CURTENSE, SISTEMA
. Nell'economia agraria dell'alto Medioevo si dice "corte" (v.) il fondo dominante, dal quale dipendono altri fondi, coltivati sia da servi, sia da liberi, sia da semiliberi. L'etimologia della parola appare certa da cohors, e dovette in origine significare lo spazio chiuso, cinto da siepe o da muro, che circondava l'edificio; significato che sopravvive nelle voci italiane "corte", "cortile". Ma assai presto la voce fu presa a significare tutto il fondo dominante, come s'è detto; e anche tutto il complesso del fondo dominante coi fondi annessi, costituenti nel loro insieme quella unità economica e quell'entità giuridica, che qui si considera.
Le fonti delle nostre informazioni provengono, in limitata misura, da corti appartenenti a proprietarî privati; in più grande numero, dalle corti regie e dalle corti appartenenti a chiese e a monasteri. Per le prime, e cioè le corti regie, è fondamentale il Capitulare de villis di Carlomagno, di data incerta, ma intorno all'anno 800 (Capitularia, I, p. 82). Per le seconde, e cioè le corti monastiche ed ecclesiastiche, fonte precipua d'informazione sono i polittici di descrizione dei loro patrimonî: segnatamente, in Italia, il polittico di Bobbio e quello di S. Giulia di Brescia. Il Capitulare de villis, primo nominato, contempla in 80 articoli tutto l'ordinamento delle ville, cioè corti del re nel periodo franco; specifica il genere delle loro colture, delle quali infine dà anche l'elenco; disciplina la posizione così dei coloni come dei numerosi artefici che, distribuiti nei ministeria (le donne separate in genitia) provvedevano alla lavorazione delle materie prime prodotte; regola in confronto di tutti l'esercizio della potestà giurisdizionale; dà norme a una quantità di rapporti che potremmo dire complementari, in special modo riguardanti la caccia e la pesca, l'apicoltura e l'allevamento degli animali da cortile, la tenuta delle stalle, delle cucine e delle cantine, la specificazione delle suppellettili che in ogni corte non dovevano mancare. I polittici ci descrivono in forma concreta questa stessa attività delle corti che nel Capitulare è regolata in astratto: i due sopra ricordati di Bobbio e di S. Giulia di Brescia, come i molti altri che si potrebbero addurre, contengono anzi informazioni molto particolareggiate al riguardo. Muovono entrambi dalla partizione fra il dominico e cioè la parte che il proprietario teneva in coltivazione diretta, e il massaricio, e cioè quella che dava ad altri in coltivazione; e per ciascuna di esse specificano il numero delle moggia di grano, delle anfore di vino, dei carri di fieno dovuti al monastero; del pari, ci enumerano la serie dei coltivatori, livellarî, massari, manenti, accomendati, coloni, oltre i numerosi servi; infine ci informano anche dell'attività industriale, che a Bobbio si esercitava nelle officinae del monastero, e così pure a S. Giulia di Brescia, dove le donne lavoravano separate nel genitium, così come vedemmo nel Capitulare de villis.
Le due fonti di informazioni insieme riunite ci descrivono quindi in modo completo l'economia curtense medievale; la quale, come fu autorevolmente detto dal Volpe, è quella di un microcosmo che basta per due terzi a sé stesso, ed ha nel suo seno quella distinzione e ad un tempo coordinazione di lavoro, che or ora si è ricordata. Non si deve tuttavia credere che in Italia questa economia fosse interamente chiusa, come di là dalle Alpi: che cioè la corte producesse soltanto per sé e per l'interno consumo, e nulla per lo scambio e lo smercio dei prodotti. Poiché, al contrario, i frequenti accenni che troviamo fatti ai mercati e alla disciplina dei mercati, entro l'ambito di attività delle corti, ci dimostrano che una parte dei prodotti doveva essere esitata e venduta; né senza queste vendite parziali potremmo comprendere donde i coltivatori avrebbero potuto trarre quei censi in denaro, a cui pure li vediamo tenuti. In linea di principio, però, giova riconoscere che l'economia curtense era quella descritta: cosi la corte era il centro, che a un tempo produceva e trasformava le materie prime prodotte, in modo da renderle idonee al soddisfacimento di ogni bisogno.
