DE LELLIS, Simone (Simone da Teramo)
Nacque a Teramo probabilmente tra il 1383 e il 1388. Forse da identificare con un anonimo canonico abruzzese ricordato nella Chronica del capitolo teramano tra la fine del secolo XIV e gli inizi del XV (Savini, 1914), egli ebbe certamente almeno i gradi inferiori del chiericato poiché in una lettera di Martino V del 1423 è chiamato "canonico aprutino" (ibid.); dottore in utroque e avvocato concistoriale, presente ai concili di Pisa, di Costanza e Basilea, inviato per lungo tempo in Inghilterra con incarichi, è menzionato, tra gli altri, da Poggio Bracciolini che scrivendo a N. Niccoli il 19 luglio 1421 lo dice "vir doctissimus et mei amantissimus".
In alcune lettere scritte a Bartolomeo da Monte sono le prime notizie autobiografiche, relative agli anni 1415-1416 (A. Mercati): vi è descritta la passione provata nei suoi confronti da una vedova, forse Margherita, già moglie di Roberto di Fronzola, la quale da Roma lo raggiunse a Costanza; in quell'occasione egli si dichiarava estraneo ad ogni interesse nei confronti della donna ed intenzionato a seguire la carriera ecclesiastica. Ma il proposito fu evidentemente abbandonato solo pochi anni dopo, poiché sappiamo che nel 1424, mentre era nunzio in Inghilterra, egli prese moglie, perdendo con il matrimonio il proprio stato ecclesiastico ed i benefizi ad esso connessi, cioè quelli tratti dal canonicato della chiesa di S. Pietro in Liegi e le prebende sulle chiese di Corringham, nella diocesi di Lincoln, e di Bedwyn, in quella di Salisbury, oltre all'incarico di collettore in Inghilterra; perse anche ogni possibilità di vedersi assegnata la prebenda sulla chiesa parrocchiale di Bilsen, alla quale aspirava nonostante il suo "defectus idiomatis".
Dal 1420 al 1425 il D. ricoprì la carica dapprima di collettore in Inghilterra ed Irlanda, quindi di nunzio apostolico con compiti anche politici nelle stesse isole. Fu creato collettore da Martino V con bolla del 4 sett. 1420 (secondo il Savini, del 6 settembre secondo il Monaco), sostituendo nell'ufficio Walter Medford. Il 22 genn. 1422, ancora Martino V gli conferì la piena facoltà di esigere le rendite della Camera apostolica, tutti i "census et denarios beati Petri", che in Inghilterra venivano spesso negate, con il sostenere che esse erano state rimesse dal concilio di Pisa del 1409 (Savini). Difficoltà incontrò il D. in Inghilterra presso alcuni istituti monastici, come i certosini, che opponevano resistenza alla riscossione sulla base di un privilegio "quod a sede apostolica se asserunt habere". Oltre agli incarichi di natura amministrativa, Martino V gli diede anche speciale mandato per la revisione e l'abolizione della legislazione antiecclesiastica introdotta in Inghilterra da Edoardo III (Statute of Provisors del 1351 contro le provvigioni papali e Statute of Praemunire del 1353 contro l'appello alla Curia di Roma). Dalle osservazioni redatte da Pietro Griffi, che occupò la stessa carica di collettore nel sec. XVI, il D. rimase in carica fino al 1425. È incerto se egli ebbe effettivamente la carica di avvocato concistoriale: è certamente ricordato in tal modo nella citata bolla di Martino V del settembre 1420 "vir omni laude cumulatissimus, dominus Simon de Theramo, apostolice aule consistorialis advocatus": Savini); come avvocato ritorna nella testimonianza di Ambrogio Traversari che gli si oppose nel concilio di Basilea ("infestissimus adversarius, et potentissimus causidicus"). Il Cartari, però, non lo inserisce nella serie degli avvocati concistoriali, ma lo menziona a proposito di un episodio che lo avrebbe visto in contrasto, nel 1424, quale collettore in Inghilterra, con un altro avvocato concistoriale, Riccardo di Karden, a causa di una somma che secondo il D. non era stata versata da quest'ultimo.
