GADDI, Sinibaldo
Nacque a Firenze da Taddeo di Angelo e da Antonia di Bindo Altoviti il 14 apr. 1499.
La famiglia, dedita al commercio e all'attività bancaria, aveva le sue sedi principali a Firenze e a Roma; in quest'ultima città risiedevano i fratelli del G.: Luigi, banchiere e finanziatore della Camera apostolica, Giovanni, decano dei chierici di Camera e Niccolò, cardinale. Il G. invece risiedette alternativamente a Firenze e nello Stato pontificio: a lui era stato affidato dalla famiglia il compito di conseguire gli "onori", cioè di esercitare le cariche pubbliche dello Stato fiorentino, come già il padre Taddeo (per tre volte membro della Signoria), lo zio paterno Francesco e il nonno Angelo (anch'egli per tre volte priore e membro della Balia del 1452).
La famiglia Gaddi eccelleva anche nel campo della cultura e della committenza artistica, tradizione cui pure il G. cercò di contribuire, trasformando la casa di abitazione in piazza Madonna degli Aldobrandini, acquistata dal nonno Angelo nel 1437, in una "domus magna sive palatium", adorna di arredi raffinati e pitture, e incrementando i gioielli di famiglia, menzionati nel suo primo testamento (1549). Analoghi ampliamenti subirono la casa di campagna nel "popolo" di Bresciano, a est di Firenze, e quella di Roma, ristrutturata in forme grandiose su progetto di Jacopo Sansovino.
La carriera politica del G., che nel 1530 era stato raccomandato alla Signoria di Firenze da Clemente VII, amico di famiglia, prese le mosse nel 1532, quando per un semestre ricoprì la carica di vicario di Pieve Santo Stefano; nel 1540 divenne membro del Consiglio dei duecento, il maggiore dei due Consigli che sotto il principato avevano sostituito quelli repubblicani; il 22 febbr. 1545 fu nominato membro a vita del Senato dei quattrocento, il consiglio più ristretto istituito da Cosimo I de' Medici, l'appartenenza al quale costituiva la tappa decisiva nel processo di nobilitazione di una famiglia. Per sei volte, fra il 1547 e il 1557, fece parte con mandato trimestrale del Magistrato supremo, l'organismo che, almeno in teoria, aveva sostituito la Signoria quale vertice istituzionale dello Stato fiorentino.
A più riprese il G. fu degli accoppiatori, cui era demandata la formazione delle liste elettorali per quegli uffici che ancora venivano assegnati con l'estrazione a sorte. Per cinque volte, fra il 1545 e il 1556, fu membro degli Otto di pratica, la magistratura che - investita delle competenze di politica estera in seguito al cambiamento istituzionale del 1532 - si occupava dell'approvvigionamento e della difesa del territorio del dominio fiorentino. Per due volte, nel 1541 e nel 1553, fece parte con durata quadrimestrale degli Otto di guardia e balia, la magistratura che sovrintendeva all'ordine pubblico, mentre dal 13 maggio 1544 fece parte per un semestre dei Buonuomini delle Stinche, con funzioni di sorveglianza delle carceri cittadine. Per un anno, dal 16 nov. 1542, fu nel Magistrato dei Pupilli; per quattro mesi, dal 1° ag. 1543 fu dei Sei di mercanzia, carica ricoperta ancora dal 1° dic. 1546; dal 1° marzo 1547 fu invece dei Cinque provveditori delle fortezze. Per due volte fece parte, con mandato semestrale, degli ufficiali del Monte, la magistratura competente sul debito pubblico, mentre per un triennio, a partire dal 18 nov. 1548, fu provveditore del Monte di pietà. Per un semestre, dal 1° marzo 1548, fu dei maestri di Zecca, mentre per due volte, nel 1548 e nel 1554, fece nuovamente parte dei Dodici buonuomini, l'unico rimasto fra i due Collegi del periodo repubblicano.