Quanto all'ordinamento giuridico, questo era in tutto aderente a quello economico, or ora descritto. E quindi, come la corte era una grande unità economica, così essa era anche una grande unità amministrativa, sotto la direzione di un unico capo, che poteva essere il praepositus del monastero, oppure un iudex, come nel Capitulare de villis; o un gastaldo, un villico, un rector patrimonii, come in altre fonti. Al disotto di questo capo o rettore, vi era la schiera dei funzionarî dipendenti, con varî nomi e in vario numero, a seconda naturalmente della vastità della corte. A Bobbio, ad esempio, incontriamo numerosi custodes, con funzioni dichiarate per ciascuno dal nome (custos chartarum, custos ecclesiae, custos vinearum, custos panis, custos pomorum); e oltre a questi, altri molti, l'hortolanus per la cura degli orti, il cellarius per la sovrintendenza alle cibarie e al refettorio, il camerarius per la direzione di tutti i lavori che si compievano nelle officinae del monastero. Questa unità amministrativa si rafforzava poi grandemente con l'immunità tributaria e con l'immunità giurisdizionale. La corte cioè non doveva tributo ad altri che non fosse il suo signore. Le decime stesse non si pagavano che alle chiese che erano dentro ai suoi confini, come è espressamente detto nel Capitulare de villis (c. 6). E quanto all'immunità giurisdizionale, questa faceva sì che la giustizia direttamente si esercitasse dal preposto alla corte su tutti i dipendenti, con divieto quindi d'ingresso dei giudici pubblici sulle terre immuni (emunitas ab introitu iudicum). Quest'ultimo punto meriterebbe tuttavia più ampî sviluppi, nel senso che un'immunità giurisdizionale così piena non fu riconosciuta da prima che alle corti regie; quelle private non la raggiunsero mai; e quelle ecclesiastiche e monastiche non l'ebbero se non nella seconda metà del sec. IX. Soltanto allora, l'advocatus ecclesiae, che aveva prima rappresentato gli appartenenti alla corte dinnanzi al tribunale comitale, acquistò l'alta giustizia sopra di essi. E soltanto allora, la linea di sviluppo degli ordinamenti curtensi nei riguardi delle corti ecclesiastiche poté dirsi interamente compiuta.
Un ultimo punto da considerare è quello dell'origine di queste corti medievali: se cioè esse siano state nell'alto Medioevo un istituto di derivazione germanica, o siano invece da riguardarsi come la prosecuzione degli antichi latifondi romani. È prevalsa per lungo tempo la prima opinione; ma essa è oggi abbandonata da tutti gli studiosi in Italia, da molti anche fuori d'Italia. La migliore dottrina oggi infatti ritiene che queste corti medievali altro non siano che gli antichi latifondi dell'età imperiale; che, nel loro ordinamento tipico (di un fondo dominante circondato da più fondi dipendenti), esse chiaramente riproducano i vici circa villam di Frontino; che le disposizioni che le regolano siano quelle stesse degli antichi latifondi, quali ci son note attraverso le numerose iscrizioni, a incominciare da quella famosissima di Souk-el-Khemis riguardante i coloni del salto Burunitano.
Quanto alla diffusione dell'ordinamento curtense, sin qui descritto, essa è ancor oggi attestata dalle numerose località che in Italia e fuori d'Italia ripetono il nome da "corte": e sono, ad esempio, Courmayeur in Valle d'Aosta; Cortemilia nell'Albese; Cortereggio nel Canavese; Corticella, Cortazzone, Corteranzo, Cortandone, Cortanze, nell'Alessandrino; Corte Brugnatella presso Bobbio; Corte Palasio e Corte S. Andrea nel Lodigiano; Corte presso Bergamo; Cortenova e Corte Osio nel Comasco; Cortenedolo, Corteno, Corticella Pieve nel Bresciano; Corte de' Frati, Corte de' Cortesi, Cortemadama nel Cremonese; Corteolona nel Pavese; Corticella, presso Bologna; Cortile S. Martino, presso Parma; Correzzola, presso Padova, ecc. Fuori d'Italia, basti ricordare Cortegada, Cortegana, Cortes de la Frontera, in Spagna; Corte do Pinto, in Portogallo; Cortemark, Cortenberg, nel Belgio, ecc.
Bibl.: Per l'Italia, cfr. specialmente A. Solmi, Le associazioni in Italia avanti le origini del Comune, Modena 1898; id., Sulla storia economica d'Italia nell'alto Medioevo, Roma 1905; P. S. Leicht, La curtis e il feudo nell'Italia superiore fino al sec. XIII, Padova 1903; L. M. Hartmann, Zur Wirtschaftsgeschichte Italiens im frühen Mittelalter, Gotha 1904; G. Volpe, Per la storia giuridica ed economica del Medioevo, Pisa 1905; S. Pivano, Sistema curtense, Roma 1909 (estratto dal Bull. dell'Ist. stor. ital., n. 30), dove è anche un'analisi critica della letteratura italiana e straniera sull'argomento. In genere, v. Inama-Sternegg, Deutsche Wirtschaftsgeschichte bis zum Schluss der Karolingerzeit, 2ª ed. 1909; A. Dopsch, Die Wirtschaftsentwicklung d. Karolingerzeit, 2ª ed., voll. 2, Vienna 1921-22; id., Wirtschaftliche u. Soziale Grundlagen d. Europäischen Kulturentwicklung aus der Zeit von Caesar bis auf Karl den Grossen, 2ª ed., Vienna 1923-1924. E per l'età carolingia cfr. notizie e dati in L. Halphen, Études critiques sur l'histoire de Charlemagne, Parigi 1921.