SISTEMA MONETARIO INTERNAZIONALE
. Il s. m. i. creato trent'anni fa a Bretton Woods era basato su cambi fissi, modificabili solo occasionalmente col consenso di un nuovo istituto, il Fondo monetario internazionale (v.). Il valore di ciascuna valuta era definito in termini di oro, che fungeva da numerario, o unità di conto, del sistema. Ogni paese s'impegnava a contenere le oscillazioni della propria valuta entro margini dell'1% attorno alla propria parità (il rapporto con l'oro), per lo più intervenendo in dollari sui mercati dei cambi. Dal canto loro, gli Stati Uniti si dichiaravano pronti a convertire saldi in dollari contro oro, assumendo un atteggiamento generalmente passivo sui mercati valutari. Il necessario incremento di liquidità internazionale doveva essere fornito dall'oro di nuova produzione; inoltre, il F. m. i. poteva concedere prestiti a paesi in difficoltà nei conti con l'estero.
Il sistema di Bretton Woods soffriva di gravi difetti strutturali che si manifestarono appieno solo dopo il 1958, data in cui esso cominciò a operare pienamente a seguito delle dichiarazioni di convertibilità delle principali valute e dello smantellamento delle restrizioni valutarie. Il sistema presentava, innanzitutto, una grave asimmetria tra i paesi in surplus e quelli in disavanzo. Pressocché tutti i paesi sono restii a modificare il tasso di cambio, dato che in economie aperte (cioè nei paesi, quali quelli industriali, in cui il commercio con l'estero rappresenta un'ampia quota del prodotto nazionale lordo) ne derivano ampi spostamenti di reddito tra i vari settori economici. Un paese in disavanzo incontra tuttavia limiti oggettivi nel volume delle proprie riserve e nella sua capacità d'indebitamento, esaurite le quali deve giocoforza applicare misure volte a correggere il disavanzo stesso; invece, un paese in avanzo subisce pressioni assai minori, in quanto gli effetti interni dell'incremento delle riserve possono essere compensati per lunghi periodi di tempo. Il F. m. i. ebbe il potere di chiedere l'applicazione di corrette politiche della domanda e dei cambi soltanto ai paesi costretti a ricorrere ai suoi finanziamenti; non ebbe invece alcun potere nei confronti degli altri paesi, fossero essi in avanzo o disavanzo, per indurli a perseguire politiche più appropriate dal punto di vista internazionale venienti da detta zona, a testimonianza della sua stratificazione. Si nale. Normalmente, quindi, esso avrebbe svolto un ruolo passivo, dovendosi per lo più limitare a registrare quanto deciso nelle varie capitali. Ne conseguì un importante difetto: l'onere dell'aggiustamento nei conti con l'estero ricadeva su un numero limitato di paesi, non sempre i maggiori responsabili degli squilibri stessi.
Un secondo difetto, strettamente collegato col primo, era nel fatto che la ritrosia a procedere ai necessari mutamenti di parità comportava aggiustamenti ritardati. Ciò comportava inevitabilmente grosse variazioni delle parità, il che incoraggiava ampi flussi speculativi. La crescente integrazione economica e finanziaria delle economie occidentali, favorita dal rapido diffondersi delle società multinazionali e dal rigoglioso sviluppo degli euromercati, faceva sì che la mobilità dei capitali, sia per motivi speculativi che di arbitraggio, fosse tale da provocare frequenti crisi monetarie, per combattere le quali, invero senza molto successo, numerosi paesi introdussero restrizioni amministrative sui movimenti dei capitali.
Una terza imperfezione consisteva nel non aver predisposto un metodo adeguato per la creazione di liquidità internazionale. In teoria si sarebbe potuto aumentare periodicamente il prezzo dell'oro, ma ciò non si fece mai, specie per l'opposizione degli Stati Uniti, che non erano indifferenti ai benefici derivanti dal crescente uso del dollaro quale principale strumento di riserva. Le autorità monetarie soddisfacevano quindi il loro fabbisogno di liquidità internazionale accumulando ingenti disponibilità di dollari, tramutando il gold standard di Bretton Woods (cioè, un sistema imperniato sull'oro) in un gold-exchange standard, basato su oro e dollari. Questo ruolo del dollaro era però destinato a divenire insostenibile. Come R. Triffin mise in luce sin dal 1958, il meccanismo di accumulazione dei dollari aumentava solo le riserve lorde del sistema; una volta che il rapporto tra le passività in dollari degli Stati Uniti e le loro riserve auree avesse superato certi livelli, si sarebbe incrinata la fiducia nella convertibilità del dollaro e nella sua parità (che in base allo statuto del F. determinava anche il prezzo ufficiale dell'oro). Triffin previde giustamente che ne sarebbero seguite massicce conversioni che avrebbero ulteriormente ridotto la fiducia nel dollaro: si era, cioè, in presenza di un circolo vizioso che avrebbe portato a una profonda crisi il sistema di Bretton Woods.