Certamente finì in malo modo l'esperienza del D. come collettore: egli infatti abbandonò l'incarico e la regione senza dare giustificazione del suo ritiro né tanto meno rispettando il giuramento che lo legava alla Camera apostolica dal momento della sua assunzione all'ufficio. Incorse perciò nella dura accusa pronunciata contro di lui il 28 luglio 1425 dal chierico di Camera Benedetto, Guidalotti, che dava inoltre mandato al successore di lui, Giovanni de Opitzis, di provvedere in proposito. Si aggiunga a tutto ciò la serie di conseguenze che derivarono al D. dal matrimonio contratto in quel periodo. Nel maggio era, infatti, corsa voce che il D. si era sposato "cum quadam muliere per verba legiptime de presenti" e che perciò egli rivolgeva una supplica chiedendo di poter godere delle entrate della chiesa parrocchiale di Mezzocorona, nella diocesi di Trento (Savini). Per certo sappiamo solo che al 26 luglio 1425 risale un'obbligazione di Martino V per un canonicato e prebenda a Liegi (forse S. Pietro), vacanti in seguito al suo matrimonio, e che una notizia del novembre 1434 ricorda che egli, volendo andare a Basilea incontro alla moglie che veniva da Venezia, fu fatto prigioniero tra Sciaffusa e Costanza ed imprigionato. Da questo matrimonio (si tratterebbe di quello con Giacoma Capodilista, figlia di Giovan Francesco, il noto giurista che proprio in questo periodo era ambasciatore di Venezia presso il concilio: cfr. Billanovich), nacque, probabilmente nel 1428, Teodoro, futuro vescovo di Feltre e poi di Treviso.In questi anni il D. fu occupato in diversi altri incarichi, sia amministrativi sia diplomatici: dovette dapprima versare al vicecamerlengo Ludovico Alemandi la somma di 1.300 fiorini d'oro di Camera come anticipo sulle entrate dell'ufficio, ed ebbe conferma della ricevuta di quello assegno da Martino V, il 18 marzo 1423. Con una lettera del giorno dopo lo stesso pontefice dava incarico a lui ed al vescovo di Trieste, Giacomo Balardi, di inquisire diligentemente sul giubileo indetto a Canterbury per quell'anno; il 24 agosto, ancora insieme con il vescovo di Trieste, con Enrico di Beaufort, vescovo di Windsor e con Giovanni di Strafford, canonico di Salisbury, faceva parte di una speciale commissione incaricata di ricercare i falsari inglesi di certe lettere del pontefice e della Penitenzieria; il 13 sett. 1423 ebbe la nomina a collettore unico nell'isola, in seguito alla lodata attività della riscossione delle entrate ("fidelitatis industria et in benegerendis rebus experientia"). Nel frattempo aveva svolto il difficile compito, portato a termine solo nel 1427, di mediare le trattative tra la S. Sede ed il principe inglese Humphrey, duca di Gloucester, quartogenito di Enrico IV, il quale sollecitava una soluzione alla propria causa di matrimonio con Giacomina di Hainaut.
