SKOPAS (Σκόπας, Skopas)
1°. - Scultore greco del IV sec. a. C., nato nell'isola di Paro. Poiché dopo l'88 a. C. un Aristandros figlio di S. restaurò alcune statue (I. G., 287-288), e poiché è anche noto un bronzista di nome Aristandros vissuto prima di S. (Paus., iii, 18, 8), è presumibile che il padre di S. si chiamasse Aristandros. Mentre la cronologia di S. che offre Plinio (Nat. hist., xxxiv, 49) è insostenibile (infatti egli lo cita insieme a Policleto fissandone l'attività intorno al 420 a. C.) il punto di partenza per stabilire le date dell'attività di S. è fornito dalla costruzione del Mausoleo di Alicarnasso iniziata nel 350 a. C., cui S. prese parte. Altro elemento ci è offerto dall'incendio del tempio di Atena Alèa in Tegea, avvenuto nel 395 a. C., ma ancora si discute sulla data della ricostruzione del tempio (e quindi delle sue sculture) poiché alcuni studiosi la ritengono anteriore alla metà del secolo; altri, invece, la posticipano di molti anni. Infine l'esecuzione dell'Atena e dell'Artemide a Tebe dovette essere anteriore al 335 a. C., data in cui la città fu distrutta da Alessandro. Si può ritenere che S., che non poteva essere alle prime armi allorché fu chiamato da Artemisia ad Alicarnasso per il Mausoleo, sia vissuto fra il 375 arca ed il 330 a. C.
Non sembra del tutto impossibile, oggi, tentare un ordinamento cronologico delle opere di S. nonostante l'estrema fragilità delle nostre conoscenze, e senza, con ciò, dare un valore assoluto alle considerazioni stilistiche. L'importanza particolare che ebbe nell'opera di S. il marmo, mentre nella sua carriera rimase eccezionale l'uso del bronzo (Afrodite Pàndemos e Atena di Tebe), induce a credere che la sua attività abbia avuto inizio in Attica. A questo periodo attico potrebbe attribuirsi l'Apollo Palatino, detto anche, in una tarda fonte, di Ramnunte (Not. reg., x), trasportato da Augusto nel tempio di Apollo sul Palatino ed ivi dedicato nel 28 a. C. L'Apollo, in veste di citaredo, indossava un lungo peplo dorico cinto in alto e con ampio apòptygma, aveva la cetra nella sinistra e tendeva con la destra la pàtera. La statua è riprodotta sulle monete imperiali, - tra cui specialmente quelle di Antonino Pio sembrano derivate dall'originale -, sulla base di Augusto a Sorrento - dove è rimasta soltanto una traccia della raffigurazione e dove la statua era rappresentata, fra la Latona di Kephisodotos e l'Artemide di Timotheos (G. E. Rizzo, Base di Augusto, p. 51 ss.), - in un noto "torso" di palazzo Corsini a Firenze, in una statua di Catania, ed in un "torso" di Salviano. In sostanza, da quello che le copie permettono di capire, l'opera sembra che non fosse lontana dalla tradizione post-fidiaca, almeno per il panneggio, e perciò può datarsi tra le prime creazioni di Skopas. A Roma, negli Orti Serviliani, era una statua di Hestia seduta, e, secondo la testimonianza di Plinio (Nat. hist., xxxvi, 25-27), duasque lampteras circa eam, cioè due torce, che ben si addicevano alla dea (se si accetta la congettura dello Stark, Arch. Zeit., 1859, p. 7 ss.). Nessun elemento per la ricostruzione della Hestia può essere offerto da un dodekàtheon ostiense. Nè in migliori condizioni ci troviamo per le Semnai o Erinni che erano nel santuario delle Erinni presso l'Areopago (Paus., i, 28, 6; Clem. Alex., Protrept., 47, 3 e Schol.; Schol. ad Aesch., c. Tim., p. 747; Schol., ad Soph. Oed. Col., 39). Secondo lo scoliaste sofocleo, due delle statue marmoree di Semnai erano