Il risultato fu che il sistema fu sottoposto a ricorrenti e sempre più gravi crisi, che ne richiedevano una profonda ristrutturazione. Come sovente accade in questi e altri campi in cui questioni tecniche sono strettamente connesse a quelle politiche, si preferì non riesaminare le fondamenta del sistema, ma fronteggiare le crescenti difficoltà con continue modifiche ad hoc dell'assetto istituzionale.
S'iniziò nel 1961 con la costituzione di un consorzio delle principali Banche centrali, il cosiddetto Gold Pool, per mantenere il prezzo dell'oro sul mercato di Londra prossimo a quello ufficiale di 35 dollari l'oncia, al fine di contenere la speculazione in oro. Esso rimase in vita fino al marzo 1968, quando, di fronte alle ingenti perdite (circa 3 miliardi di dollari) registrate dal Pool, venne istituito, col cosiddetto Washington Agreement, il doppio "mercato" dell'oro: in quello libero sarebbero cessati gl'interventi da parte delle Banche centrali, che avrebbero scambiato oro soltanto tra di loro, al prezzo ufficiale. Poiché in seguito il prezzo sul mercato superò di gran lunga quello ufficiale, non si ebbero in pratica transazioni tra Banche centrali; l'oro monetario restò quindi di fatto congelato, perdendo l'antico ruolo di principale strumento di riserva internazionale. Nel 1962 si ebbero gli Accordi generali di prestito i cui partecipanti, che avrebbero in seguito costituito il Gruppo dei Dieci (i principali paesi industriali), mettevano a disposizione del F. l'equivalente di 6 miliardi di dollari nelle proprie valute per sopperire alla sua eventuale mancanza di adeguate risorse per finanziare disavanzi dei paesi del Gruppo stesso. Sempre nel 1962 si creò una serie di linee bilaterali di credito, i cosiddetti swaps, incentrati sulla Riserva federale, che dagl'iniziali 700 milioni di dollari è giunta ora sui 15 miliardi, onde far fronte a improvvise emorragie valutarie.
Il principale frutto della cooperazione monetaria degli anni Sessanta fu certamente la creazione di una moneta internazionale, i Diritti Speciali di Prelievo (DSP). Con la prima, e finora unica, emissione di DSP, 9,5 miliardi per il triennio 1970-72, si apriva la strada a un sistema basato sui DSP e non più sull'oro e sul dollaro.
I DSP sono uno strumento ibrido, nato da un compromesso tra coloro che volevano fossero "moneta" e coloro che volevano fossero uno strumento "creditizio". Essi vengono emessi nel volume concordato da una maggioranza dell'85% dei paesi partecipanti allo schema e le assegnazioni avvengono sulla base delle quote dei singoli paesi del F. m. internazionale. I paesi partecipanti devono accettare dagli altri partecipanti, in cambio di valute di riserva, almeno il doppio degl'importi cumulativi emessi a loro favore dal F.; questo plafond è stato introdotto per evitare che i paesi in surplus fossero costretti ad accettare ingenti importi di DSP dei paesi deficitari. I DSP possono inoltre essere usati soltanto per finanziare disavanzi nei conti con l'estero. Una terza limitazione dello schema è che ogni paese partecipante deve mantenere, nel corso di ogni quinquennio, un saldo medio giornaliero di DSP pari almeno al 30% del totale assegnatogli dal Fondo. Il saggio d'interesse, che era pari inizialmente soltanto all'1,5% e dal giugno 1974 si aggira sul 5%, si applica alla differenza tra i DSP ottenuti dal F. e quelli utilizzati (o ricevuti da altri paesi).
Ma la principale limitazione dello schema era indubbiamente il legame statutario tra oro e DSP (DSP 35 = 1 oncia di oro) e il fatto che il valore del DSP nelle transazioni - cioè il suo valore in termini delle singole valute - era collegato al dollaro con un meccanismo valido soltanto in un regime di parità. La necessità di abolire il prezzo ufficiale dell'oro e l'avvento dei cambi flessibili dovevano, come si vedrà in seguito, rendere indispensabile recidere il legame oro-DSP e valutare il DSP nelle transazioni col metodo del "paniere" delle principali valute.
Le modifiche ora illustrate si rivelarono però insufficienti a compensare il maggior difetto del sistema di Bretton Woods: l'eccessiva rigidità dei cambi e il cumularsi di profondi squilibri. I primi stanziamenti di DSP avvennero pressoché in concomitanza col rapido aggravarsi del disavanzo della bilancia dei pagamenti americana. Il 15 agosto 1971, dopo una fuga di capitali superiore ai 10 miliardi di dollari nel giro di pochissime settimane, gli Stati Uniti dichiararono formalmente inconvertibile il dollaro (che lo era già di fatto da qualche anno) e adottarono varie misure tendenti a un sostanziale riallineamento dei rapporti di cambio con le principali valute.