Nel 1437 il D. svolse la propria azione di laico a Basilea, dove gli avvocati concistoriali trovarono frequente opposizione nell'opera degli umanisti, segretari pontifici; egli però, oltre alla lusinghiera menzione fatta dal Bracciolini, l'11 luglio 1437 ebbe da Francesco Pizolpasso, vescovo di Milano, e da Enrico Rampini, vescovo di Pavia, un privilegio, confermato poi da Eugenio IV a Bologna il 1° ottobre, che gli riconosceva la sua attività di "advocatus sacri Basileiensis Concilii" ed una retribuzione di 2.000 fiorini d'oro di Camera, da riscuotere nella misura di 200 l'anno sulle rendite d'Inghilterra. Lo stesso Traversari, peraltro, che lo aveva indicato come uno dei più temibili avversari, aveva fatto di tutto per guadagnarlo alla causa curiale. In questi ultimi anni il D. non si era limitato a prestare i propri servigi alla Camera apostolica; già in precedenza, infatti, intorno al 1435, insieme con Gaspare da Perugia e Simone de Valle, era stato assunto dalla Repubblica di Venezia per la difesa dei suoi interessi al concilio di Costanza, e contro Ludovico di Teck, patriarca d'Aquileia. Dalla metà del 1439 si trova a Padova dove presenzia a diverse lauree, in quell'anno e negli anni successivi, e dove, nel 1449, si laureano in utroque due suoi figli, Francesco e Teodoro. Continuò a risiedervi fino alla morte, avvenuta non oltre l'agosto del 1458, accumulando proprietà ed ottenendo la cittadinanza veneziana.
In base alla testimonianza del Bracciolini, alla ripetuta presenza ai concili dei primi del secolo e alla lunga attività in Inghilterra, non è escluso che egli possa aver avuto un ruolo nella trasmissione dell'umanesimo nelle isole britanniche.
Fonti e Bibl.: Ambrosii Traversarii Latinae epist., a cura di P. Canneto, Florentiae 1759, pp. 161-65, 175; Poggii Epistolae, a cura di Th. De Tonellis, Florentiae 1832, I, pp. 48, 51 s., 55, 58, 67, 109; Acta graduum Gymnasii Patavini, II, (1435-1450), Padova 1970, ad Ind.; Memorial of the Reign of King Henry VI. Official corrisp. of Thomas Bekynton, a cura di G. Williams, London 1872, I, pp. 279, 281, 283 s.; II, pp. 363, 412; Concilium Basiliense, V, Basel 1904, p. 108; C. Cartari, Advocatorum Sacri Consistorii Syllabum, Romae 1656, p. XXVIII; N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, pp. 284 s.; J. Le Neve, Fasti Ecclesiae anglicanae (1300-1541), London 1962, I, p. 54; III, p. 29; N. Palma, Storia ecclesiastica e civile della regione più settentrionale del Regno di Napoli…, V, Teramo 1835-36, p. 112; F. Savini, Septem dioceses Aprutinenses medii aevi in Vaticano tabulario, Romae 1912, pp. 492 ss., 511-521; Id., S. D. da Teramo nunzio papale in Inghilterra nel secolo XV, in Arch. stor. ital., LXXII (1914), 2, pp. 114-125; F. Baix, La Chambre Apostolique et les "libri Annatarum" de Martin V (1417-1431), Bruxelles-Rome 1947, pp. CXLII, 76, 108; A. Mercati, Dall'Archivio Vaticano, I, Una corrispondenza fra curiali della prima metà del Quattrocento, Città del Vaticano 1951, pp. 16-19, 36, 64-71; G. Morelli, Manoscritti d'interesse abruzzese nella Bibl. Vaticana, in Boll. della Deput. abruzzese di storia patria, LXIII (1973), p. 168, n. 717; M. Monaco, Due eminenti prelati della diocesi aprutina al servizio della Curia romana nel XV secolo: S. D. da Teramo ed Antonio Fatati da Ancona, in Abruzzo, XII (1974), 1-3, pp. 55-72; M. Billanovich, Francesco Colonna, il "Polifilo" e la famiglia Lelli, in Italia medievale e umanistica, XIX (1976), pp. 421-25; W. Brandmüller, S. D. de Teramo. Ein Konsistorial-Advokat auf den Konzilien von Konstanz und Basel, in Annuarium Historiae Conciliorum, XII (1980), pp. 229-68; M. Harvey, Martin V and Henry V, in Arch. Hist. Pontificiae, XXIV (1986), pp. 62-65.