di S., mentre la centrale era, per lo scoliaste ad Eschine, di Kalamis. L'esempio di collaborazione fra artisti lontani nel tempo non è, del resto, impossibile, se pensiamo che anche per l'Ecate di Argo c'è qualche cosa di simile; una triade in cui l'opera centrale è di S. e le due laterali bronzee sono dei fratelli Policleto e Naukydes (Paus., ii, 22, 7, 8 - si veda: P. Orlandini, Calamide, Bologna 1950, pp. 42-46). Si sarebbe indotti a collocare tali opere nell'attività giovanile di S., per il loro carattere ancor legato a schemi severi, sia nelle Erinni che nella Hestia. È possibile, poi, che durante la permanenza in Attica egli abbia lavorato anche in Beozia, data la vicinanza delle due regioni; per cui si potrebbe collocare in tale periodo la statua di Atena Prònaia a Tebe (Paus., ix, 10, 2) eretta, insieme a un Hermes fidiaco, davanti all'Ismenion. La identificazione è stata tentata dal Furtwängler, il quale riteneva di poter individuare l'Atena Prònaia nelle repliche di Palazzo Rospigliosi di Roma e degli Uffizi perché in esse è scolpito accanto ai piedi della dea il resto di un Tritone, che si potrebbe riferire al mito beotico di Atena nata sul torrente Triton presso Alalkomenai. Il tipo Rospigliosi, che ha anche altre repliche parziali al Vaticano ed a Glienecke, presenta un'Atena giovanile avvolta nel peplo, con in capo l'elmo, stante sulla gamba sinistra; forse è un'aggiunta del copista la civetta sul blocco roccioso che è al fianco sinistro. Nulla invece si può dire dell'Artemide Eùkleia (Paus., ix, 17, 1) che si trovava nell'agorà di Tebe. Tra le statue eroiche una delle più importanti era l'Eracle di Sicione nel ginnasio della città (Paus., ii, 10, 1), vicino all'agorà. Anche qui il tentativo di attribuzione è del Furtwängler e del Graef che avrebbero identificato l'Eracle in una statua della Collezione Lansdowne di Londra; la scultura è ancora pienamente legata nel ritmo a Policleto; Eracle è rappresentato con la clava appoggiata alla spalla sinistra, e nel volto già rivela qualche caratteristico elemento che sarà della maturità di S., e cioè fronte spaziosa e rotonda ed approfondite arcate orbitali. Il tipo della testa è riprodotto in una famosa erma di Genzano nel British Museum. Si contano circa 36 repliche della statua, interamente o parzialmente conservate. È questa tra le opere più sicure di S. per i caratteri del volto, malgrado i rapporti con Policleto (elenco delle repliche del Preyss, Brunn-Bruckmann, Denkm., nn. 691-692).
Nel 350 a. C. l'artista doveva ormai godere di una certa fama, e la regina Artemisia lo chiamava per la decorazione del Mausoleo (v.). Plinio dice che S. lavorò, con Bryaxis, Timotheos e Leochares, all'esecuzione dei rilievi (Nat. hist., xxxvi, 30-31) e precisamente sul lato orientale, ma avverte che anche al tempo suo si era incerti sulle varie mani alle quali attribuire le sculture; Vitruvio (De archit., vii, 12-13), dopo aver accennato ad un trattato sul Mausoleo di Satyros e Pitheos, architetti del monumento, cita gli artisti mettendo il nome di Prassitele "e, secondo alcuni, anche Timotheos". La partecipazione di Prassitele è però da escludere. L'attribuzione delle lastre del Mausoleo che si trovano al British Museum di Londra è ancora piuttosto controversa; il Brunn dava a S. le lastre 1006, 1016 e 1017, che sembrano oggi piuttosto da attribuirsi al lato meridionale e quindi a Timotheos; il Wolters e il Sieveking, invece, pensavano alle lastre 1013-1015 ed alla 