Dopo tre mesi di fluttuazione dei cambi delle principali valute si giunse il 18 dicembre all'auspicato riallineamento. La svalutazione effettiva del dollaro, cioè ponderata in base alla ripartizione del commercio estero americano, si aggirava sul 9%. Venne ripristinato il regime delle parità, ma i margini entro cui potevano fluttuare i campi erano ampliati al 2,25%, contro il precedente 1%.
Le misure americane rendevano evidente la necessità di un'incisiva revisione dello statuto del Fondo. A tal fine s'incaricò il Consiglio di amministrazione del F. di predisporre per l'Assemblea annuale del settembre 1972 un rapporto preliminare sulle principali modifiche da apportare al sistema monetario internazionale. Nel settembre 1972 venne creato un nuovo comitato, sia a livello di ministri che di alti funzionari, modellato sullo schema di rappresentanza del Consiglio di amministrazione del F.: il Comitato dei Venti per la riforma del sistema monetario internazionale, avente un mandato biennale. Il compito affidatogli era di concordare gli elementi fondamentali del nuovo assetto istituzionale, alcuni dei quali avrebbero dovuto essere introdotti nel breve termine e altri, come si era verificato con gli accordi di Bretton Woods, solo in un secondo momento.
Il Comitato dei Venti (C-20) aveva da poco iniziato le sue trattative che due successive ondate speculative travolsero nel febbraiomarzo 1973 il regime dei cambi fissi costringendo pressocché tutti i paesi a lasciar fluttuare la propria valuta nei confronti delle altre. Nella Cee si cercarono di mantenere cambi fissi nell'ambito del cosiddetto "serpente", che però fluttuava nei confronti delle valute terze; però il Regno Unito e l'Irlanda avevano abbandonato tale meccanismo nel luglio 1972 e l'Italia ai primi del febbraio 1973 (la Francia uscì dal serpente nel gennaio 1974, rientrandovi nel luglio 1975).
Il fortissimo rialzo del prezzo del petrolio, che tra l'autunno 1973 e la fine del 1974 è stato quintuplicato, raggiungendo 10.46 dollari al barile, mutò completamente le condizioni economico-finanziarie sulle quali si erano basati i progetti per ristrutturare il sistema monetario internazionale. Innanzitutto, la differente incidenza del nuovo prezzo sui vari paesi (che avevano un diverso grado di dipendenza estera per il loro fabbisogno energetico) faceva prevedere un periodo non breve di perturbamenti nei mercati valutari. Da una parte, infatti, l'onere dell'aggiustamento avrebbe avuto una diversa incidenza sui singoli paesi e, dall'altra, gl'investimenti dei membri dell'OPEC non sarebbero stati corrispondenti al fabbisogno di finanziamento dei paesi consumatori di petrolio. Era quindi impensabile il ritorno a un regime di parità fisse ed era indispensabile concordare delle direttive, per quanto generali, per gl'interventi sui mercati dei cambi. In secondo luogo, la scarsa propensione che gli Americani avevano a ripristinare la convertibilità del dollaro svanì del tutto di fronte a un aumento annuo del costo delle loro importazioni di petrolio di quasi 20 miliardi di dollari. Ma anche gli altri paesi non vi erano più particolarmente interessati, in quanto prevedevano diversi anni di insufficienti disponibilità di dollari, la valuta preferita dal cartello dell'OPEC. Un ulteriore effetto del rialzo del prezzo del petrolio fu l'acuirsi delle divergenze sull'oro, in quanto i maggiori detentori del metallo volevano poterlo utilizzare per finanziare gl'immani deficit che si prospettavano nei loro conti con l'estero.
Alla riunione del gennaio 1974 il Comitato dei Venti limitò le trattative a quei pochi punti dove ci fossero concrete possibilità di accordi. Dopo mesi di trattative si giunse a varie conclusioni:
1) Venne approvata la creazione per un biennio della Oil Facility che nel corso del 1974 ha raccolto 3,8 miliardi di dollari (di cui 300 milioni dal Canada e 150 milioni dall'Olanda), circa il 5% dell'avanzo petrolifero dei membri dell'OPEC. Le operazioni sono tutte denominate in DSP e l'interesse attivo annuo è in media del 7% ed è pari a quello passivo. Il rimborso dei prestiti avviene in 16 rate trimestrali uguali dopo un periodo di grazia triennale.
