FANTI, Sigismondo
Le notizie riguardanti la vita e la figura del F. sono molto scarse e si ricavano per la maggior parte da quanto l'autore dice di sé nelle due opere che ci sono pervenute. Nato a Ferrara, egli visse all'epoca dell'Ariosto e fu attivo nel primo trentennio del sec. XVI. La prima data sicura è quella del 1514, anno in cui vide la luce la Theorica et pratica ... de modo scribendi fabricandique omnes litterarum species, un trattato di scrittura in volgare, nonostante il titolo latino, stampato a Venezia, ad opera di Giovanni Rossi da Vercelli. Nel dedicare la propria opera al duca Alfonso I d'Este, il F. si dichiara professore delle arti matematiche; e in effetti le opere che egli afferma d'aver composto "con gran fatica e laboriosi affanni", e che vengono elencate in numero di ventidue dopo il proemio, sono di carattere prevalentemente geometrico e astronomico, oltre ad alcune che hanno titoli più curiosi, come Scala fortunae, De ludis diversis, Super laminas planetarum. Ma anche se nel novembre 1526, con la licenza di stampa per il Triompho di fortuna (la seconda opera del F., di cui si dirà sotto), verrà concessa anche quella per una Grande Algebra, ditta Arte speculativa (Sanuto, p. 264), nessuna di tali opere matematiche è giunta a noi.
La Theorica et pratica èdivisa in quattro libri, il primo dei quali tratta in via preliminare di tutto quanto necessita a chi vuole apprendere l'arte della scrittura (i tipi di carta e la loro preparazione, gli inchiostri, le penne e gli altri attrezzi necessari), mentre i tre libri successivi espongono le regole, esemplificate con adeguate illustrazioni, atte a tracciare i vari tipi di alfabeti e di lettere attenendosi a rigorosi procedimenti geometrici. L'importanza e il significato del trattato, che conobbe una notevole diffusione e fu da altri imitato e utilizzato (l'incisore Ugo da Carpi ne riprodusse ampie parti nel suo Thesauro de scrittori. Opera ... la qual insegna a scrivere diverse sorte de littere, Roma, Blado, 1535), sono stato ben messi in rilievo dal Casamassima. In un bellissimo passo dell'introduzione al terzo libro il F. offre una suggestiva rappresentazione della propria vita. Dopo avere viaggiato e soggiornato presso diverse corti; dopo avere incontrato papi, re, principi e capitani, aver dato loro consigli "in ben et in male" e avere preso parte a diverse battaglie; dopo avere studiato un'infinità di libri di scienza e divinazione, egli si è reso conto "ogni cosa essere fantasme, bararie, finctione, tradimenti" e che "in verità ogni cosa è summa stulticia, excepto che amare il summo opifice insieme con li scientifici homini" (Casamassima, p. 24).
Un'altra delle pochissime date sicure della vita del F. è stata appurata da Albano Biondi, che ha rintracciato nell'Archivio di Stato di Modena una lettera del F., forse autografa, e l'ha trascritta nell'introduzione premessa alla ristampa anastatica da lui curata del Triompho di fortuna (Modena 1983). Nella lettera, datata 9 dic. 1521 e indirizzata ad Alfonso d'Este, il F., pur pregando il duca di annoverarlo fra i suoi "fidelissimi vassalli e servitori", gli chiede come gran favore e "cosa gratissima" una raccomandazione che consolidi la propria posizione presso Andrea Gritti, allora provveditore generale dell'esercito veneto, che sarà doge dal 1523 al 1538, e al cui servizio egli allora si trovava in qualità di ingegnere militare. In effetti il F., dopo una vita errabonda e travagliata ("per longo tempo sono stato infortunato et errando per il mondo"), dovette stabilirsi a Venezia ed esercitare tale attività alle dipendenze della Serenissima, secondo quanto confermano i cenni contenuti nei Diarii del Sanuto.
Sempre in questa città, nel gennaio 1527 e stampata "per Agostin da Portese ... ad instantia di Iacomo Giunta mercatante fiorentino", vide la luce l'altra sua opera, quel Triompho di fortuna cui si accennava. Accompagnato da due privilegi decennali di stampa, uno del 3 luglio 1526 da parte di Clemente VII e l'altro accordato il 19 novembre dal Consiglio dei rogati, il libro è dedicato al pontefice. In due sonetti preliminari, indirizzati uno al F. stesso e l'altro alla città di Ferrara, Marco Guazzo tesse grandi elogi dell'autore, dicendolo un nuovo Vitruvio in architettura, un nuovo Archita in geometria e un Alchindi in astrologia.
