Smith; fotografia: Maxwell Morgan; direzione artistica: Charles Philippi, Hugh Hennesy, Terrell Stapp, McLaren Stewart, Harold Miles, Tom Codrick, Gustaf Tenggren, Kenneth Anderson, Kendall O'Connor, Hazel Sewell, John Hubley; musica: Frank Churchill, Paul J. Smith, Leigh Harline, Frank Churchill, Larry Morey.
Un'adolescente in vesti lacere è intenta a lavare il pavimento del giardino di un castello, e nel frattempo canta. La sua voce viene udita da un principe vestito d'azzurro, che si unisce a lei in un duetto vocale e le dichiara il proprio amore in sboccio. La scena fa scattare la gelosia della splendida ma perfida Regina, che interroga lo specchio magico e ne ottiene un responso intollerabile: la figliastra Biancaneve, da lei sempre umiliata e conculcata, è cresciuta fino a diventare una donna e ora la supera in bellezza. Così scatta la vendetta: il Cacciatore condurrà la ragazza nel bosco e l'ucciderà. Ma l'uomo non è senza cuore. Non osa pugnalare l'innocente e così le intima di fuggire il più lontano possibile, e di non tornare mai più. In preda allo sgomento la giovane corre nel fitto della foresta e sviene, poi si rinfranca ed è condotta dagli animali (cui la lega un'istintiva simpatia) fino a una casetta dove tutto è piccolo, forse l'abitazione di sette bambini. Sperando di farsi ospitare la riordina come una brava mammina, poi si assopisce. In realtà la casa appartiene ai Sette Nani, che al loro ritorno dal lavoro, dopo una serie di piccoli contrattempi, si dichiarano felici di ospitare e proteggere la principessa. La Regina nel frattempo ha appreso dallo specchio che il Cacciatore l'ha ingannata, e grazie alle proprie arti magiche si sottopone a una metamorfosi che la trasforma in una vecchia dai capelli bianchi e dal naso adunco. Il giorno dopo, usciti i Nani dalla casetta, si presenta a Biancaneve e la induce ad assaggiare una mela avvelenata. Il ritorno precipitoso dei sette protettori non salva la fanciulla, ma condanna l'assassina: inseguita su per una montagna, viene colpita da un fulmine e muore precipitando nel dirupo. Il pre-finale è patetico: i Nani non osano seppellire tanta bellezza e rinchiudono Biancaneve in una teca di vetro. Passano le stagioni e il Principe Azzurro, che l'aveva cercata in ogni dove, finalmente la trova e si china a baciarla; e questo basta a riportarla alla vita, perché l'incantesimo prevedeva un sonno eterno, che però il primo bacio d'amore poteva dissolvere. Così tutti vissero a lungo felici e contenti.
Come spesso accade nel mondo delle opere creative, quello che oggi più di ogni altro viene considerato un classico dell'animazione fu ai tempi suoi un autentico coraggioso esperimento, o, come preferirono dire gli uomini del cinema hollywoodiano, "la pazzia di Disney". Preso atto che la dimensione del cortometraggio l'avrebbe per sempre confinato nel ruolo di 'complemento di programma', l'ambizioso produttore fin dal 1934 mise in cantiere un'opera della durata ormai canonica di un'ora e mezzo, con un bilancio stimato di 250.000 dollari. Al raggiungimento di un risultato soddisfacente mancava però una competenza artigianale che permettesse agli attori disegnati di esprimere una psicologia in cui gli spettatori potessero identificarsi, e scenografie che li calassero in un ambiente carico di atmosfera. Sotto l'impulso di Walt Disney e grazie all'eccezionale lungimiranza e capacità didattica di un insegnante di disegno da lui arruolato, Don Graham, lo studio fece in brevissimo tempo un salto di qualità in tutti i settori creativi, sicché per raccontare una fiaba basata su personaggi realisticamente umani (Biancaneve), caricaturali (i Nani) e animali fu possibile costruire un universo grafico, pittorico e sonoro che Disney stesso sintetizzò nella formula "impossibile plausibile".
La cosa ebbe un suo prezzo e il budget sestuplicò. Il pubblico rimase però abbagliato dal risultato e gli incassi immediatamente trasformarono l'indebitamento in profitto. La critica fu non meno entusiasta ed elevò Disney al rango di genio (le resipiscenze cominciarono ad avvertirsi una decina d'anni più tardi). Il lungometraggio d'animazione era allora più una bizzarria che una rarità, e l'unico esemplare del genere che avesse meritato un minimo di attenzione era Die Abenteuer des Prinzen Achmed (Il principe Achmed, 1926) della tedesca Lotte Reiniger, un grazioso ma statico ‒ e narrativamente scucito ‒ centone delle Mille e una notte a si-lhouette nere su sfondi colorati. Il film di Disney era invece un vero e proprio musical di professionalità impeccabile, dominato dai personaggi dei Nani, ognuno dotato di una propria mimica corporea e facciale e di una vivida e divertente personalità (nella favola dei Grimm essi sono invece un gruppo indistinto). La narrazione, a parte il finale, si snoda nelle ventiquattr'ore mantenendo la tradizionale unità di tempo e azione, mentre le emozioni sono dosate in maniera da tenere avvinto lo spettatore senza stancarlo, passando dal pathos all'orrore alla tenerezza alla comicità e così di seguito. L'animazione dei personaggi ha momenti da antologia, così come gli effetti speciali e la scelta delle ambientazioni e dei colori, in larga parte esemplati sulle illustrazioni europee di libri per l'infanzia. Al passivo vanno certamente segnate le figure di Biancaneve stessa, la cui recitazione già nel 1937 appariva datata e basata sulla gestualità delle attrici del cinema muto, un eccesso di realismo (che sarà un handicap considerevole nella produzione disneyana successiva) e una buona dose di sdolcinatezza che non ha superato indenne il vaglio del tempo e il mutare delle sensibilità.
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