2) Venne accettato il metodo di valutazione dei DSP del paniere standard, in cui le quantità di ciascuna valuta nel paniere (determinate essenzialmente in base al loro peso nel commercio internazionale) restano fisse per un periodo di tempo piuttosto lungo. Al variare dei corsi delle singole valute prescelte, nella fattispecie le 16 valute dei paesi che rappresentano almeno l'i % del commercio mondiale, varia giornalmente il valore del DSP. Questo metodo tende quindi a stabilizzare nel tempo il valore del DSP nei confronti delle principali valute.
Non ha però importanza solo l'andamento nel tempo del valore capitale del DSP ma anche il suo tasso d'interesse; la risultante di entrambi questi fattori dà il cosiddetto "rendimento effettivo" dello strumento. Il C-20 decise di portare il tasso d'interesse dall'1,5% al 5% al fine di farne uno strumento di riserva sufficientemente competitivo; la forte opposizione americana e degli emergenti (che non desideravano dover corrispondere tassi troppo elevati sul loro utilizzo di DSP) fece però sì che non si adottasse un saggio d'interesse di mercato.
3) Vennero adottate delle direttive per la fluttuazione, in base alle quali gl'interventi sui mercati dei cambi dovrebbero essere normalmente volti soltanto a moderare le tendenze del mercato e non si possono effettuare, se non in casi particolari, interventi contro tali tendenze. Inoltre, si concordò che il F. avrebbe esaminato periodicamente le modalità degl'interventi riferendone al Consiglio di amministrazione e al Comitato interinale, di cui al punto successivo.
4) Vennero creati due nuovi Comitati a livello ministeriale. Il Comitato interinale del F. ha il compito di esaminare periodicamente (3-4 volte all'anno) i principali problemi del sistema monetario internazionale al fine di provvedere quanto più prontamente possibile ad apportare i correttivi necessari. Il Comitato per lo sviluppo del F. e della Banca mondiale provvede invece ai problemi dei paesi emergenti, con particolare attenzione per quelli maggiormente colpiti dalla crisi petrolifera.
5) Non si fece nulla o quasi per mobilizzare le riserve auree. Il Gruppo dei Dieci riunitosi il giorno prima della riunione finale del C-20 concordò che le Banche centrali potessero farsi dei prestiti su garanzia aurea, con l'oro valutato sulla base dei prezzi di mercato (in realtà ciò era già consentito dallo statuto del Fondo). Nell'agosto si ebbe poi la prima operazione del genere tra l'Italia e la Germania, per un importo di 2 miliardi di dollari.
I recenti accordi del C-20 hanno spianato la via a un processo evolutivo delle relazioni economiche e monetarie tra i 126 paesi membri del F. m. i. che dipenderà in larga misura dalle soluzioni che verranno adottate per fronteggiare la crisi petrolifera. Una prima conferma di ciò è avvenuta nel corso della prima riunione del Comitato interinale (gennaio 1975), allorché è stata rinnovata ed ampliata la Oil Facility per il 1975 e sono state aumentate le quote del F. del 33,6% per un periodo triennale, invece del tradizionale quinquennio, con l'intesa di raddoppiare la partecipazione dei maggiori paesi petroliferi. Restano però sul tappeto numerosi altri problemi che verranno affrontati nelle periodiche riunioni del Comitato interinale. I più importanti sono quelli relativi alla mobilizzazione dell'oro monetario, all'uso da farsi dell'oro del F. m. i. (che vale 25 miliardi di dollari a prezzi di mercato) e al rafforzamento del ruolo del F. nel processo di aggiustamento, con particolare riguardo alle direttive sugl'interventi nei mercati valutari.
Anche il Comitato per lo sviluppo ha presto dato i suoi primi frutti. Nel giugno 1975 è stata infatti concordata la creazione di un Terzo Sportello nell'ambito della Banca mondiale (il primo è quello normale della Banca e il secondo è l'Agenzia internazionale per lo sviluppo i cui finanziamenti avvengono a tassi d'interesse sussidiati). Questo nuovo Sportello, che ha carattere temporaneo, farà nel primo anno prestiti per un miliardo di dollari ai paesi emergenti maggiormente colpiti dalla crisi petrolifera; il saggio d'interesse sarà di quattro punti percentuali inferiore a quello praticato dalla Banca.
Va segnalato poi che, oltre alla Oil Facility del F. m. i., è stato istituito all'inizio del 1975 un Fondo per il sostegno finanziario nell'OCSE dotato di 25 miliardi di dollari per un periodo di due anni; infine, sono stati approvati i cosiddetti prestiti comunitari in base ai quali la Commissione della Cee potrà raccogliere nel corso dell'anno fino a 3 miliardi di dollari (interessi inclusi) per aiutare i paesi membri in maggiore difficoltà nei conti con l'estero.
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