1025, lo Pfuhl vi aggiungeva la 1022. Un recentissimo studio attribuisce a S. proprio la 1015 e crede che nelle lastre 1013-1014 si debba riconoscere un maestro ispirato da S. che le avrebbe eseguite verso il 340 a. C., dopo le sculture di Tegea. Certamente in queste lastre, direttamente o no, S. è presente: la lotta tra un greco ed un'Amazzone, composta a due gruppi chiaramente bipartiti, nelle lastre 1013-1014, presenta, nella torsione dell'Amazzone che ricorda quella della Menade e nel volto del guerriero che, oltre a richiamarsi ad un'altra testa barbata del Mausoleo n. 1054, ricorda l'Eracle Lansdowne, caratteri sicuramente di S., e cioè irruente trattazione del panneggio, torsi virili legati ancora alla tecnica policletea, orbite profonde e sguardo rivolto verso l'alto. Nella lastra 1015 ritornano gli stessi caratteri, ma entro una sintassi compositiva più complicata ed una maggiore spazialità; al centro il guerriero greco imberbe con elmo si difende dall'Amazzone che lo assale mentre un'altra a sinistra, a cavallo, si volge verso la scena precedente. Anche il maestro della lastra 1022, dove sono scolpiti un greco, barbato e a capo scoperto, che afferra una Amazzone per i capelli ed un altro greco assalito da una Amazzone, sembra assai vicino alle lastre più sicuramente scopadee; il Buschor, anzi, sarebbe dell'idea di attribuire a S. anche la lastra 1009, per il modo vibrante con cui è scolpita (si veda specialmente la rappresentazione del cavallo).
Sappiamo che S. soggiornò in Asia Minore. Di questo periodo va ricordato l'Apollo Smyntheus eseguito per la città di Crise (Strab., Geogr., XIII, p. 604; Eustath., ad Hom., Il., i, 39 cfr. Menandr., Rhet., iii, p. 445 dei Rhet. Gr.), chiamato così, sembra, per un topo che giaceva (ὐπόκειται) sotto il suo piede. Su monete di Commodo di Cizico e di Alessandria nella Troade è rappresentato Apollo curvo a sinistra col piede destro su di una base, e con in mano un ramo di alloro; si è pensato di collegare la statua a quest'opera di Skopas. Nè maggiori conoscenze abbiamo del gruppo di Latona coi figli Apollo ed Artemide eseguito per Ortigia (Strab., Geogr., xiv, p. 640), forse riconoscibile nelle monete di Stektorion e di Efeso (J. Overbeck, Griech. Plastik, ii, p. 87, fig. 112 b), ma difficilmente rintracciabile nella statua di Latona coi figli del Museo dei Conservatori (H. S. Jones, Cat. Mus. Cons., p. 227, tav. 85) ed in una Latona del Museo Torlonia (E. Loewy, in Jahrbuch, xlvii, 1932, p. 65, fig. 16). Di lezione non certissima è la testimonianza di Plinio che attribuisce a S. la decorazione di una delle colonne dell'Artemision di Efeso, incendiato nel 356 a. C. L'identificazione dell'opera di S. nell'unica colonna a noi pervenuta (conservata a Londra) non sembra assolutamente certa, per quanto si riscontrino nei volti dei personaggi della scena che vi è rappresentata - Alcesti, Teseo e Thanatos (v.) - il pàthos scopadeo accompagnato da un ritmo policleteo nell'impostazione delle figure (C. Robert, in Ben. Winckelmannsprogramm, 39). Alla Bitinia, o forse alla Troade, apparteneva il gruppo di Posidone, Achille, Teti e del tiaso marino che in età romana si trovava nel Campo Marzio (Plin., Nat. hist., xxxvi, 26) nel tempio di Nettuno. Il rilievo che è a Monaco dell'ara di Cn. Domizio Enobarbo (v.), con le sue scene su tre lati tolte al mondo marino, e cioè il carro con Posidone ed Anfitrite verso il quale convergono Nereidi e Tritoni, è stato da alcuni studiosi