CAVALLI, Simone
Nacque a Venezia nel 1724 e percorse una rapida e brillante carriera diplomatica; segretario in Francia e poi in Spagna, nel 1763 seguì a Tripoli Prospero Valmarana, uno dei cinque savi alla Mercanzia incaricato di concludere le trattative di pace con i cantoni barbareschi. Nel maggio 1770 ottenne la nomina a residente a Napoli, dove per quasi quattro anni poté osservare da vicino l'intensa e contrastata attività riformatrice del Tanucci.
In mancanza di vertenze di qualche rilievo tra i due Stati i suoi dispacci si soffermano soprattutto sulla situazione interna del Regno di Napoli retto dal ministro toscano "con assoluta auttorità" e agitato da vivaci polemiche e dissensi sulle riforme amministrative e i provvedimenti contro i privilegi ecclesiastici. Particolarmente attento ai problemi economici (è in rapporti anche con l'Ortes), durante il soggiorno napoletano annota con cura tutte le notizie sullo sviluppo industriale del Sud; nel marzo 1772 invia al Senato il modello di una nuova macchina per la fermentazione della pasta di pane, nel giugno segnala l'insediamento di due nuove industrie di pelo d'angora e di porcellane in Calabria e a Portici e anche in seguito continua a fornire al governo preziosi dettagli sulle manitatture di specchi, il commercio col Levante, i rapporti con le reggenze barbaresche.
L'apprezzamento del Senato per la sua intelligente attività gli assicurò nell'agosto del 1774 la nomina all'importante sede di Milano, capitale di uno Stato che la dinamica politica di Maria Teresa e del Firmian stava progressivamente potenziando, ponendo sempre più la Repubblica di Venezia in una evidente condizione di inferiorità economica, politica e diplomatica. Spinose vertenze di frontiera dividevano da anni i due Stati a causa del frequente espatrio di malviventi, dei continui tentativi di contrabbando e soprattutto della contrastata navigazione sull'Adda, l'Oglio e il Serio, in territorio bergamasco e nella zona compresa tra Cremona e Crema. Appena giunto a Milano, nel settembre del 1774, il C. fu impegnato a fronteggiare un ennesimo riacutizzarsi della controversia per l'utilizzazione delle acque del Tartaro, un problema che si trascinava da decenni e che sembrava aver trovato alcuni anni prima una soluzione soddisfacente con l'accettazione da parte dei due governi delle conclusioni di una commissione mista di tecnici guidata da due professori di idraulica.
Con l'arrivo delle piogge autunnali i Mantovani si lamentavano dei danni provocati dall'irregolare regolazione delle bocche del canale Castagnaro, il cui corso ricco delle torbide dell'Adige convogliava nel Tartaro gran quantità di detriti, pregiudicando il regolare deflusso dell'acqua verso le risaie di Ostiglia.
L'abilità del C. consentì ai Veneziani di mantenere i favorevoli accordi stipulati in precedenza; analoga capacità di trattare egli dimostrò in occasione del rinnovo dell'accordo per l'estradizione dei banditi e nell'opposizione ai tentativi dei direttori delle scuole di dottrina cristiana di Milano di visitare le chiese bergamasche soggette alla giurisdizione lombarda. Anche a Milano, però, fu nel settore dell'economia che il C. indirizzò la sua più attenta attività, riuscendo a conseguire risultati di un certo rilievo. Seguì con vigile preoccupazione, e ne informò con prontezza il Senato e i cinque savi alla Mercanzia, ogni iniziativa del governo austriaco capace di danneggiare il commercio veneto, si trattasse del progetto di aprire una strada da Milano per la Germania attraverso l'Adda e la Val Engadina o del rinvenimento nelle montagne comasche di filoni di materiale ferroso, un fatto che poteva dare il colpo di grazia alla già decaduta industria bergamasca.
Quando il governo niilanese ridusse i dazi su molti generi di largo consumo, si affrettò a segnalare la convenienza di effettuare le importazioni attraverso l'Adriatico piuttosto che dallo scalo di Nizza; per fornire un più completo ragguaglio sulle nuove possibilità il 6 luglio 1776 spedì a Venezia un bilancio di tutti i prodotti naturali e industriali introdotti dall'estero nello Stato di Milano.
Dinamico e duttile negoziatore, favorì l'estrazione di varie partite di granaglie dal Mantovano e il 7 ott. 1775, dopo lunghe e difficili trattative, riuscì a concludere col governo austriaco un'importante convenzione per la fornitura novennale di sale di Tripoli e Santa Maura, che i Veneziani dovevano consegnare ai magazzini di Mesola.
Alla fine del settembre del 1777 il C. fu improvvisamente richiamato in patria per giustificarsi di fronte a una commissione di venticinque senatori dall'accusa di aver favorito, durante la residenza a Napoli, i raggiri e le truffe di Primislao Zanovich, un avventuriero dalmata che era riuscito a carpire forti somme di denaro a una casa olandese di gioielli; prosciolto da ogni addebito, partì nell'agosto 1778 per la nuova sede di Londra. L'Inghilterra era in quel momento impegnata nel conflitto con la Francia e nei vani sforzi per domare la ribellione delle colonie nordamericane: i dispacci del C. seguono con occhio vigile gli sviluppi delle operazioni militari e il vivace dibattito nel Parlamento e nell'opinione pubblica tra il governo, fautore di una linea dura, di pura e semplice repressione militare, e l'opposizione, propensa a ricercare una composizione pacifica della vertenza e ad avviare un progressivo disimpegno dall'America settentrionale.