L'opera, nella quale si tratta "degli accidenti del mondo e di molte discipline", è piena "de gravissime sententie e maturi documenti, sì per scienza naturale come per astrologia", ed è presentata dall'autore come "a ciascuno utilissima e sollazzosa", in quanto intende offrire ai lettori la possibilità di controllare la "fortuna" e la complessa mescolanza di male e di bene di cui ècomposta la vita umana, suggerendo "quello che fuggir e seguire per loro si debbe". Essa è uno degli esemplari più significativi di un particolare genere letterario, i libri di "ventura" o delle sorti, che, a metà strada fra divinazione e gioco, consentivano di ottenere risposte, solitamente in versi, agli interrogativi che il lettore poteva scegliere fra quelli elencati all'inizio. Se in Italia si conoscono esemplari manoscritti risalenti già alla fine del sec. XV, e con maggior frequenza a quello successivo, il primo testo a stampa e il prodotto più fortunato di questo filone è il Libro delle sorti del perugino Lorenzo Spirito.
Compiuto nel 1492, esso vide la luce quell'anno stesso e conobbe quindi una larghissima diffusione, venendo ristampato e tradotto più volte, e illustrato, nelle versioni manoscritte e nelle edizioni, da miniature e silografie in alcuni casi di grande suggestione. Anche il Triompho si compone perloppiù di tavole illustrate, che costituiscono una parte integrante del susseguirsi dei diversi passaggi del meccanismo divinatorio. Dopo la dedicatoria al papa, in cui l'autore ribadisce di essere "delle quadriviali dottrine sempre fedelissimo amatore e indegno matematico", si passa alla spiegazione delle regole del gioco, rese più chiare dal ricorso ad alcuni esempi, e quindi all'elenco delle settantadue possibili domande, riguardanti sia la vita sociale (dalla pace alla guerra alla carestia) sia quella privata (dal matrimonio ai figli, dai viaggi alla salute), ognuna delle quali è commentata da un non meglio conosciuto Mercurio Vannullo Romano. Una volta scelta la domanda, ha inizio un itinerario alquanto complesso e il lettore è rinviato via via a dodici "fortune", quindi a dodici casati nobiliari e a settantadue ruote. A questo punto può proseguire grazie al lancio di tre dadi o alla consultazione dell'ora, e giungere così, attraverso le trentasei sfere, alla tappa conclusiva, in cui settantaquattro fra astrologi e sibille comunicano la risposta al quesito iniziale sotto il triplice aspetto di una figura, un oroscopo e una quartina rimata. Gli oltre seimila versi sono del F. stesso, che si giustifica della loro qualità non certo eccelsa richiamandosi a Dante e a Cecco d'Ascoli e affermando di avere badato più al contenuto che all'eleganza dello stile.
Il libro ha richiamato l'attenzione degli studiosi soprattutto per la sua iconografia alquanto varia. Oltre alla raffigurazione di animali e piante, virtù, vizi e arti, pianeti e costellazioni e divinità pagane, si incontrano, in un "singolare e un po' affastellato Pantheon" (così, il Biondi, nell'introduzione citata, p. 15), personaggi antichi e moderni (fra questi ultimi ricordiamo filosofi come Ficino e Giovanni Pico, artisti come Raffaello, Mantegna e Michelangelo, nonché teologi come Savonarola, Lutero e perfino l'insigne commentatore di s. Tommaso, il cardinale Tommaso De Vio) e l'intera famiglia degli astrologi, latini, greci, ma soprattutto arabi, alcuni dei quali dai nomi quanto mai esotici e bizzarri. E si può dire che l'intera opera si può leggere come una raffigurazione di quelle parti dell'astrologia dedicate alle "elezioni" e alle "interrogazioni", che erano state particolarmente sviluppate proprio nei testi arabi.
Uno specifico interesse ha poi suscitato il bel frontespizio allegorico, che già in passato aveva attirato l'attenzione per la sua singolarità e che è stato studiato in connessione con la dedicatoria. L'incisione, che deriva da un disegno di Baldassarre Peruzzi, rappresenta un papa, nel quale con ogni verosimiglianza è da identificare proprio Clemente VII, che, affiancato da "Virtus" e "Voluptas", sta in precario equilibrio sulla sfera del mondo, sorretta da Atlante e fatta ruotare in direzioni opposte da due esseri alati, una figura femminile benevola e un demone malevolo dai lunghi artigli e corna di capra. L'immagine del giovane nudo che, in primo piano a sinistra, regge un dado di grandi dimensioni è stata vista come una raffigurazione del tempo, mentre nel vecchio astrologo con l'astrolabio al centro della scena sarà probabilmente da identificare il F. stesso. Se si considera che l'opera fu stampata all'inizio del 1527, l'intera scena è davvero, come è stato detto, una sorta di presagio figurato e ben rappresenta la situazione estremamente incerta e pericolosa del pontefice alla vigilia del sacco di Roma, in un periodo cioè gravido di minacce e di oscure profezie.