messo in relazione col gruppo scopadeo; ma è probabile che si tratti più semplicemente di un'elaborazione classicistica di motivi che possono risalire a S., mentre dobbiamo confessare che sappiamo ben poco del tiaso di S.; nè miglior luce si ha da un tiaso rappresentato su di un mosaico di Olinto anteriore al 348 a. C., (C. M. Robinson, Excav. at Olynthus, v, 1933, p. 109 ss.); invece ha indubbiamente carattere scopadeo il frammento di statua di Tritone di Berlino (K. A. Neugebauer, in Jahrbuch, xvi, 1941, figg. 1 ss.). Nereidi su ippocampo sono raffigurate in un gruppo nel Museo Nazionale di Napoli, proveniente da Formia (v. H. Fuhrmann, in Arch. Anz., lvi, 1941, p. 573 ss., che, però, lo attribuisce a Timotheos). Il problema del tiaso va anche approfondito perché alla base di numerose rappresentazioni di quella scena stanno anche un originale pittorico ed un archetipo pergameno, sicché l'opera di S. è ben difficile da rintracciare (v. G. A. Mansuelli, Ricerche sulla pittura ellenistica, Bologna 1950, p. 67 ss.). Miglior sorte non ha il tentativo d'identificare l'Afrodite ricordata da Plinio (Nat. hist., xxxvi, 27: praeterea Venus in eodem loco nuda, Praxiteliam illam antecedens) in una replica accademica della Afrodite di Capua, ora a Napoli, che si riporterebbe ad un'Afrodite dell'Acrocorinto (O. Broneer, in Univ. Calif. Publ. Class. Arch., i, 2, 1930, p. 65 ss.), mentre nella testa Caetani (W. Amelung, in Brunn-Bruckmann, n. 593) qualcuno voleva scorgere caratteri scopadei che però sembrano piuttosto di derivazione. Nella corrente ellenistica che deriva da S. va forse collocata l'Afrodite di Milo, ora a Parigi. Nessun elemento per ricostruire il Dioniso e l'Atena di S. che erano, col Dioniso di Bryaxis, a Cnido (Plin., Nat. hist., xxxvi, 22).
Al periodo asiatico succede un periodo dichiaratamente peloponnesiaco. S. ebbe l'incarico di dirigere la ricostruzione del tempio di Atena Alèa in Tegea, che era stato incendiato nel 395 a. C.
Pausania (viii, 45, 4) dà una sommaria descrizione delle sculture del tempio, pur citando S. soltanto come architetto di esso; ma l'accenno a S. che "dovunque nell'antica Grecia eseguì statue ed anche nella Ionia e nella Caria" sembra dimostrare che il periegeta attribuiva a S. anche le sculture, il cui stile, del resto, pur nelle gravi mutilazioni, concorda con quello delle opere note attraverso le copie. È assai probabile che il tempio sia stato ricostruito, non subito dopo la guerra corinzia né prima della battaglia di Leuttra del 371, ma in un periodo pacifico per l'Arcadia, fra la battaglia di Mantinea e quella di Cheronea (362; 338 a. C.). Se si aggiunge che i capitelli corinzî che son rimasti richiamano quelli di Delfi (v.), di Figalia (v.), di Epidauro (v.) e del Philippèion di Olimpia (v.), si dovrà attribuire l'opera alla seconda metà del IV sec. a. C.; tanto più che esiste un rilievo rappresentante Idrieo di Caria con la moglie Ada e Zeus Stràtios nel centro, rinvenuto a Tegea, datato proprio fra il 355 ed il 340 a. C. che attesta i rapporti fra la Caria e Tegea e che può attribuirsi a qualche artigiano asiatico che accompagnò S. in Arcadia (G. Lippold, in Festschr. P. Arndt, p. 120). Sul frontone orientale era rappresentata la caccia al cinghiale calidonio; l'animale era rappresentato forse al centro mentre a destra erano Atalanta ed altri cacciatori fra i quali Castore, ed a sinistra Meleagro, Teseo, Polluce ed altri. La ricostruzione è tutt'altro che semplice, ed è