Anche a Londra il suo interesse per i problemi economici si saldò alla sincera volontà di collaborare all'incremento della produzione e del commercio estero della Repubblica di Venezia. Non fece mistero della sua ammirazione per la progredita struttura economica dell'Inghilterra, una nazione in cui era portata "al sommo grado l'industria nelle manifatture" grazie alle "macchine e artificj" che consentivano di ridurre l'impiego di manodopera, allo "spirito di società",alla "mutua corrispondenza fra il fabricatore e il mercante distributore",alla "generosità del governo" e soprattutto alla "continua associazione della scienza alle arti". In un dispaccio del 2 nov. 1780 cercò di trarre utili indicazioni per lo Stato veneto dalla sua intelligente analisi della società ed economia inglesi, intrattenendosi a lungo sulle prospettive di esportazione dei vini nel Regno Unito.
Alcuni negozianti gli avevano segnalato che vari consoli, capitani di nave e viaggiatori, "sulla traccia della scienza naturale",avevano analizzato i terreni e le varie specie di prodotti della Dalmazia e delle isole del Levante, concludendo che Venezia perdeva l'occasione di una copiosa estrazione di vino di buona qualità a causa dell'"innazione" e dell'"inscienza" delle popolazioni; qualche ministro inglese aveva anche segnalato, sia pure in via del tutto personale, che il governo britannico avrebbe visto con favore la possibilità di svincolarsi dalle importazioni di vino francese e portoghese. Il C. suggerì al Senato di ricorrere all'opera di esperti vignaroli, tratti con buone paghe dalla Provenza, Borgogna e Guascogna, per migliorare la coltivazione delle vigne, la lavorazione delle uve e quindi la capacità del prodotto di resistere a una lunga navigazione; insomma - egli concluse - l'esportazione dei vini, come anche dell'acquavite e dell'olio, sarebbe stata agevole anche nel Veneto se "la natura propizia fosse secondata dall'arte". Nella stessa occasione sottolineò la necessità di agire con prontezza per prevenire analoghe imminenti iniziative del Regno di Napoli, aggiungendo che la guerra con l'Olanda offriva alla Repubblica una favorevole occasione di incrementare la sua navigazione oceanica.
Tornato in patria nell'aprile del 1782, il C. dedicò gli ultimi anni della sua vita a studi letterari e scientifici, divenendo uno dei più noti protettori delle arti liberali e meccaniche. Si occupò con particolare interesse della scienza agraria, cui lo portava la personale passione e la cura del patrimonio domestico, per la cui coltivazione ricorse al consiglio di esperti agronomi senza badare a spese, soprattutto quando si trattava di sperimentare nuove piante straniere. La sua appassionata partecipazione ai vivaci dibattiti sull'agricoltura che caratterizzano la cultura veneta nella seconda metà del '700 è testimoniata dalla Memoria concernente le greggi pecorine, pubblicata postuma nel 1793 dal NuovoGiornale d'Italia spettante alla scienza naturale, e principalmente all'agricoltura, alle arti ed al commercio, in cui egli interviene con alcune proposte sul dibattuto problema del "pensionatico".
Per evitare i danni prodotti dalle pecore montane quando scendevano in pianura a svernare, il C. propose la ricognizione di tutti i prati comunali, la loro ripartizione in proporzione al numero delle famiglie abitanti nei distretti e quindi la concessione del "sacro stimolante diritto di proprietà" col solo vincolo della perpetua destinazione a prato. Incrementata in questo modo la produzione di erba e foraggi durante l'inverno sarebbe stato agevole alimentare le pecore, consentendo così l'introduzione di un tassativo divieto di condurre le greggi al piano.
Il C. morì a Venezia il 6 marzo 1792.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Venezia, Senato, Dispacci ambasciatori. Francia, filza 244; Napoli, filze 150,151, 152, 153; Milano, filze 217, 218, 219, 220; Inghilterra, filze 129, 130; Expulsis papalistis, filza 43; Deliberaz. Costantinopoli, filza 62; Provveditori alla sanità, Necrologi, reg. 979, f. 13; Sezione notarile, testamenti P. Bonamin, b. 111 (113). Un breve carteggio con l'Ortes, per un totale di sette lettere, al Civico Museo Correr, ms. Cicogna 2658, n. 3195-3200 bis; la Memoria concernente le greggi pecorine è stampata nel n. XXXII del t. V (1793) del Nuovo Giornale d'Italia..., alle pp. 249 s., preceduta da un affettuoso profilo del C. dell'editore Giovan Antonio Perlini. Cfr. anche S. Romanin, Storia docum. di Venezia, VIII, Venezia 1859, pp. 285 s.