BERLUSCONI, Silvio
BERLUSCONI, Silvio (App. V, i, p. 349)
Imprenditore e uomo politico. Nel settore privilegiato dei suoi interessi imprenditoriali, quello televisivo ed editoriale, B. rinunciò nel 1992 - in seguito all'entrata in vigore di norme limitative della concentrazione nel settore delle comunicazioni - alla proprietà diretta de il Giornale ceduta al fratello Paolo, al quale affidò anche il settore edilizio della Fininvest.
Nel 1994 B. realizzò un'offerta pubblica di vendita di una quota del capitale della Arnoldo Mondadori rimanendo il principale azionista con il 49%. Tra il 1995 e il 1996 promosse un aumento di capitale della Mediaset, società del gruppo Fininvest in cui erano confluite le attività televisive, destinato ad alcuni investitori esteri. Inoltre nel 1996 furono realizzate offerte pubbliche di vendita presso privati di azioni della Mediolanum (assicurazioni) e della Mediaset (volta la loro quotazione in borsa) riducendo la partecipazione della Fininvest in tali società rispettivamente a circa il 40% e il 51%. L'intero capitale della Fininvest fa capo alla famiglia Berlusconi.
Sullo sfondo dei rilevanti risultati ottenuti in campo economico, in particolare nel settore televisivo dove le sue reti contrastavano spesso con successo quelle del servizio pubblico, e facendo leva su un'ormai larghissima notorietà legata anche alla proprietà della più forte squadra calcistica dei primi anni Novanta (il Milan), B. aveva cominciato, alla fine del 1993, a render nota la sua intenzione di dedicarsi alla politica con l'obiettivo di riaggregare lo schieramento di centro indebolito dalle vicende di 'tangentopoli' e di restituire fiducia all'elettorato moderato intimorito da una probabile vittoria delle sinistre.
Alla decisione definitiva di 'scendere in campo' annunciata nel gennaio 1994 seguì la costituzione del movimento Forza Italia che - alleatosi nel Settentrione alla Lega Nord (nel cosiddetto Polo delle libertà), nel Centro-Sud ad Alleanza nazionale (nel Polo del buongoverno) - vinse le elezioni politiche del marzo successivo (v. partiti politici, App. V). La vittoria elettorale, confermata alle elezioni europee di giugno, fu un trionfo personale per B. e lo consacrò leader dello schieramento di centrodestra. Il successo premiava infatti un'intuizione politica che andava ben oltre lo scontato apporto della propaganda di parte sulle reti Mediaset. In una fase di grave disorientamento, l'elettorato di centro sembrava gradire l'immagine dell'imprenditore fattosi da sé e dell'uomo nuovo alla politica, estraneo ai condizionamenti dei partiti tradizionali, dispensatore di efficaci messaggi dai toni insieme popolari e populistici.
Nel maggio 1994, nominato presidente del Consiglio, B. costituì un governo formato da Forza Italia, Alleanza nazionale, Lega Nord, Centro cristiano democratico. Ma il governo ebbe vita breve: mentre i contrasti interni a una maggioranza troppo eterogenea divenivano insanabili, rimaneva irrisolto il problema sollevato in sede politica e nell'opinione pubblica dell'anomala posizione di un presidente del Consiglio grande imprenditore e proprietario delle maggiori reti televisive private. A dicembre il ministero dovette dimettersi, in seguito alla defezione della Lega Nord, lasciando il posto al governo Dini, espressione di una coalizione di centrosinistra opposta a quella uscita vincitrice dalle elezioni. La richiesta di B. di un rapido ritorno alle urne non venne soddisfatta, ma la conferma delle sue capacità di conservare una larga influenza sul grande pubblico si ebbe in occasione dei referendum del giugno 1995 sulla riduzione delle reti televisive concesse a un privato e sulla diminuzione della pubblicità televisiva. La sconfitta dei proponenti in quello che era un manifesto attacco alle attività economiche di B. fu considerata un successo politico dell'imprenditore milanese.
Nelle elezioni anticipate dell'aprile 1996 l'alleanza che faceva capo a B. (Polo per le libertà composto da Forza Italia, Alleanza nazionale e da altri partiti minori di centro) fu sconfitta, seppure di misura, dallo schieramento di centrosinistra (l'Ulivo). Fra i motivi dell'insuccesso furono annoverate l'insufficiente distinzione tra il ruolo del politico e quello dell'imprenditore e una serie di inchieste giudiziarie relative alle attività imprenditoriali anteriori al suo ingresso in politica.
Nel gennaio 1997 B. favorì, d'intesa con il segretario del PDS M. D'Alema, l'istituzione di una commissione parlamentare bicamerale volta all'elaborazione di proposte di riforma costituzionale, salvo contestarne i risultati nella primavera del 1998 e contribuire al fallimento del progetto. Nella sua linea politica, B. manifestava una serie di incertezze derivanti anche dal tentativo di presentare le proprie pendenze giudiziarie come attacco politico al leader dell'opposizione, mentre l'opinione pubblica rimaneva divisa fra quanti ne apprezzavano soprattutto la svolta impressa alla politica nazionale nel dar voce al fronte di centrodestra e quanti invece sottolineavano i condizionamenti derivanti dalla necessità di tutelare il suo impero televisivo e dalla ricerca di garanzie di fronte al potere giudiziario.
Nelle elezioni europee del giugno 1999 B., presentandosi in tutte le circoscrizioni con una campagna elettorale molto personalizzata, ottenne, con quasi tre milioni di preferenze, un vistoso successo personale che cancellava le riserve sulla sua leadership del centrodestra e contribuiva all'affermazione di Forza Italia come primo partito con il 25,2% dei voti.