stata oggetto di numerose discussioni dal tempo dello Urlichs a oggi, soprattutto per la varia interpretazione del riferimento di Pausania al cinghiale: κατὰ μέσον μάλιστα. Gli scarsi resti delle sculture, frammenti miseri di corpi, una figura femminile frammentaria, torsi virili, rendono disperate le ricostruzioni; ma caratteristiche di S. sono le teste quadrate, gli occhi infossati e rivolti verso l'alto, la bocca semiaperta, i movimenti esasperati che sono riconoscibili pur nei frammenti. Occorre ricordare che le sculture erano destinate ad essere vedute da lontano; questo spiega la sommaria e quasi "impressionistica" trattazione delle chiome. Forse ad un acroterio apparteneva il torso della cosiddetta Atalanta che si deve supporre una Nike - mentre una testa femminile assai fine che si deve forse identificare come Igea non apparteneva ai frontoni. Nel frontone occidentale era rappresentata la lotta di Achille e Telefo nella piana del Caico; ancora più scarsi i resti, una testa di Eracle e due teste di guerrieri con elmo, oltre a frammenti insignificanti. Tuttavia, sono questi soli originali che possediamo di S., con le incerte lastre di Alicarnasso, e quindi hanno per noi estremo valore. È discussa ancora l'attribuzione, dovuta a L. Curtius, della testa dell'Igea Hope al gruppo di Asklepios ed Igea di Tegea (Paus., viii, 47, 1). L'Asklepios sarebbe stato identificato dal Wolters in un torso virile del Pireo (B. Ashmole, in Pap. Br. Sch. Rome, x, 1927, p. 1 ss.; P.Wolters, in Ath. Mitt., xvii, 1892, p. 10 ss.). Il gruppo di Asklepios e di Igea di Cortina in Arcadia è identificato da alcuni studiosi in un gruppo di Copenaghen in cui Asklepios è rappresentato seduto ed Igea stante (Paus., viii, 28, 1). A questo periodo, e non alla gioventù di s., si può attribuire l'Afrodite Pàndemos di Elide (Paus., vi, 25, 1) rappresentata su di un capro bronzeo; rappresentazione che risale ad un archetipo anteriore a S., di cui l'artista poté forse aver l'ispirazione dall'Oriente. Le monete di Elide di età severiana e varie statuette bronzee e coperchi di specchi, attestano la diffusione del tipo (M. Collignon, in Mon. Piot, i, 1894, p. 143 ss.; A. De Ridder, ibid., iv, 1897, p. 85 ss.). Crediamo che possa attribuirsi a questa fase peloponnesiaca anche la celebre Menade di S. (Anth. Gr., i, 74-75; iii, 57, 3; Callistr., Imag., ii) identificata dal Treu (G. Treu, in Mél. Perrot, 1903, p. 317 ss.) in una statuetta di Dresda proveniente da Marino, per l'affinità con l'Amazzone della lastra n. 1014 del Mausoleo; la costruzione quadrangolare del volto l'avvicina molto a certe teste di Tegea ed al Meleagro. Qualche studioso ha ricordato la testimonianza di Pausania che menziona statue di Menadi a Sicione presso la statua crisoelefantina di Dioniso (ii, 7, 5; A. Furtwängler, Meisterw., p. 650); ma le piccolissime rappresentazioni monetali severiane di Sicione non consentono un giudizio sicuro. A Megara era nel tempio di Afrodite il gruppo delle statue di Eros, Himeros e Pothos (Paus., i, 43, 6); già una rappresentazione di Pothos ad opera di S., con Afrodite, era nel santuario di Samotracia (Plin., Nat. hist., xxxvi, 25). L'identificazione, proposta dal Furtwängler, attraverso lo studio di una rappresentazione su gemma, di una replica fiorentina, è ancora oggi la base della conoscenza della statua di Pothos, genio alato appoggiato ad un torso che faceva gruppo con gli altri due geni, Himeros ed Eros. È probabile che il Pothos, giunto