Se già il Biondi ha individuato nel testo del F. tracce di un aristocratico rimpianto del mondo feudale e dei valori legati all'onore e all'arte militare, e la conseguente denuncia di una situazione di decadenza legata all'ascesa dei mercanti e dei nuovi valori della ricchezza e del denaro, nel Triompho si possono anche intravedere cenni di critica alla corruzione morale e religiosa. Piuttosto sorprendente risulta la decima domanda ("qual fede o legge sia di queste tre la buona, o la Christiana, l'Hebrea o quella di Mahumetto") e soprattutto significativa l'ultima ("Quai saranno i salvi e qual'i dannati"): anche l'ignoto commentatore non può fare a meno di rilevare l'importanza di un simile interrogativo, sottolineando al tempo stesso la natura seria dell'intera opera, che offre "tante lodevoli, perfette e mature sententie" e, al di là della sua apparenza di mero gioco e divertimento, "è con tanta mirabilissima arte disposta che di lei si può cavare molti vari e diversi sapori".
Dopo l'opera del F., non mancarono altri esempi di libri di sorti, come quello, alquanto raffinato, di Francesco Marcolini da Forlì, intitolato Giardino di pensieri (Venezia 1540 e 1550), accompagnato da terzine in rima di Ludovico Dolce. Questo particolare genere fu poi riecheggiato anche in opuscoli popolari di astrologia o numerologia, o in testi diretti a un pubblico più colto, come l'Oracolo (Venezia 1551), galante gioco di società dell'estroso poligrafo e musico Girolamo Parabosco. La proibizione da parte del concilio tridentino, e dei successivi Indici e bolle papali, di ogni genere di divinazione, e in modo specifico dei libri di sorte, rese molto rari questi testi.
Dopo il 1527 non si hanno più notizie del F., che forse ritornò a morire a Ferrara. Il Guarini infatti lo dice sepolto nella cappella di famiglia nella chiesa di S. Francesco, accanto a un familiare di nome Gilio, che con altri aveva capeggiato un'insurrezione popolare antispagnola.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Cancelleria ducale, Archivi per materie, Ingegneri, cass. n. 2; M. Sanuto, I diarii, XLIII, Venezia 1895, pp. 264, 421, 478, 655; M. A. Guarini, Compendio historico dell'origine, accrescimento e prerogative delle chiese e luoghi pii della città e diocesi di Ferrara, Ferrara 1621, p. 271; A. Libanori, Ferrara d'oro imbrunito. III, Ferrara 1665, pp. 171-173; Rime scelte de' poeti ferraresi antichi e moderni, Ferrara 1713, pp. 56 s. (sono riprodotte otto quartine del Triompho), 591 s.; F. Borsetti, Historia almi Ferrariae Gynmasii, II, Ferrariae 1735, pp. 358, 444; Catal. ragionato dei libri d'arte e d'antichità posseduti dal conte Cicognara, I, Pisa 1821, p. 284, n. 1645; J.D.F. Sotzman, Die Loosbücher des Mittelalters, in Serapeum, XI (1850), pp. 53-62; S. Casali, Annali della tipografia veneziana di Francesco Marcolini da Forlì, Forlì 1861, pp. 119-129, nn. 121-22; V. Rossi, Di alcuni libri di ventura, in Le lettere di messer Andrea Calmo, App. IV, Torino 1888, pp. 460-462; (L. Baer) Die Darstellung Michelangelos in F.'s "Triompho di fortuna", Frankfurt am M. 1908; [V. Massène d'] Essling, Les livres à figures vénitiens de la fin du XVe siècle et du commencement du XVe, Paris 1907-1909, 11, I, pp. 280-282; II, 2, p. 652; III, p. 258; R. Bertieri, Calligrafi e scrittori di caratteri in Italia, Milano 1913, pp. 353-356; G. Medri, Le opere calligrafiche a stampa, III, S. F., in All'insegna del libro, I (1928), pp. 88-103; L. Thorndike, A history of magic and experimental science, New York 1941, V, pp. 253 s.; VI, pp. 469-471; M. Sander, Le livre à figures italien, I, Milano 1942, pp. 466 s.; R. Eisler, The frontispiece to S. F.'s Trio-Pho di Fortuna, in Journal of the Warburg and Courtauld Institutes, X (1947), pp. 155-159; E. Casamassima, Trattati di scrittura del Cinquecento italiano, Milano 1966, pp. 24-26, 34-35; Astrologia, magia, alchimia, in La corte, il mare, i mercanti... (catal.), Firenze 1980, pp. 426-427; A. Chastel, Ilsacco di Roma, 1527, Torino 1983, pp. 58 s.; O. Niccoli, Gioco, divinazione, livelli di cultura. Il Triompho di fortuna di S. F., in Rivista stor. ital., XCVI (1984), pp. 591-599.