Dal 28 febbr. 1555 al 1° sett. 1556 fu operaio di S. Maria Novella, la chiesa fiorentina in cui i Gaddi avevano la cappella di famiglia (non una carica religiosa, ma con compiti amministrativi, quali quelli di provvedere alla manutenzione e al restauro dell'edificio ecclesiastico). Dal 26 giugno 1555 fece parte di un'ambasciata di obbedienza inviata a Roma dal duca Cosimo per congratularsi con papa Paolo IV dell'ascesa al soglio pontificio. Nel 1558 fu uno dei mallevadori nominati dal duca Cosimo a garanzia della dote per la figlia Lucrezia che andava sposa ad Alfonso d'Este.
Negli intervalli tra gli incarichi il G. curava gli interessi di famiglia, affiancando i fratelli e, dopo la morte di Luigi nel 1543, in sostituzione di questo. Grazie ai buoni uffici dei fratelli aveva ottenuto in appalto da Paolo III la Tesoreria delle Marche dal 1535 al 1547, detenuta in precedenza dal fratello Luigi. La concessione valeva per un triennio e poteva essere rinnovata alla scadenza; comportava l'esborso anticipato alla Camera apostolica del gettito previsto per il triennio. In questo ruolo si trovò a collaborare con Benedetto Accolti, che dal 1532 era governatore delle Marche; alla morte di questo, nel 1549, il G. vantava nei suoi confronti un cospicuo credito.
Sempre grazie ai fratelli, ben inseriti nella Curia pontificia, il G. divenne affittuario dei beni di alcuni enti ecclesiastici, tra cui la pieve di San Regolo e Montaione e la chiesa fiorentina di S. Piero Scheraggio.
L'attività del G. accrebbe la già grande ricchezza della famiglia: oltre alla banca e all'appalto delle imposte, fu attivo col fratello Niccolò nel commercio del grano, che veniva dai suoi beni annessi ai numerosissimi benefici ecclesiastici. I guadagni del G. furono in gran parte investiti, su sollecitazione del duca Cosimo, in crediti allo Stato sotto forma di titoli del debito pubblico (i luoghi di Monte); un'altra parte fu spesa in acquisto di gioielli e suppellettili raffinate e in migliorie alle varie residenze familiari, investimenti che avevano lo scopo di rendere visibile l'ascesa economico-sociale della famiglia. Ma il G. non trascurò nemmeno le opere caritatevoli, effettuate nell'ambito della Compagnia della carità dei battilani.
Nel 1549, alcuni anni dopo la morte dei fratelli Giovanni e Luigi, vendette il palazzo di Roma, nei pressi di Castel Sant'Angelo (in via del Banco di S. Spirito). Nel 1530 aveva ceduto alla Signoria di Firenze una tavola d'altare per la cappella del palazzo dei Signori, stimata 150 fiorini d'oro, il cui prezzo gli fu corrisposto con anni di ritardo.
Nel 1552 il G. sollecitò, per il tramite di Cosimo I de' Medici, l'investitura da parte dell'imperatore Carlo V, in quanto re di Spagna, a cavaliere di S. Iacopo (o Iago) della Spada, un ordine cavalleresco militare, per il figlio Niccolò. Oltre a quest'ultimo il G. aveva avuto due figlie dalla moglie Lucrezia Strozzi, e un figlio illegittimo, Cosimo, che avviò alla carriera ecclesiastica.
Nel redigere il testamento, in data 4 e 9 giugno 1558, il G. previde che, in caso di estinzione della sua discendenza maschile, gran parte dei beni andasse al primogenito della figlia maggiore, Maddalena, sposata con Jacopo Pitti, cui impose di prendere il cognome Gaddi. Questa eventualità si verificò nel 1610, dando così origine al ramo Pitti-Gaddi.
Il G. morì a Firenze il 28 giugno 1558 e fu sepolto nella cappella di famiglia in S. Maria Novella.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Raccolta genealogica Sebregondi, 167, ins. 2, c. 8v; Notarile antecosimiano, 221, cc. 154v, 375; 223, cc. 105, 200, 215, 237, 262; 225, cc. 166, 258; 226, cc. 64, 68; Mediceo del principato, 337, c. 210; 372, c. 291; 395, cc. 270, 402; 396, c. 119; 401, c. 525; 463, c. 885; Carte Strozziane, s. 2, 149, c. 121v; s. 1, 38, c. 169; A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I, Firenze 1957, pp. 20, 40.