a noi in ventotto repliche, sia piuttosto quello di Megara, nel quale il ritmo incrociato risente molto delle creazioni prassiteliche, e specialmente del Sauroctònos (H. Bulle, in Jahrbuch, lvi, 1941, p. 121 ss.; G. Becatti, in Le Arti, vi, 1941, p. 403 ss.). Non tutti gli studiosi sono d'accordo nell'attribuire a S. due importanti opere: il Meleagro e l'Ares. Del primo non si ha nessuna testimonianza letteraria; il numero notevole di repliche dimostra che si trattava di un'opera assai celebrata, mentre l'agile ritmo dell'atleta, che sfiora il suolo col piede, lo scatto del suo capo, fanno ritenere possibile un'influenza lisippea su Skopas. Tuttavia, il confronto con le teste di Tegea e con la Menade non sembra che permetta di negare a S. questa statua, che conserva nel volto quella trattazione viva ed appassionata che conosciamo a Tegea (torso del Museo Fogg di Cambridge, U.S.A., cfr. G. H. Chase, Greek and Rom. Sculpt. in Amer. Coll., Cambridge [Mass.] 1934, p. 87 ss.). Nonostante certe affinità tra i volti del Meleagro e dell'Ares, sembra che invece a S. non si possa attribuire la replica di un Ares seduto nota soprattutto negli esemplari di Roma e di Monaco, che risulta opera eclettica, in cui l'influenza di S. si fonde con quella di Lisippo (Helbig-Amelung, Führer3, n. 1297). Eclettiche pure sono le repliche di un Hermes seduto, a Berlino, a Copenaghen, e nella Collezione Loeb, a Parigi, nel Museo Jacquemart-André e a Mérida, nelle quali qualcuno scorgerebbe un'opera scopadea (Fr. Poulsen, in From the Ny Carlsb. Glypt., iii, 1942, p. 163 ss.). Nulla sappiamo dell'Ecate di Argo (Paus., ii, 22, 7). L'incertezza che regnava nell'antichità sul gruppo di Niobe e dei figli (Plin., Nat. hist., xxxvi, 28), se ne fosse autore S. o Prassitele, continua ancor oggi; le statue dedicate forse da Seleuco I agli inizî del III sec. a. C. furono portate a Roma nel tempio di Apollo Sosiano. Anche in quest'opera è forse da vedere un insieme di tipi eclettici che risalgono ai modi stilistici della testa di statua rinvenuta sulla pendice meridionale dell'Acropoli, che è una derivazione scopadea, e ad alcuni tipi del IV sec., specialmente di Timotheos e di Skopas. Fra le più alte derivazioni da S. si ricordi la bella stele sepolcrale dell'Ilisso col giovane e il vecchio (Brunn-Bruckmann, n. 469).
Artista che sta tra Policleto e Lisippo, S. resta tra i più personali del IV sec. a. C. e influirà notevolmente sull'arte ellenistica; specialmente sulla scultura pergamena e asiana e indirettamente sull'ellenismo italico.
Bibl.: L. Ulrichs, Skopas Leben u. Werke, Greifswald 1863; H. Brunn, Geschichte der Griech. Künstler, I, Stoccarda 1889, p. 318 ss.; A. Furtwängler, Meisterw. d. gr. Plastik, Lipsia-Berlino 1893, pp. 513 s.; 628 ss.; W. Klein, Gesch. d. gr. Künst, II, Lipsia 1905, p. 269 ss.; A. K. Neugebauer, Studien über Skopas, Lipsia 1913; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, III A, 1927, c. 569-578, s. v., n. i; G. M. A. Richter, Sculpture and Sculptors of the Greeks, New Haven 1930, p. 267 ss.; M. Bieber, in Thieme-Becker, XXXI, 1937, p. 115 ss.; L. Curtius, Kunst klass. Griechenland, Potsdam 1938, p. 381 ss.; Ch. Picard, Manuel, III, i, Parigi 1948, p. 633 s.; E. Buschor, Mausollos u. Alexander, Monaco 1950; G. Lippold, Griech. Plastik, in Handb. der Archäologie, III, i, Monaco 1950, pp. 249-254; P. E. Arias, Skopas, Roma 1950; K. Kerényi, Das Wer des Skopas für Samotrake, in Symb. Osl., XXXI, 1955, p. 161 ss.